cacio cavallo

La produzione del Caciocavallo nel Crotonese raccontata attraverso le fonti storiche

Fin dall’antichità la maggior parte delle terre della città di Crotone e dei luoghi vicini, era affittata per tre anni a semina e per tre anni a pascolo. Il riposo triennale e la concimazione, che le terre ricevevano dal bestiame, permettevano nel triennio di semina successivo raccolti più abbondanti. Nello stesso tempo l’affitto ad “erbaggio” forniva ai proprietari dei fondi denaro e formaggio. Grano e formaggio furono quindi nel Crotonese, fin dall’antichità, prodotti complementari, in quanto l’abbondanza del primo era legata a quella del secondo.

Caciocavallo Silano DOP

Durante il Medioevo

Le prime notizie che ci consentono di documentare la produzione del Caciocavallo nel Crotonese, sono contenute in un “quaterno” dei conti dell’abazia di Santa Maria di Altilia, presso Santa Severina, relativo all’annata della IX indizione (primo settembre 1490 – 31 agosto 1491), attraverso cui apprendiamo che, il 20 ottobre 1490, il procuratore dell’abazia aveva affittato a pascolo a donno Bernardo Pugliesi di Cellara, pertinenza di Cosenza, la metà del tenimento di “saline” posto in tenimento di Roccabernarda, per ducati 19, tari 2 e grana 10, da pagarsi metà a Natale e metà a Pasqua prossimi entranti. A tale titolo, spettava anche al detto donno Bernardo, il pagamento della “finaita” nei riguardi di coloro che possedevano il tenimento di “casalis novi”, confinante con quello di “salina”, attraverso la consegna di “parium 25 casicaballarum”. Secondo quanto asseriva frate Francisco de Lionecto di Pedace, abate di Santa Maria di Altilia, solitamente, la rendita di questo diritto valeva annualmente 12 carlini.[i]

Alla stessa maniera, attraverso un altro atto stipulato lo stesso giorno, il detto procuratore, per ducati 34, aveva affittato allo stesso uso e relativamente allo stesso periodo, il tenimento di “blasiematum” (Brasimato), posto tra Crotone e Santa Severina, con pagamenti metà a Natale e metà nel giorno della festa di San Giovanni, ai quali si aggiungevano “quinque pariis casicaballorum” a titolo di pagamento del diritto di Finaita.[ii]

L’antica origine di questa prestazione in natura (“jus finaytae”), dovuta ai feudatari del luogo da tutti coloro che prendevano in affitto i territori per uso pascolativo, in ragione dei danni provocati dai loro animali nei terreni confinanti, considerata l’assenza di barriere che delimitassero il pascolo,[iii] ci permette di riferire queste prime notizie che documentano la produzione del Caciocavallo in questo areale, ad un periodo molto più antico rispetto alla fonte tardo medievale in cui sono contenute.

Caciocavallo Silano DOP (da stradedelgustocalabria.it).

Un prodotto di valore

Durante la seconda metà del Cinquecento i formaggi che si producevano nei “vaccarizzi” del Crotonese sono i “raschi” e i pregiati “casi cavalli”. Possiamo farci un’idea dell’importanza di questi prodotti, da un rendiconto amministrativo dei beni del crotonese Lelio Lucifero, compilato dal suo fattore e procuratore Gio. Andrea Pugliese. Pur essendo il documento contabile ristretto al periodo compreso tra il 13 aprile e il 24 giugno 1586, si nota comunque l’importanza di questa attività economica. In poco più di due mesi, i capi vaccari delle due morre di vacche appartenenti al Lucifero, consegnarono al fattore per la vendita: 350 paia di “casi cavalli” e 545 “raschi”.

Una piccola parte di questi prodotti fu trasportata con un carro da un garzone della masseria a Pizzo, dove fu imbarcata per Napoli “per servitio” del padrone che si trovava nella capitale. Il rimanente fu venduto a “particolari” in Crotone: i “casi cavalli” a grana 25 il paio, diedero 75 ducati, i “raschi” a grana 5 l’uno, portarono 22 ducati, tari 1 e grana 5. Oltre alla vendita curata dal fattore, è da aggiungere quella fatta direttamente dai due capi vaccari nei vaccarizzi, che consentì loro di ricavare altri 52 ducati. Il formaggio fruttò quindi oltre 170 ducati, circa il 20 per cento delle entrate del nobile di quel periodo. Tra le spese sostenute, il fattore annotò l’acquisto di “quagli” e di sale, l’acconcio del “caccavo” di rame in cui si riscaldava il latte, e il salario ai fratelli Zanfili e Jacono delo Canto di Pietrafitta, i quali avevano lavorato “a fare la robba a detti vaccarizzi delle detti vacche”.[iv]

I prezzi riportati, evidentemente, si riferiscono ad un particolare periodo dell’anno e ad una annata che risentiva dell’aridità, essendo segnata dal fatto che “molti herbaggi nel territorio di questa città si persero, che non trovarno de affittare per causa che non ci concorsero cosentini, quali soleno pigliare in fitto dicte gabele, stante la disunione di questa provincia di Calabria Ultra dalla provincia di Calabria Citra”.[v]

Di solito essi variavano a seconda della stagione, dell’annata e dei luoghi. In genere nella primavera di una annata “normale” una “peza di caso” valeva dalle sette alle otto grana, una ricotta un grano, e un paio di casicavalli 12 o 13 grana.[vi] Tuttavia, durante il Seicento, le annate “normali” divennero sempre più rare, e il prezzo del formaggio subì forti oscillazioni.[vii] La produzione, curata particolarmente da personale specializzato proveniente dai Casali di Cosenza, era avviata in parte verso Napoli, e parte alimentava il mercato locale, dove il formaggio era consumato soprattutto dal ceto medio-alto, formato da nobili, ecclesiastici,[viii] proprietari terrieri e burocrati, e dai soldati spagnoli di passaggio o di guarnigione nel castello.[ix]

A Crotone e nei paesi vicini, esso era venduto nelle botteghe cittadine. Così nelle due “botteghe lorde” di Santa Severina sul finire del Seicento, si poteva acquistare assieme ad altri generi alimentari, anche “il caso (che) vale un carlino a pezza, quale è di libre sei nella fiscella, i casi cavalli due carlini il paio e son peso libre nove, li raschi a grana cinque l’uno, le ricotte uno grano l’una ed è di peso oncie otto”.[x]

cacio cavallo
Caciocavallo Silano DOP (da ruminantia.it).

Verso la capitale

Vendite di Caciocavalli effettuate per conto di feudatari, aristocratici ed ecclesiastici dal porto di Crotone e da altri approdi del Crotonese per Napoli, sono segnalate alla fine del Cinquecento e nella prima metà del Seicento.

Da un atto del 1590 stipulato in Cirò, apprendiamo che, innanzi al notaio e al magnifico Parisio Bisantio, erario della corte marchesale della terra di Cirò, stipulante in nome dell’Ill.mo signor Giuseppe Spinello marchese di Cirò, Minico Grispo di Praiano, patrone della fregata nominata Santa Maria di Porto Salvo, si obbligò a portare in Napoli con la sua imbarcazione e consegnare al detto marchese: 145 pezze di caso pecorino, 55 pezze di caso “bacchino” e “Casicavalli para cinque”. Prodotti riposti dentro 5 sacchi che, pesati dal detto patrone, risultarono rotola 319 con tutti i sacchi e un capo di corda ciascuno per legarli, per i quali quest’ultimo ricevette per il loro trasporto, la somma di carlini 29 e ½ di moneta del regno, alla ragione di carlini 7 e ½ al cantaro.[xi]

Gli atti di questo periodo, evidenziano che il Caciocavallo rappresentava un alimento ricercato, tanto che risulta spesso utilizzato dai vescovi e dai nobili locali, per omaggiare e ingraziarsi i funzionari e le autorità ecclesiastiche di Napoli, a volte attraverso la confezione di forme particolari che permangono nella tradizione locale, come si osserva ancora attualmente durante alcune fiere.

Ce ne offrono testimonianza alcuni atti relativi al viaggio compiuto dall’imbarcazione di Fabio Cacciottulo di Procida che, nel maggio 1591, per conto di Cornelia Spinelli, contessa di Martorano, e di Virginia Caracciolo, marchesa di Cirò, imbarcò a Crucoli e a Cirò: vino, olio, formaggio pecorino, “casi cavalli”, questa volta non riposti in sacchi ma “a travo”,[xii] e altri generi da portare a Napoli.[xiii] Dopo un primo carico effettuato il 13 maggio “nella marina di Cruculi”,[xiv] due giorni dopo l’imbarcazione fece scalo a Cirò, dove fu stipulato un atto di fronte al notaio Gio Domenico Durande di Crotone.

In quella occasione il detto Fabio, patrone del barcone nominato Santa Catherina, innanzi al notaio e al magnifico Parisio Bisantio, erario della corte marchesale della terra di Cirò, dichiarò con giuramento, di aver ricevuto dal detto erario diverse merci (vino, formaggio pecorino, semola di farina, lardo, “presutti”, ecc.), e di averle imbarcate “sotto la torre della lice”, tra cui: “raschi bacchini n° 50, Casi cavalli bacchini a travo para trenta, recotte salate de le tonde, et longhe n° 150”, ed inoltre, ulteriori “raschi 30” e “un Cavallo di Casicavallo con un’huomo, et due Collure simile di Casicavallo fatte a buccellato”, che prometteva e si obbligava a condurre nella città di Napoli, all’Ill.mo signor Giuseppe Spinello marchese di Cirò.[xv]

Nella realtà però, questi prodotti non giunsero mai a destinazione, nelle disponibilità del marchese di Cirò perché, come riferisce un atto del 31 maggio seguente stipulato in Crotone, durante il proseguo del suo viaggio verso Napoli, dopo essere giunta sopra “il capo de manna”, posto in territorio di Isola, l’imbarcazione procidana fu predata da due galeotte turche.[xvi]

Non abbiamo invece notizie di cattive sorprese riguardo al viaggio allestito dal crotonese Gioseppe Syllano che, nel maggio 1623, noleggiò la feluca di Giovan Battista del Corno, ancorata al porto di Crotone, per portare 5000 pezze di “formaggio pecorino paesano”, “raschi” e “casi cavalli” a Castellamare o Pizzolo o Amalfi. Secondo i patti convenuti, una volta giunto in uno di questi luoghi, a suo piacere, il Corno avrebbe dovuto consegnare la merce al mercante indicato dal Syllano, ricevendo così ducati 65 per il nolo; con patto però che, all’imbarco, avrebbe dovuto accettare a bordo una persona di fiducia del Syllano in qualità di “sopra carico”.[xvii]

Pur continuando a rimanere un formaggio prodotto e consumato comunemente in tutto il Crotonese,[xviii] per buona parte del Seicento, l’estrazione di partite di Caciocavalli dal porto di Crotone, rimase un fatto episodico e marginale, sia rispetto ad altre qualità di formaggi che rispetto ad altre merci. Ciò nell’ambito di un quadro generale particolarmente sfavorevole, determinato dalle razzie delle marine ioniche da parte dei pirati turchi, dalle pestilenze e dalle calamità naturali, che colpirono gli abitanti e le mandrie, impoverendo la popolazione e rendendo pericolosi e difficoltosi i traffici.

Sul finire di quel secolo, venendo meno le condizioni svantaggiose, riprendeva sviluppo l’allevamento del bestiame e, legato ad esso, il commercio dei formaggi, che uno scritto del tempo descrive fiorente: “Inoltre come che la città di Cotrone nutrisce nel suo ampio territorio molti armenti di vacche e pecore il di cui frutto di latticinii è copioso … sono robbe di negotio, che non vengono per grassa della città ma per industria di particolari o padroni, o compratori”.[xix]

Cavallucci di provola sui banchi di una fiera in provincia di Catanzaro (da foodmission.it)

Caciocavalli e provole

Nel Settecento i tipi di formaggio prodotti nel Crotonese sono: “provole grasse e grosse”, “cascio pecorino di due pezze l’una e d’una pezza l’una”, “ricotte fresche”, “ricotte salate”, “raschi e casi cavalli”. Questi prodotti erano realizzati durante il periodo in cui le mandrie, lasciata la Sila, si stabilivano sui pascoli al piano. Esse scendevano nel Crotonese sul tardo autunno per risalire a fine primavera. Il prezzo del formaggio era quindi legato alla loro permanenza, alle condizioni climatiche e alla quantità dell’erba. Di solito diminuiva man mano che avanzava la primavera, per poi aumentare dal momento della partenza verso i pascoli della Sila fino al loro nuovo arrivo al piano. All’inizio del Settecento il prezzo di una pezza di formaggio pecorino poteva variare dai 10 ai 16 grana, un paio di “casi cavalli” dai 20 ai 33 grana e un rasco da 8 a 12 grana.[xx]

Dal processo segnato “Cribari 1752” riguardante la difesa silana denominata “Sculca Prima”, posta sotto sequestro con tutti i beni mobili in essa ritrovati, apprendiamo che, in quell’occasione, furono sequestrate 90 vacche di D. Filippo Falco e altri, “provole paia 31, e raschi n° 131”.[xxi]

Misure di capacità. cantaro = Kg. 89 = 100 rotoli; libbra = gr. 320,75.

Monete. 1 ducato = 5 tari = 100 grana = 10 carlini.

 

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NOTE

[i] “Ass(ertum) scriptum actum xx octobre viiij.e ind(ictione) in santa severina suo scriptum manu donni bernardi pugliesi et q.atuor testium quo apparet dictum macteum procuratore no(mi)ne Ill.i dop(ni) caruli vendidisse dicto donno bernardo medietatem tenimenti saline certis finibus limitatum eo modo … … tentum p(rae)terito anno pro ducati 19 t(a)r(i) 2.10 solvendorum medietatem in nativitati et medietatem in pasca tunc prima futura et predictus dopnus bernardus teneatum de finaita casalis novi jux(ta) salinam et in pariis 25 Casicavallarum Die ultimo decembre 1492 frater franciscis de lionecto de pedacio pertinentiarum cusencie monacus dictum abate sub juram.to affirmavit dictum reditum finaiti juxta solitum esse quolibet anno carlenorum duodecim + quere int.oitum dictorum parium 25 casicaballarum : f.o 84 app(aret) introytus.” ASN, Regia Camera della Sommaria, Liquidazione dei Conti, Dipendenze della Sommaria, Prima Serie, 306/3, f. 24.

[ii] “Ass(ertum) scriptum actum 20 octobre q.atuor testibus subscriptum q.o apparet dictum macteum procuratorem vendidisse nominatum in … tenimentum blasiematum pro duc(ati) 34 pro anno viiij.e ind(ictione) solvendis in duibus tandis nativitatis et santi johannis et cum q q quinque pariis casicaballorum que + Quere”. ASN, Regia Camera della Sommaria, Liquidazione dei Conti, Dipendenze della Sommaria, Prima Serie, 306/3, f. 24v.

[iii] Diritti feudali a Santaseverina, in Siberene, Cronaca del Passato per la Diocesi di Santa Severina, p. 562. Il pagamento in natura del diritto di Finaita, è documentato anche attraverso altre fonti del periodo: “Item se fa mintioni como per ipso Ant.o foro reciputi de piu personi peczi cento et decedocto de caso et peczi 16 de ricocte de tenim.ti de tacina anni iiij indictione per ragioni de finayti et jornali lo quali caso et ricotte foro assignati ad petro pou et stefano puglise castellani delo castello de castella per monicione de quello”. ASN, Dipendenze della Sommaria, I Serie, Fs. 552, f. 47.

[iv] ASCZ, Busta 108, anno 1614, ff. 193-211.

[v] ASN, Dip. Som. 315/10, f. 33.

[vi] Prezzi di alcuni generi alimentari: 1 rotulo di carne di vitella 8 grana, di pesce 5 grana, di mele 20 grana, di salsicce 14 grana, 1 gallina o un porcellino 20 grana, una nenzanella di vino bianco 15 grana, 1 cannata d’olio 10 grana ecc. ASN, Conti comunali di Melissa, 1561/1562, fasc. 199/5, ff. 5 sgg.

[vii] Nel giugno 1600 una “pecza di caso” vale 15 grana. ASCZ, Spese per metire la masaria, 1600, Carte di S. Chiara di Cotrone, Cart. 26, n. 1784/96.

[viii] Dal giugno 1703 a quello successivo, le clarisse di Crotone acquistarono 45 paia di casicavalli, 40 raschi e 300 pezze di pecorino. AVC, Platea del monastero di S. Chiara, 1703/1704, s.c.

[ix] Nel novembre 1651 le riserve del castello consistevano: Grano forte bianco tt.a 820; Fave tt.a 102; Sarde salate barili 8; Sale di pietra cantara 6 e rotola 29; Carne salata di porco cantara 14 e rotola 27; olio lampante militra 297; caso pecorino paesano pezze n. 1066, mosto salme 120; vino vecchio salme 30; aceto salme 20. ASCZ, Busta 229, anno 1651, ff. 101-102.

[x] Un apprezzo della città di Santa Severina, in Siberene, Cronaca del Passato per la Diocesi di Santa Severina, p. 142.

[xi] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, f. 110v.

[xii] L’origine del nome Caciocavallo è in relazione all’uso di legare in coppia il formaggio e di appenderlo a cavallo di una trave.

[xiii] ASCZ, Busta 49, anno 1591, ff. 72-76.

[xiv] ASCZ, Busta 49, anno 1591, ff. 72-76.

[xv] ASCZ, Notaio Durande G. D., Busta n. 36, ff. 157-157v.

[xvi] 31 maggio 1591, Crotone. Il mag.co Giulio Caco, erario dell’Ill.ma Cornelia Spinelli contessa di Martorano, asseriva che, il 13 maggio 1591, “nella marina di Cruculi”, era stata caricata la barca patronizzata da Fabio Cacciuttolo di Procida, con trenta botti di vino e una di olio, da portare a Napoli per conto della detta contessa, e di Virginia Caracciolo marchesa di Cirò. Partita per seguire il suo viaggio, giunta che fu sopra “il capo de manna”, la barca fu pigliata da due galeotte turchesche. ASCZ, Busta 49, anno 1591, ff. 72-76.

[xvii] ASCZ, Busta 117, anno 1623, ff. 51–52.

[xviii] Il 16 febbraio 1621, in Policastro, a causa dei debiti, si procedeva alla esecuzione di “pares decem et otto Casicavalli” appartenenti a Fabio Rotundo di Policastro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 4-6v.

[xix] AVC, Lettera del Capitolo contro il lavoro festivo, 1691, s.c.

[xx] AVC, Platee del monastero di Santa Chiara, 1703/1704, 1707/1708, s.c.

[xxi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 790.

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Publicato da Arsac Ufficio Marketing Territoriale

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