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L’allevamento delle razze equine nel Crotonese, raccontato attraverso le fonti storiche

 

Esemplare appartenente alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

“Per l’uso della guerra abbiamo cavalli, per copia, quasi innumerabili, e per qualità eccellentissimi; poiché, quanto al primo, non pur li signori maioraschi della provincia ma li privati ancora ne tengono le razze, l’una migliore dell’altra tanto ch’appena si incontrerà campagna aperta, che non sia da vederla coverta da somiglianti mandre. (…) E questa, io credo, stata fosse la cagione onde gl’antichi re del Regno allevavano le lor razze de’ cavalli nella Calabria, cioè oltre per la comodità de’ pascoli, per infortirli all’uso delle guerre, cotanto frequenti di quei tempi.”[i]

Museruola di bronzo per cavallo (a sin.) del periodo greco proveniente da Crotone, esposta in una mostra a Brescia (da FameDiSud).

La razza “calabrese”

Agli inizi del Novecento, il crotonese Armando Lucifero (1855-1933), sulla scorta di uno scritto inedito del marchese Antonio suo padre, della propria esperienza e delle proprie congetture, affermava che, circa un secolo prima, “ancora esisteva in Calabria una razza equina peculiare, che aveva fattezze spiccate e caratteristiche, e mantello quasi sempre uniforme. A questa razza davasi l’aggettivo di calabrese, ed era di taglia elevata, di complessione forte e robusta, di testa grande e montonina; di collo grosso e corto, sovente con lacerto e con foltissima criniera; di petto largo e ben formato; di groppa scesa, ma tondeggiante; di coda oltremisura fioccuta, ma con attacco difettoso, onde poco atta a muoversi e ad elevarsi; e di gambe grosse, ma abbastanza asciutte. Il mantello d’ordinario era il baio nelle sue diverse gradazioni, predominante il dorato.”

Sempre secondo quanto aveva appresso dagli scritti del padre, egli affermava poi, che risalivano al Medioevo i primi tentativi di miglioramento di questo cavallo autoctono, attraverso l’introduzione di “stalloni pugliesi per accrescerne la statura, ed andalusi per accrescerne l’eleganza delle forme, delle movenze e dell’andatura”, con risultati che “non danneggiarono la resistenza dell’animale e ne migliorarono per di più sensibilmente la forma.”

Il fatto comunque che, secondo l’uso corrente, i riproduttori fossero scelti sempre nell’ambito della “razza”, o comunque in quella di altri allevatori vicini, e non avendo quindi “alcuna mescolanza con razze forestiere, almeno recenti”, garantì a questo cavallo una certa costanza del tipo nel tempo, anche se le sue forme risultavano “alquanto grossolane”, cosa che non gl’impediva di essere comunque ottimo sia “per tiro che per sella”, essendo dotato “di una resistenza che usciva dalla comune.”

Frammenti marmorei conservati al Museo Archeologico Nazionale di Crotone.

 

La cavalleria

Con l’avvento del Feudalesimo e l’affermazione di una classe di signori che fondò il proprio dominio e basò la propria egemonia sulla forza della cavalleria, l’allevamento del cavallo fu indirizzato maggiormente verso tipi che, per robustezza e resistenza, fossero capaci di assicurare al cavaliere medievale, ossia al “miles”,[ii] un valido strumento.

La corrispondenza tra il termine “miles”, che ricorre nei documenti latini, e quello di “cavaliere” (ϰαβαλλάριoς), che troviamo negli atti scritti in greco, risulta ben evidente nel caso di “Laurentius” milite di Santa Severina. In un privilegio dell’ottobre 1220, ricopiato in un atto di conferma fatto al monastero di S. Giovanni in Fiore nel 1233, leggiamo: “tenimentum, quod Laurentius miles civis Sanctae Severinae obtulit ei in Feruluso”,[iii] mentre un atto del gennaio 1223, riporta la sottoscrizione di “domini Laurentii militis et iudicis Sanctae Severinae”.[iv] Risale invece al gennaio 1226 (a.m. 6734), il testamento di Clementia moglie del ϰυρoυ λαυρεντoυ ϰαβαλλαριoυ ϰαὶ ὀμωτoυ ϰρητoυ (“domini Laurenti Caballarii et Iudicis iurati”), scritto in greco a Santa Severina.[v]

La necessità di disporre di soggetti sufficientemente forti e resistenti, tali da poter sopportare il peso dell’armamento del milite e le privazioni delle lunghe campagne, determinò così una selezione specifica nell’allevamento del cavallo e la comparsa accanto al classico tipo “da sella” (“palafredum”) più pregiato, di un altro tipo di minor pregio detto semplicemente “equum” oppure “roncinum”, destinato a equipaggiare i “milites” e i loro scudieri (“scuterii”) in battaglia.

Una idea circa l’equipaggiamento in cavalcature e armi necessario all’operatività di un milite verso la fine del sec. XIII, c’è fornita dal corredo di due feudatari compresi tra i “Baronum et Feudatariorum Aprutii”, che presentarono “ad monstram” tutto il necessario previsto dal loro obbligo feudale.

In questa occasione, “pro servitio unius militi, et dimidii”, il dominus “Gentilis de Sangro” presentò due cavalli da battaglia (“equos”), bardati con coperte e testiere in rete di ferro, un cavallo da sella (“palafredum”) e due somari (“somerios”). L’armamento del milite comprendeva una giubba (“Iuppam”), un corpetto con guanti (“panseriam unam cum manipulis”) e un camicione decorato con le insegne del proprio signore (“camisonem unum rubeum cum signis domini Gentilis”). Oltre allo scudo (“clipeus”), completavano il suo armamento difensivo, un cappuccio di ferro (“caputium”), la “cerbelleriam” di cuoio e un “cappellum” di ferro per la protezione del capo, mentre quella dei piedi e delle gambe, era assicurata da un paio di “calcarium de ferro” e da “gamberias de ferro cum genulgeriis”. Per quanto riguardava invece la parte offensiva dell’armamento del milite, troviamo che questo era composto dalla spada (“ensem”) “cum cultello feritorio” e dalla “lanceam”. Analogo a quello del milite era l’equipaggiamento dello scudiero (“Scuterii”).[vi]

Cavaliere in armi (miniatura del sec. XIV).

La regia razza equina

L’importanza dell’allevamento degli equini nel Crotonese durante il Medioevo, è evidenziata dalla presenza di una marescallia deputata all’allevamento delle regie razze equine che, analogamente ad altri territori del regno, era ubicata “ubi ydoneitatem loci et habundanciam pascuorum commodius esse”,[vii] dovendo soddisfare i bisogni del regno riguardo all’approvvigionamento di cavalcature per il regio esercito.

La marescallia regia di Crotone compare già nei primi documenti del periodo angioino, anche se la sua esistenza è sicuramente più antica. Mentre re Carlo I d’Angiò si trovava all’assedio di Lucera, nel giugno 1269, accogliendo la supplica del canonico e procuratore della chiesa di Crotone, Sellicto, ordinava al “magistro Marescalle Cutroni” di versare alla chiesa crotonese le decime della marescallia regia, sita presso il casale di “Cromicti”, territorio di Crotone, relativamente ai due anni trascorsi e quelle del presente, confermando al vescovo di Crotone, allora sede vacante, tale diritto. La chiesa di Crotone ne godeva fin dai tempi dei re normanni, ma ne era stata privata in occasione della ribellione al re.[viii]

Agli inizi della dominazione angioina, Carlo I, ordinava ai “Mag. aratiarum regiarum” Goffredo Bovet ed Erardo de Alneto di ripararla[ix] e, sempre in questi anni, disponeva di non molestare il milite Iohannes de Rocca, per via di alcuni “stallonis” che si diceva avesse avuto dalla regia marescallia di Crotone,[x] mentre risale al 1282, il suo ordine a tutti i “Maestri della Marescallie di Puglia e di Calabria”, di mandare i cavalli necessari per equipaggiare i cento Saraceni che dovevano recarsi a combattere in Sicilia con il regio esercito.[xi]

Esemplare appartenente alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

La struttura della scuderia regia

Per i bisogni dell’esercito, era pertinente all’ufficio del marescallo disporre affinché i castelli e le città fornissero ai soldati del re e alle loro cavalcature, i ricoveri (“hospicia”) e il vettovagliamento (“fodrum”) dovuti, provvedere a rendere loro percorribili strade e ponti, e contribuire alla composizione della “guardiam pro persona domini”. Spettava inoltre al marescallo provvedere circa selle, briglie e altri finimenti opportuni “pro equis aracie (omnibus) Regni”, e alla sua cura spettavano tutti i cavalli domiti di qualunque provenienza, mentre, invece, nel caso dei muli adibiti al trasporto (“ad bardam”), tale cura spettava al camerario.[xii]

Il 30 aprile 1240, si ordinava al marescalco “Petro de Calabria”, ossia a “Petrus Ruffus de Calabria”,[xiii] di mandare alla regia curia attraverso Mattheo de Cocciata, “omnes pullos equinos, engastos et mulos qui sunt sub custodia tua et projecerunt octo dentes vel projecerint hac estate”.[xiv]

Per la conduzione della regia marescallia il “marescalco” riceva mensilmente un compenso in denaro di 1 oncia,[xv] mentre il “notarium” che si occupava di rendicontarne i conti, percepiva annualmente un salario di 4 once e la coperture delle spese da parte della curia.[xvi] Di questo vertice aziendale faceva parte anche un “massarius” che, secondo il “consilium et arbitrium magistri massarii”, disponeva di una sufficiente “familiam” al suo servizio, composta da personale appartenente a diverse categorie di lavoratori agricoli di condizione servile.[xvii]

Per quanto riguarda l’allevamento degli equini, lavoravano nella marescallia regia gli “scuterii, i jumentarii, i senescalchi, gli scozzonatori, gl’inservienti”.[xviii] Ciascuno degli scuteri (“scuteriorum”), deputato alla custodia degli stalloni presenti nella scuderia, riceveva mensilmente 3 tareni e grana 15, oltre a 2 tomoli di frumento “pro victo”, ovvero “pro vivanda”, e a barili 1 ½ di vino “pro potu”, alla misura del barile di Amantea. Alla stessa maniera era retribuito ogni giumentario (“iumentarius”), deputato alla custodia delle giumente e dei puledri al pascolo, che però non riceveva il vino.

Per ogni “roncino” della Curia che avesse cavalcato, era prevista ogni notte una razione costituita dalla terza parte di un tomolo di orzo. La stessa razione era stabilita anche per ogni puledro (“pultro”) mentre, ogni gruppo di cinque “stallonibus”, riceveva due tomoli di orzo ogni notte.[xix]

Le spese “in pecunia” sostenute per la retribuire i “iumentariis” e gli “scuteriis”, come quelle per acquistare il frumento e il vino che erano dati loro “pro vivanda” e “pro potu”, le spese per i “servis Curie” e per le altre persone deputate “ad servicia araciarum ipsarum”, quelle per l’orzo dato agli stalloni “pro annona”, e quelle per acquistare l’olio utilizzato per l’illuminazione e per le medicine,[xx] erano registrate dal notaro della marescallia, che provvedeva anche alla compilazioni periodica di inventari, sia degli animali, sia delle attrezzature, scorte e personale presenti.

Esemplare appartenente alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

Era stabilito infatti che, al principio dell’anno, fossero fatti quattro inventari contenenti “omnia animalia araciarum”, riportando le tipologie dei mantelli (“pilaturas”) di tutti i soggetti, le loro particolarità (“balsanaturas”), nonché i marchi e i segni (“mercatura et signa”),[xxi] di tutte le “iumenta, stallones, staccas, pultras et pultros, mulos et mulas, asinos et asinas” presenti, nonché gli utensili, i “servos” e ogni altra cosa deputata “ad servicium, commodum et utilitatem” della razza.[xxii]

A riguardo del marchio (“merco”), in particolare, si raccomandava di non marcare gli animali “in massillis” come si era fatto nel passato, ma alla coscia sinistra o a quella destra, con il “merco Curie nostre consueto ad florem de lisa”,[xxiii] affinché ciascun animale risultasse chiaramente identificato.

Il marchio di un cavallo riportato in un documento seicentesco.

Il valore rilevante di ogni singolo capo consigliava infatti un attento controllo per prevenire furti e sottrazioni. Agli inizi del Trecento, un “roncino” sopra i tre anni valeva quattro once, mentre una giumenta della stessa età ne valeva tre. Allo stesso modo, un puledro di due anni era valutato 3 once, mentre 2 once era valutata la sua corrispondente femmina. Gli asini, maschi e femmine, che circa un secolo prima si valutavano “solidis octo”,[xxiv] valevano ora una oncia ciascuno, mentre il loro puledri valevano sette tareni al compimento del primo anno e quindici tareni al secondo. Quattro tareni è il valore riportato per ogni “mulo vel mula” (1 oncia =30 tareni).[xxv]

Lo scrupolo e l’attenzione prestati da questo punto di vista, alla descrizione di ogni animale presente nella scuderia, si evidenziano in un atto del 26 marzo 1270, riguardante i beni componenti il bottino fatto dagli Angioini in occasione della presa di Gallipoli, quando risultano dettagliatamente descritte le cavalcature dei “diversorum proditorum” catturati (tra cui quelle di “Raynaldum de Ipsicro” e di altri ribelli crotonesi e cosentini), rappresentate da 33 “roncinos” (in un caso detto “equum”), 2 “palafredos” e 2 “mulos”, che furono tutti assegnati da Guarmundo de Albeto, magister della regia marescallia, a Philippo de Monstrolio e Iohanni de Alneto “ad opus eiusdem Marescalle”. Sono menzionati cavalli di pelo “ferrantis”, “liardi”, “lyardi et obscuri”, “liardi nigri”, “morelli”, “bay”, “sauri” e “grisi”, di cui si evidenziano i segni particolari (balzane), un mulo di pelo “liardi” e l’altro “morelli”.[xxvi]

Esemplari appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

Il ciclo di produzione

Secondo la consuetudine locale, rimasta in uso fino a tempi relativamente recenti, ogni “razza” era normalmente costituita da mandrie di 30-40 giumente, condotte allo stato brado tra la Sila, durante la bella stagione, e le marine del Crotonese dove discendevano agli inizi dell’autunno per trascorrervi l’inverno e parte della primavera, governate da “custodi, che curavano di riunirle di quando in quando, per verificarne il numero.”[xxvii] Quando si trovavano al pascolo nel territorio diocesano gli animali erano soggetti al pagamento della decima nei confronti dei vescovi.[xxviii]

Le giumente erano avviate alla riproduzione dopo aver compiuto i tre anni d’età, e la loro monta aveva inizio dal mese di marzo, quando la mandria si trovava nelle marine e cinque “stallones” erano considerati sufficienti per ogni cento giumente. Considerata una gravidanza di undici mesi, il parto poteva avvenire così all’uscita dell’inverno, al piano, dove il giovane puledro aveva il tempo di rinforzarsi, per poter seguire successivamente la madre durante l’alpeggio.[xxix]

Era comunque uso comune durante questo periodo, fornire la mandria delle giumente di un certo numero di cavalli “garagnoni”,[xxx] considerati “molto necessarii appresso le giomente”, per coprire durante l’estate quelle che non erano rimaste gravide durante la monta ordinaria primaverile con gli stalloni, nonché per ovviare alla naturale tendenza a disperdersi delle giumente “dismanmate”, che la compagnia del “garagnone” contribuiva invece a mantenere nella mandria.[xxxi]

Con lo scopo di ottenere un certo numero di muli, le primipare meno pregiate si facevano montare dall’asino, anche per ovviare alla loro scarsezza di latte, cosa che avrebbe potuto facilmente determinare la morte del puledrino meno rustico del “muletto”,[xxxii] mentre le migliori si facevano accoppiare esclusivamente con il cavallo, al fine di ottenere i soggetti più pregiati. Come raccomandava già nel 1275 re Carlo d’Angiò a “Eustasio de Davide di Matera maestro delle razze di tutta la Calabria”, indicandogli “il tempo nel quale doveasi marchiare ogni animale” con il marchio regio che era “ad florem de lisa” e, successivamente, nel 1281, quando gli dava ordine di dividere le “iumenta pulcriora nobiliora et meliora et stallones pro eis montandis et semotis ab aliis custodiri faciant ut ex fetibus dictorum Jumentorum et stallonum Equos pulcros et nobiles habere possimus.”[xxxiii]

La documentazione del Cinque e Seicento, come quella medievale, evidenzia che sia i puledri del cavallo che quelli dell’asino, erano detti “pollitro seu pollitra” fino all’età di tre anni,[xxxiv] anche se era comunemente in uso anche il termine “staccone” per il maschio, e “stacca” per la femmina,[xxxv] che, nel caso del cavallo, ricorre nei documenti in qualità di “staccam equinam”, “staccam jumentinam” o “stacca Cavallina”.[xxxvi] Il termine “scerrata”[xxxvii] ricorre analogamente a quello di “Giomenta selvaggia”.[xxxviii]

Giunti all’età di tre anni i “puledri” erano venduti, e così le “giovani femmine, che non restavano nella razza; cercando sempre di equilibrare la quantità degli animali con quella dei pascoli.”[xxxix] Secondo quanto riferisce il Lucifero, mantenere allo stato brado i puledri selvaggi fino ai tre anni d’età, comportava però successive difficoltà nella loro doma e addestramento che, comunque, potevano essere ovviate, facendo trascorrere loro qualche giorno in scuderia con la cavezza durante il secondo anno.[xl]

Esemplari appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

La soccida

Come nel caso di altre specie, anche nell’allevamento medievale dei cavalli troviamo il ricorso a forme di compartecipazione tra i proprietari degli animali e coloro che si assumevano l’onore della loro custodia, in cambio di un guadagno che, in genere, comportava la cessione a questi ultimi della metà dei puledri nati (“ad medietatem pullorum”).

Nel maggio 1243 in Policastro, in “presencia iudicum Policastri” e di altri “proborum virorum”, “Michael senescalcus et Robertus Mullicutus”, in qualità di “fideiussores”, attestavano che la “domine Marie”, moglie del quondam “domini Palmerii de Tieto” (?), aveva ricevuto da dopno Bartholomeo, venerabile abbate e dal convento di Sant’Angelo de Frigillo, “iumentum unum”, che faceva parte delle “iumentis” che il predetto monastero doveva corrispondere a detti coniugi, per aver ottenuto da questi per dieci anni, la terra detta “Pantanus” posta “in tenimento Policastri in Albano”.

In relazione a ciò si affermava così che il monastero aveva ottemperato alla consegna ai detti coniugi di tutti gli “animalia” previsti da tale “pactum”, contenuto in un atto stipulato precedentemente, escluso “iumenta duo” che il monastero avrebbe invece custodito “ad medietatem pullorum”, mentre i due garanti s’impegnavano sopra i propri beni, a restituire allo stesso l’equivalente in denaro della giumenta nel caso che quest’ultimo non avesse potuto detenere la terra in questione per tutto il tempo previsto.[xli]

In altri casi, invece, venute meno le garanzie offerte, per risolvere una questione aperta con una controparte potente, si preferiva ricorrere all’aiuto di un personaggio di spessore. Nel dicembre 1248, in Dipignano, Sibilia, moglie del quondam Arnone “de Lauratiano”, assieme ai figli Nicola e Bruna, e con il consenso di Riccardo, figlio di Perro Bandifori, mundualdo di Sibilia, cedeva a Gualterio “de Cusencia”, vescovo di Nicastro e notaro dell’imperatore, ogni diritto su nove “iumentis” che il detto Arnone aveva ceduto “ad custodiendum” al monastero di Sant’Angelo de Frigillo.[xlii]

Giumente e puledri appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone in occasione di una mostra (foto fornita da Daddo Scarpino).

Nel periodo aragonese

L’allevamento delle regie razze equine tra le marine di Crotone e i monti della Sila continuò a essere praticato ancora durante la dominazione aragonese, come documenta un provvedimento di Francisco de Siscar dato “in regio castro civitatis Catanzarii”, il 6 marzo 1451, indirizzato all’università e uomini della città di Crotone, in favore di Gabriele Baglioni di Crotone, in cui si evidenzia che, “per guberno et substentacione del cavalli nostri et altre bestie vostre”, era stato destinato “quillo terreno verso la marina” posto nel territorio della città.[xliii]

Attraverso la capitolazione concessa ai cittadini di Cosenza e casali in Napoli il 21 novembre 1481, apprendiamo invece, che questi ultimi supplicavano il re affinchè la nuova “defesa” che impediva loro il pascolo, fatta per le giumente regie “alla Sila dela dicta Città”, fosse spostata “alla Sila de Tacina” dove si usava fare precedentemente al tempo di re Alfonso.[xliv]

L’esistenza di una difesa regia riservata “per le iumente”, fatta da re Alfonso in luoghi silani prossimi ai confini con il territorio di Policastro e con il tenimento dell’abbazia di San Giovanni in Fiore, si rileva successivamente nei capitoli, suppliche e grazie, richieste dall’univerisità ed uomini della città di Cosenza e concessi da re Federico il 14 settembre 1497. In quella occasione, si poneva all’attenzione del sovrano che, in questo luogo, dove avveniva il “transito del bestiame”, esisteva la “defesa chiamata Anghiarella” che i Cosentini chiedevano fosse lasciata loro “como era ab antiquo”, in maniera da potersi destinare al pascolo del proprio bestiame, revocando qualunque concessione fatta precedentemente. A tale richiesta il sovrano appose il suo placet, condizionato però dalla condizione “si dicta defensa reperitur in domanio curie.”[xlv]

Le località “Agnara e “Agnarella” presso il lago Ampollino, in un particolare della carta del TCI del 1928.

L’attacco del lupo

L’andirivieni stagionale delle mandrie transumanti tra le montagne silane e le marine del Marchesato fin da tempi molto remoti, ebbe influenze importanti sulle abitudini del lupo nel Crotonese legate a tale aspetto, i cui branchi, in particolare, seguivano il movimento delle mandrie di giumente, più vulnerabili dei bovini agli attacchi del predatore, in ragione della difficoltà per i mandriani di poterle custodire adeguatamente, per la loro naturale tendenza a vagare solitarie al pascolo, in quanto:  “le giumente si disuniscono et vanno erranti, et non si ponno custodire, et quelle che menano a dietro allievo piccolo non ponno difenderlo dalli lupi, trovandosi dismanmate che molte se ne perdono in tal modo e si dà anco occasione a ladri di rubare decti allevi piccoli che trovano for di mano, mentre che non sono anchora col merco regio, talchè non si possono conoscere.”[xlvi]

Il 4 settembre 1451, Martino Iohannes Escarer faceva intervenire il capitano di Mesoraca Iohannes de Comito, a seguito della “querela seu peticio” fatta da Riccio de Catania “gubernatoris curatoris seu mongonis iumentorum et pultrorum Sacre Regie Maiestatis”, cui erano stati affidati “certos pullos equinos” delle regie razze pascolanti “in tenimento Misurace et Bellicastri”, nel luogo detto “la Rigecta”, “sub custodia” di alcuni giumentari con a capo un certo Nicolao Briccio, il quale contravvenendo alle disposizione date dal detto Riccio e in sua assenza, aveva condotto gli animali in quel “malum locum et voluptalemosum qui dicitur Lu passu de lu lavandaro”, dove un puledro di “pilature liarde scure vulgariter nominate”, dell’età di due anni in tre, era stato divorato dai lupi in danno della Regia Maestà.[xlvii]

Anche se questi episodi descrittici nei documenti, nascondono spesso frodi legate alla larga diffusione dell’abigeato a tutti i livelli,[xlviii] come testimoniano i capitoli concessi alla “universitatis et ho(mi)num t(er)re Pulicastri”, dati “in castris nostris felicibus prope Roccam b(erna)rdam” il 17 novembre 1444, VIII indizione: “pete la dicta universita de la prefata maiesta che si degia degnare farene restituere iumente tredichi infra grande e pichole le q.ale foro colte per certi ho(min)i de petraficta et foro pigliate have circa dece di Et queste ademandamo Ala dicta ma.ta considerato expectavamo per dareni alle mano soy”,[xlix] il lupo costituiva comunque sempre un alibi verosimile, come attestano diversi atti del Cinque-Seicento, che lo segnalano a Umbriatico,[l] Policastro,[li] fino ai boschi di Crotone e di Isola.[lii]

Esemplare di lupo fotografato nel maggio 2020 per le vie cittadine di Crotone dopo il lockdown (da CrotoneNews).

Cavallo da re

Durante il Viceregno, l’attività di allevamento delle razze equine, comune e diffusa nei diversi centri del Crotonese durante il Medioevo,[liii] continuò ad essere largamente praticata anche con punte di eccellenza, come si evidenzia nell’aprile e nel giugno del 1517, quando il “nobile Cola bagloni” di Crotone fu pagato in relazione al denaro prestato per alcune spese della corte cittadina, tra cui risulta il dono di un cavallo del valore di quindici ducati, portato dal sindaco di Crotone Jo. Antonio Bonello a Sua Maestà Cattolica,[liv] mentre, secondo quanto riporta il Fiore, il dono di un cavallo calabrese sarebbe stato fatto dal Duca di Mantova anche al re di Francia Carlo VIII.[lv]

Andò invece decadendo l’interesse del regno nel condurre l’allevamento delle regie razze, gestendo direttamente masserie a tale scopo nel Crotonese, mentre sappiamo che, per i bisogni della guerra, i militi appartenenti alle unità dislocate sul territorio, provvedevano a proprie spese per l’acquisto delle loro cavalcature, usufruendo comunque delle contribuzioni dei luoghi in cui stanziavano per il loro mantenimento secondo le regie pragmatiche.

Queste, oltre alle spese per le stalle e il foraggiamento dei cavalli, prevedevano anche di dover soccorrere i militari per eventuali loro bisogni in termini di cavalcature, come evidenzia un atto del 7 marzo 1586. Quel giorno, il capitano di fanteria Don Arias de Sylva, in transito da Cirò proveniente da Strongoli, gravato dai malati, dalle masserizie e dalle armi, dovendo far fronte anche alle inclementi condizioni atmosferiche, chiedeva ai rappresentanti dell’università di Cirò, che gli fossero forniti i muli e i somari (“le bagaglie”), per come previsto nelle regie pragmatiche. Chiedeva, inoltre, che gliene fossero venduti altri 12 o 15 che però avrebbe pagato con il suo denaro, perché “come è notorio, et se vede, è invernato, et li fiumi son grandissimi, et pericolosissimi de passarse, et le strade fangosissime, et malissimo camino, et la pioggia sopravene assai, …”. Il giorno successivo, fuori la porta “de Mavilia” di Cirò, il detto capitano provvedeva a restituire al m.co Blasio de Sunnica, deputato della città di Strongoli, le bestie che gli erano state fornite dai cittadini di quella città.[lvi]

Giumente con i loro puledri appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).

Ci riferiscono invece della compravendita di cavalli, alcuni atti riguardanti i militi delle compagnie stanziati nel Crotonese durante la bella stagione. Il testamento del “mag.ci didaci romero de t(er)ra Lucene pertinentiarum hyspanie militis hispani, seu equitis levis armaturae Comitive d(omi)ni Dieci carnascialis”, stipulato il 19 agosto 1563 in Cirò, evidenzia che quest’ultimo vantava i seguenti crediti: dal “s.r Andrea de mesa caval legiero spagnolo del midesma compagnia del s.r don dieco”, per vendita di un cavallo ducati 30; dal “s.r “jo(ann)es de poveta spagnolo e caval legiero del detta compagnia”, ducati 5 per la vendita di un cavallo “baio”. In questa occasione egli istituiva “exequtore” del suo testamento il cantore di Umbriatico, a cui affidava il compito di vendere un suo cavallo “liardo” che teneva in Cirò. Disponeva che il cantore di Umbriatico avrebbe dovuto impiegare 10 ducati provenienti dalla vendita del suo cavallo, nel maritaggio di una povera orfana, ed il resto l’avrebbe dato ai poveri e per farne il suo funerale “onestam.te”.[lvii]

Il 27 dicembre 1606, in Policastro, davanti al notaro, si costituivano, da una parte, Gio: de Olimpia, Gio: Petro de Mattio e Valentino del Duca, tutti della terra di Rotigliano, provincia della Terra di Bari, soldati della “Compagnia di gravina”, in qualità di tutori di Antonio Caporiccio “olim soldato di detta Compagnia” mentre, dall’altra, compariva Petro Ant.o Pagano di Sant’Agata delli Goti, “similm.te soldato di gravina”, per la vendita di un cavallo “di pilatura baio Castagno Gambi nigro mercato a destro”, appartenuto al detto Antonio, che era stato venduto al detto Petro Antonio per la somma di ducati 41 e ½, come risultava dalla “polissa” stipulata in Santa Severina il 23 novembre 1606.[lviii]

Giumente con i loro puledri appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).

Cavalli, asini e muli

Accanto agli animali utilizzati per i bisogni della guerra che, oltre a possedere caratteristiche di forza e resistenza, dovevano soddisfare anche le esigenze di sfoggio dei loro padroni, larga diffusione ebbe in questo periodo un tipo di “Cavallo di sella, et basto”,[lix] destinato a soddisfare anche le esigenze del lavoro, in quanto, come riferisce il Fiore: “Sono ancora i cavalli all’uso del viaggiare, non pure della signoria, e della minor nobiltà, ma ancora della gente più vulgare; essendo che anche i più bassi ne tengono a loro usi domestici per la viltà del prezzo, onde si comprano, nascente dal numero, e dalla copia.”[lx]

Per i bisogni più diversi, a questi si affiancavano i muli, già anticamente utilizzati anche da sella, come evidenzia il fatto che il “cavallo, o la mula”, risultano tra i beni dei vescovi suffraganei, soggetti allo spoglio da parte del metropolita di Santa Severina,[lxi] la cui forte richiesta, come ricorda ancora il Lucifero agli inizi del Novecento, li rendeva molto concorrenziali “perocchè la produzione dei muli era maggiore, essendo allora i muli ricercati generalmente per ogni genere di servizio da soma in un paese montagnoso, affatto privo di strade rotabili, e pagati a gran prezzo ciò che non era pe’ cavalli.”[lxii]

Durante la prima metà del Seicento il prezzo di un asino nel territorio di Policastro variava grossomodo tra i dieci e i venti ducati,[lxiii] mentre non è raro riscontrare prezzi considerevolmente più alti per i muli, simili a quelli che ritroviamo per i cavalli.[lxiv] Il 30 settembre 1639, Joannes Aloisio Luchetta di Policastro, consegnava ai coniugi Antonino de Mauro e Catherina Luchetta, una “mulam pilatura baija Castagna”, del valore di ducati 35, e un “asiunm seu pollitrum cum basto, pilatura suricigna”, oltre una “pollitra sumerina di pilatura liarda stillata in fronte” del valore di ducati 17, per la somma complessiva di ducati 52.[lxv]

Ferratura di un mulo per le vie di Petilia Policastro (dalla pagina fb I Ricordi dei “Petilini Emigranti”).

In relazione alla loro importanza, gli asini, spesso con il loro puledro “apresso”,[lxvi] erano donati ai congiunti[lxvii] o alle chiese[lxviii] in occasione dei testamenti, oppure rientravano tra i beni che andavano in dote alle spose[lxix] e, soprattutto, ai figli maschi che si accingevano ad ascendere la carriera sacerdotale.[lxx]

Procedendo ad uno spoglio degli atti notarili di Policastro relativi alla prima metà del Seicento, possiamo rilevare che, per quanto riguarda l’asino (“asinum”), detto nei documenti anche “bestiam sumerinam” o “bagaglio sumerino”, ma anche “somarro” o “sumarra”, emerge prevalentemente la presenza di soggetti di “pilatura nigra”,[lxxi] e di “pilatura suricigna”,[lxxii] mentre meno frequentemente se ne incontrano di “pilatura castagna”[lxxiii] o di “pilatura bianca”,[lxxiv] e ancora più sporadicamente di pilatura “liarda”,[lxxv] oppure di pilatura “anmelata”.[lxxvi] In un caso si fa menzione di una “bestiam sumerinam pilatura bianche seu suricigna”,[lxxvii] e in un altro di un soggetto di pilatura “suricigna seu Castagnazze”.[lxxviii] Attraverso gli stessi atti troviamo menzione di muli di “pilature nigre seu russazzo”,[lxxix] “castagno”[lxxx] e “baije Castagne”.[lxxxi]

Così il Fiore riassume le loro caratteristiche: “Per quello poi tocca gl’animali di soma, sono questi per primi i somari, quanto meno grandi, tanto più forti, e valevoli a resistere a qualunque soma e viaggio. Sono appresso i muli, per statura, e grandi, e piccioli; ma tutti fortissimi, così a trarre lettiche, come a portar some. E più di una volta cavalli medesimi, quali per l’indiscreta usura de’ padroni bassi, si avviliscono a somiglianti affari.”[lxxxii]

Costume dei casali di Cosenza (foto fornite da Daddo Scarpino).
Lettiga portata da muli condotta da vetturini cosentini (foto fornite da Daddo Scarpino).

 

Lettiga portata da muli condotta da vetturini cosentini (foto fornite da Daddo Scarpino).

Le malattie dell’asino

Il 26 giugno 1636, il “magister” Andrea Vaijanella della terra di Zagarise, al presente abitante in Policastro, dichiarava che Jacovo Rizza di Policastro, gli aveva portato un “somarro”, ovvero “bestia sumerina mascolo di pilatura nigra”, asserendo di averlo comprato da un certo Stefano, cognato di Gerolimo Lico della terra di Cutro.

Secondo la valutazione del detto miniscalco Andrea, il somaro risultava “infermo del male della Cimoria”, “quale male sempre, et per ordinario se pripara dui mesi inansi, et va caminando per la persona dellanimale, et medicandolo più giorni detto male de cimoria, li sopra Gionse dopo il male del tisino”, così il somaro morì.[lxxxiii]

Asino nelle campagne del Crotonese (foto Istituto Luce).

Padroni e padri della razza

L’ampia diffusione dell’allevamento della razze equine nel Crotonese durante la prima metà del Seicento, risulta documentata attraverso gli atti dei notari di Policastro di questo periodo che, oltre a menzionare cavalli ferrati con il ferro del “prencipe de strongolo”[lxxxiv] e del S.r Marchese Serra,[lxxxv] menzionano quelli di Pompeo Gatti,[lxxxvi] di Gio: Matteo de Chiara,[lxxxvii] di Gio: Tomaso de Pace,[lxxxviii] di Pietro de Valle”,[lxxxix] e di Michaele Aquila che, il 29 novembre 1655, per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, donò al Cl.co Gio: Dom.co Aquila suo figlio, quattordici “Giomente” ferrate con il proprio ferro, sei delle quali figliate, tre “pollitri mascoli”, due “stalluni cavallini” e un “stallone sumerino”.[xc]

Le informazioni contenute in questi atti, evidenziano l’esistenza di soggetti di “pilatura”: “morella”,[xci] “stornellae”,[xcii] “liarda”,[xciii] “baija”,[xciv] “ammelata”,[xcv] “rubicundae”,[xcvi] ecc., con “balczianas de duobus pedibus a retro”,[xcvii] “cum stillo in fronte valsana delli pedi di detro”, con “valsanum à pedibus di detro”,[xcviii] “stellato in fronte”,[xcix] ecc.

Giumente e asino appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).

Notizie più dettagliate relative alla consistenza di queste razze locali, nonché in merito all’organizzazione degli uomini addetti alla cura e alla custodia degli equini che le componevano, ci pervengono più tardi attraverso le informazioni contenute nei catasti onciari settecenteschi.

Nel fuoco del magnifico Francesco Giuranna, nobile vivente di Umbriatico, riportato nel catasto cittadino del 1743, ad esempio, oltre ai propri congiunti e a diversi lavoranti addetti ai diversi settori dei suoi allevamenti (porcari, vaccari, pecorari), troviamo Leonardo Cosenza di Terravecchia “Famiglio”, Giuseppe Pisano “Mulettiere”, Filippo Fragale di Verzino “Giumentaro”, Domenico Filippello di S. Nicolò “Giumentaro” e Michelangelo Cosenza di Terra vecchia “Garzone”. Il detto nobile possedeva 2 “Mule di fatiga”, 2 “somare”, 2 “Cavalli di sella”, 2 “Cavalli di monta Padri della Razza”, 2 “Somarri di Monta Padri della Razza”, 12 “Giumente figliate” e 21 “Giumente stirpe”.[c]

Tra coloro che risultavano invece al servizio dell’Illustre D. Giuseppe Antonio Rovigno, Principe di Pallagorio e Marchese di Umbriatico, cavaliere e nobile napoletano, troviamo: Antonio Belcastro di Celico abitante a Pallagorio “Mulettiere”, Andrea Lanoce di Celico abitante a Pallagorio “Famiglio”, Domenico Buccaccio di Umbriatico, ovvero di Pallagorio,[ci] “Giumentaro”, Gio. Pietro Valentino di Caccuri “Sottogiumentaro” e Matteo Arcuri di Pallagorio “Postiglione”. Il nobile possedeva 16 “Giumente figliate”, 13 “Giumente stirpe”, 2 “Cavalli Padri di monta”, un “Cavallo Garagnone per la monta”, 3 “Mule” e un “somaro” di fatiga.[cii]

Tra queste diverse categorie di lavoratori quasi sempre provenienti dal Cosentino, in alcuni casi già menzionate nei documenti precedenti di epoca medievale, spicca quella dei “garczoni” adibiti al governo degli animali e “locati ad anno di Molera”. Come ci informano già documenti della metà del Cinquecento, infatti, essi ricevevano una retribuzione (“soldo”) annuale che decorreva a partire dal giorno della fiera di Molerà (otto settembre), ambito tradizionale per la compra-vendita del bestiame di tutto il Crotonese.[ciii] I “famigli” e i giumentari “invernali” ed “estivi” ingaggiati in occasione della fiera di Molerà, sono menzionati ancora al tempo del latifondo Barracco.[civ]

Giumenta con il suo puledro appartenenti alla razza della famiglia Barracco di Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).

Attraverso le testimonianze dello Swinburne, raccolte in occasione di un suo viaggio (1777), apprendiamo invece preziose informazioni circa le caratteristiche dei cavalli calabresi, e sullo stato del comparto in questo periodo: “Strongoli appartiene ai Pignatelli che tengono un grande allevamento di cavalli nelle terre incolte vicino al mare. I cavalli calabresi hanno una bella linea, agili nei movimenti, ma per lo più bassi e raramente senza vizi. So per esperienza che possono sopportare le fatiche più pesanti dato che uno di essi, piccolino, camminò in un caldo estenuante per cinque giorni di seguito percorrendo in media cinquanta miglia al giorno. Eppure questa razza non è curata nel modo dovuto poiché la proibizione dell’esportazione rende i proprietari molto più indifferenti al miglioramento dei loro cavalli di quanto non lo sarebbero se avessero richieste dall’estero o se fosse permessa l’esportazione che stimolerebbe in loro l’emulazione. Un altro motivo che fa trascurare l’allevamento dei cavalli sono le condizioni disastrose delle strade di questa regione montagnosa, dove i muli, molto più forti e resistenti dei cavalli, risultano più adatti alla bisogna e perciò sono più commerciabili. Essi trasportano senza inciampare più di tre cantara di soma attraverso le strade più impervie e pericolose che si possono immaginare. I Baroni non hanno diritti feudali esclusivi per l’allevamento dei cavalli, sebbene alcuni di loro se ne arroghino il monopolio con la violenza.”[cv]

Henry Swinburne, 1743-1803 (da artuk.org).

La “Razza Barracco”

Rispetto alla situazione fotografata dallo Swinburne, che appare in linea con quella di altri comparti del territorio, alcune significative innovazioni possono essere fatte risalire all’opera del barone Alfonso Barracco,[cvi] “conoscitore profondo ed intelligente di tali industrie” che, nel 1824, fece un primo ma infelice tentativo, introducendo nella propria “razza” un riproduttore “di razza Angri, prodotto di cavallo germanico con giumenta della piana d’Eboli.”

A quel tempo la “razza”, antico patrimonio della famiglia Barracco “fin dai tempi remoti”, era composta da “circa 30 cavalle baie, saure e morelle, di statura piuttosto piccola, di forme raccorciate e non di rado eleganti, di puro tipo calabrese”. I difetti di questo tipo erano rappresentati dall’indole “soverchiamente selvaggia” e “nelle forme di testa troppo forti”, mentre tra i suoi pregi annoverava “la longevità, la forza, la destrezza, la resistenza alle grandi fatiche, alle privazioni e ad ogni genere d’intemperie.”

Considerati i risultati negativi ottenuti in questo modo, il Barracco “si decise a ridurre in due tipi la sua razza: l’uno per cavalli da sella, incrociandola col puro sangue arabo: e l’altro per cavalli da tiro, incrociandola col mezzo sangue inglese.” Si fece quindi ricorso ad un purosangue arabo (1833), a cui seguì un mezzosangue inglese, (1838), altri due purosangue arabi (1842) e successivamente, tre purosangue inglesi (1851, 1857 e 1858). Seguirono due stalloni arabi (1861 e 1863). Ciò consentì di costituire “la nuova razza del Barracco, la quale acquistò gran favore in tutta la Calabria ed in tutto il Napolitano”. Non mancarono soggetti che, a dire del Lucifero, divennero “la meraviglia del mondo sportivo napolitano”, mentre “ogni possessore calabrese di razze equine, si decise a fornirsi di un prodotto della razza Barracco per la monta delle sue giumente”.

Mostra di cavalli a Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).

Se questi interventi consentirono un deciso iniziale miglioramento delle caratteristiche della “razza tipica calabrese”, ebbero comunque l’effetto di determinarne la progressiva scomparsa, mentre, dopo i primi successi, cominciò ad evidenziarsi una complessiva decadenza del nuovo “meticcio arabo-nostrano”: “la robustezza e la statura diminuirono”, così da rendere gli animali inefficienti “al freno ed al tiro” e “le difficoltà a domarli si accrebbero”, così il prezzo di vendita dei puledri ne risentì sostanzialmente. Si corse quindi ai ripari introducendo “stalloni governativi” di “sangue germanico”, provenienti dal Deposito Ippico di S. Maria Capua Vetere che, pur migliorando i difetti emersi, e facendo recuperare la robustezza e “la taglia del cavallo da tiro”, “non ridonarono ancora il tipo di una volta”. Il risultato fu “un mezzo sangue incrociato con parecchie razze, sia orientali, sia nordiche, ma che manca di caratteri stabili, per cui si possa fissarne un unico tipo.”

Per quanto riguarda invece la razza Barracco, agli inizi del secolo essa era costituita da 131 giumente “delle quali 3 sono 4/8 e mezzo, 25 di 5/8, 13 di 5/8 e mezzo, 42 di 6/8, 18 di 6/8 e mezzo, 16 di 7/8, 2 di 7/8 e mezzo, 12 sono di puro sangue arabo, od arabo inglese.” L’allevamento poteva vantare la presenza di due stalloni nostrani nella “razza dell’imperatore d’Austria, in Boemia”, mentre altri tre erano stati venduti alla “Commissione delle razze” e si trovavano a Caserta. Alcuni soggetti erano risultati “vincitori nelle corse di Napoli”, altri si erano distinti ed erano stati premiati “per la loro regolarità di forme ed eleganza”, come in occasione dell’esposizione di Firenze del 1861.[cvii]

Giumenta appartenente alla razza della famiglia Barracco di Crotone (foto fornita da Daddo Scarpino).
Esemplare di cavallo calabrese presso il Centro di Selezione dell’ARSAC di Sibari (foto di Daddo Scarpino, Mammalia Calabra).
Esemplari di cavalli calabresi presso il Centro di Selezione dell’ARSAC di Sibari (foto di Daddo Scarpino, Mammalia Calabra).

Note

[i] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, 1691, Ed. Rubbettino, pp. 553-554.

[ii] “Corbulinus Caballarius” sottoscrive in greco un atto del 1159 (a.m. 6667) scritto in greco stipulato a Crotone (Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum 1865 pp. 210-211 n. CLIX). “Robertus miles”, in latino, e “Gualterius Caballarius”, “Gulielmus filius Tristini et Caballarius Styli”, “Hugo Basilius filius Tristini et Caballarius Styli”, in greco, sottoscrivono un atto scritto in greco del marzo 1184 (a.m. 6692) stipulato a Santa Severina (Ibidem, pp. 285-287 n. CCXVIII). “Petrus Caballarius de Acherontia”, sottoscrive in greco un atto del 1223 scritto in greco (Ibidem, pp. 373-374 n. CCLXXII).

[iii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 123-125.

[iv] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 109-112

[v] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, pp. 376-377 n. CCLXXIV.

[vi] “Equos duos, palafredum unum, somerios duos – Arma equi vid: Coopertas de ferro, testerias de ferro cum retibus, coopertas de retibus cum testeria ferrata. – Arma militis: Iuppam unam, panseriam unam cum manipulis, camisonem unum rubeum cum signis domini Gentilis, caputium unum de ferro, cerbelleriam unam, par unum calcarium de ferro, gamberias de ferro cum genulgeriis, ensem unum cum cultello feritorio, cappellum unum de ferro, clipeus unum, par unum de lameris, et lanceam unam – Arma Scuterii: Iuppam unam, panseriam unam cum manipulis, camisonem unum album, caputium de ferro, et par unum de genulgeriis, cerbelleriam unam, et par unum de caligis ferreis, cappellum unum de ferro, et par unum de gammeriis, ensem unum cum cultello feritorio, et lanza una”. Il dominus “Guillelmus de Catinetto” invece, “pro servitio unius militis”, presentò: “Equm unum, palafredum unum, et somerium unum cum armis vid: Coopertoriam unam, juppam unam, panseriam unam cum manipulis, caputium unum de ferro, cerbelleriam unam, gorgeriam unam de ferro, cambisonem unum album de Bucirano, par unum calcarium de ferro, par unum de gammeriis, par unum de genulgeriis, ensem unum, cultellum unum feritorium, cum cappello uno de ferro, clipeum unum ac lanceam unam”. Capasso B., Sul Catalogo dei Feudi e dei Feudatari delle Provincie Napoletane, 1868, pp. 350-351, nota 2.

[vii] Reg. Ang. VI, 1270-1271, p. 79.

[viii] 12 giugno 1269. “Pro decimis. Karolus etc. Robberto de Guardia, magistro Marescallie nostre Cutroni etc. Ex parte presbiteri Se[llicti], canonici et procuratoris Ecclesie Cutronensis, fuit Nobis … supplicatum ut, cum Ecclesia de Cutrono, que nunc vacat pastore, a catholicorum Regum … temporibus usque ad tempora nostra decimas massarie Marescalle nostre, casalis Cromicti, quod est in territorio Cutroni, annis singulis consuevit percipere, … exhiberi sibi pro ipsa Ecclesia … decimas pro annis … preteritis X et XI et presentis XII inditionis … mandaremur. Ideoque f. [t. … mandamus] quatenus, si est ita et si notorium fuerit quod … tempore … turbationis erga Maiestatem nostram fideles extiterint, … illas eidem presb. Sellicto vel procuratori … exhibeas …, jure nostro in omnibus semper salvo. Datum in obsidione Lucerie, XII junii, XII ind.” Reg. Ang. II, 1265-1281, pp. 97-98.

[ix] “Mandat Goffrido Bovet et Erardo de Alneto, Mag. araciarum regiarum, ut reparari faciant marescalliam Crotoni.” Reg. Ang. VI, 1270-1271 p. 154.

[x] “Mandat ne Iohannes de Rocca mil. Molestetur pro quibusdam stallonis, quos dicitur habuisse a R. Marescalla Cutroni.” Reg. Ang. IX, 1272-1273, p. 277.

[xi] Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, Cosenza 1989, p. 118.

[xii] “Ad officium marescalli pertinet diligens cura exercitus, ordinare castra et in civitatibus dare hospicia omnibus euntibus ad exercitum et cum exercitu. Ordinare etiam fodrum pro exercitu, facere explanari vias et pontes constitui ut exercitus transeat salubriter et habiliter, constituere guardiam pro persona domini primo et secundario pro toto exercitu. (…) Item marescalla camera marescalle ut pote selle frena et alia oportuna pro equis aracie (omnibus) Regni et omnes equi domiti undecumque veniant spectant ad curam et procurationem marescalli muli autem si sunt ad bardam spectant ad curam et procurationem Camerarii.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, pp. 159-160.

[xiii] Il 14 maggio 1252 troviamo: “Petro de Calabr(i)a comite Catanzarii regni Siciliae marescalco”, ovvero “Petrus Ruffus de Calabria Dei et regia gratia comes Catanzarii, et regni Siciliae marescalcus”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 143-145.

[xiv] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1859, Tomo V pars II, pp. 939-940.

[xv] “Pro marescalco uno per mensem parvi ponderis unciam I.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 144.

[xvi] “Item in qualibet massaria habeat notarium unum habentem quatuor uncias annuatim pro suo salario et expensis pro parte Curie.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 147.

[xvii] “Quod massarii habent familiam sufficientem secundum consilium et arbitrium magistri massarii ad distinguendum quendam de familia in suo servicio videlicet; vaccarium ad vaccas, porcarium ad porcos et sic de singulis et etiam statuere cuilibet suam mercedem.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 147.

[xviii] Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, Cosenza 1989, p. 118.

[xix] “Ordeum pro uno roncino Curie quem equitavit qualibet nocte anatertiam partem unius thumini. Pro singulis quinque stallonibus per noctem thuminos II ordei. Pro quolibet pultro per noctem ana tertiam partem unius thumini ordei.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, pp. 144-145.

[xx] “Pro unoquoque scuteriorum per mensem ad rationem de tarenis tribus et granis quindecim parvi ponderis pro victu cuiuslibet eorum per mensem frumenti thuminos II. Pro potu cuiuslibet eorum per mensem ad barrile Amantee barrile unum et medium. Quilibet iumentarius per mensem parvi ponderis tarenos III, grana XV frumenti thuminos II. Pro marescalco uno per mensem parvi ponderis unciam I.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 144.

“Expensas quoque in pecunia pro iumentariis deputatis ad custodiam animalium scuteriis deputatis ad custodiam stallonum araciarum ipsarum … et frumentum pro vivanda iumentariorum et scuteriorum ipsorum ac vinum pro potu eorum ac servis Curie si qui ibi sunt et personis aliis deputatis ad servicia araciarum ipsarum, ordeum pro annona stallonum ipsorum oleum pro lumine et medicinis isporum …”. Reg. Ang. VI, 1270-1271 p. 82.

[xxi] “Et in principio anni cuiuslibet fieri facias quatuor inventaria continentia omnia animalia araciarum ipsarum tempora pilaturas balsanaturas et mercatura et signa omnium animalium ipsorum …”. Reg. Ang. VI, 1270-1271, p. 82.

[xxii] “… omnia iumenta, stallones, staccas, pultras et pultros, mulos et mulas, asinos et asinas, ac equitaturas singulas et animalia quelibet per pilaturas, balsanaturas et mercaturas eorum nec non utensilia quelibet servos et res singulas ac iura quelibet deputata ad servicium, commodum et utilitatem araciarum ipsarum …”. Reg. Ang. VI, 1270-1271, pp. 79-80.

[xxiii] “… quod ferrum ad mercandum substinere poterunt non in massillis eorum sicut olim fiebat set in cossis sinistris mercari facias merco Curie nostre …”. “… merco Curie nostre consueto ad florem de lisa in cossa dextra …” “… marescallarum nostrarum Calabrie et Apulie …”. Reg. Ang. VI, 1270-1271, p. 80.

[xxiv] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum, 1865, p. 325 n. CCXL.

[xxv] “Pro iumento a tribus annis supra unc. III. Pro pultra duorum annorum unc. II. Pro roncino a tribus annis supra unc. IIII. Pro pultro duorum annorum unc. III. Pro pultro unius anni unc. II.” “Pro asino unc. I. Pro asina unc. I. Pro pultro asinino duorum annorum tar. XV. Pro pultro asinino unius anni tar. VII.” “Pro mulo vel mula tar. IIII.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 145. Settembre 1228 (?). Policastro. “pullum unum equinum pro tar(enis) quinquaginta”. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 360-361.

[xxvi] “Item se recepisse a diversis personis … equituras subscriptas … diversorum proditorum …, vid.: palafredos, computato palafredo uno invento et recepto inter alia bona Raynaldi Guerrisii proditoris duos, quorum alter est pili ferrantis et macilectus et alter pili ferrantis; roncinum pili liardi nigri unum, mulum pili liardi unum, roncinum pili liardi macilectum et vilem unum, roncinum de pilo ferrante unum, roncinum pili morelli macilectum et vilem unum, roncinum pili morelli balzanum in fronte et pede posteriori sinistro unum, roncinum pili bay balzanum in fronte et pedibus posterioribus unum, mulum parvum pili morelli unum, equum pili morelli balzanum in fronte et pedibus, unum roncinum pili bay unum, roncinum pili morelli unum, roncinum pili sauri balzanum in fronte et pedibus unum, roncinum pili liardi unum, roncinum pili morelli gazum et balzanum in fronte et pedibus unum, roncinum pili liardi unum, roncinum pili grisi unum, roncinos pili bay duos, roncinos alterum pili bay et alterum pili lyardi duos, roncinum pili liardi unum, roncinum pili morelli unum, roncinum parvum pili grisi unum, roncinum parvum pili bay unum, roncinos pili sauri duos, roncinum pili bay coctum in tergo unum, roncinum poli bay pede album unum, roncinos alterum pili lyardi et obscuri et alferum pili morelli duos, roncinos pili morelli duos, roncinos pili morelli redoyatos duos, roncinum unum.” “Item Guarmundo de Albeto, Marescalle nostre Magistro, …, per apodixam unam ipsius factam II decembris XIII ind. aput Neapolim, assignasse Philippo de Monstrolio et Iohanni de Alneto, ad opus eiusdem Marescalle, omnes predictos: palafredum I, mulos II, roncinos XXXIII; … et assignasse Iohanni de Mafleto pred. … penultimo aprilis XII ind. aput Gallipolim reliqum palafredum …”. Reg. Ang. VII, 1269-1272, pp. 257-264.

[xxvii] Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, p. 135.

[xxviii] 18 dicembre 1630. Da Mesoraca, il Rev.do D. Gio: Dom.co Giurlandino chiede l’intervento dell’arcivescovo di Santa Severina contro il vescovo di Belcastro il quale, agendo contro il Sig.r Duca Altemps che aveva pascolato “la sua gabella come Curso posta dentro il Curso di Brocuso Territ.o di Mesuraca”, aveva fatto carcerare prima “li bovi” e dopo “le giumente di q.sti poveri Albanesi di Marcedosa”. AASS, 2A, f. 241.

1 giugno 1636. Su richiesta di Cola Varveri di Petrafitta, ma abitante in S. Giovanni in Fiore, diocesi di Cosenza, tanto in suo nome, quanto per parte di Cesare Martino, dottor Gianni Russo, Gio: Dom.co Schipano e Andria Corvisi, tutti di S. Giovanni in Fiore, suoi “Compagni Conduttori affittatori” del “Corso di Molerà vecchio” in territorio di Rocca Bernarda durante questo corrente anno, Alfonso Campitello di Policastro, procuratore della Mensa Arcivescovile di Santa Severina, dichiarava di essere stato completamente soddisfatto delle “decime, et raggioni di decime” spettanti a detta Mensa, di “agnelli primitivi posterari, cossi ricotte Capre, Crapetti, Giomente et animali di ogni pelo” che durante il presente anno avevano “amandrato, et pascolato” nel detto corso. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 62v-63v.

[xxix] “Item iumentum incipiet posse portare filios a tribus annis completis in antea et portat fetum in ventre per undecim menses et durat posse iumentorum pro quolibet centenario possunt fetare per annum et incipiunt concipere vel impregnari a mense martii in antea et in quolibet centenario iumentorum sufficiunt stallones quinque.” Reg. Ang. XXXI, 1306-1307, p. 148.

[xxx] “… ciò è i cavalli che di fuori attendono al generare, detti da noi Garagnoni, i quali continuamente stanno in compagnia delle Giumente, sodisfacendo ad ogni loro appetito, e supplendo a quel che havesse mancato l’Ammissario, che noi diciamo Stallone: meritatamente dalla stalla così nomandolo; perché entro le stalle si deono tenere ben governati tutto il tempo de l’anno dopo la monta.” Caracciolo P., La Gloria del Cavallo, Venezia 1567, p. 100.

[xxxi] “… perché li decti garagnoni sono molto necessarii appresso le giomente per coprire et ingravidare quelle che nella ordinaria monta per diverse occasioni non restano gravide et non ritengono et disperdino, o non richiedendo il cavallo in aprile o maggio, lo richiedino poi tra lo anno, maxime in giugno o giuglio nelle montagne, … et anchora perché le giumente si disuniscono et vanno erranti, et non si ponno custodire, et quelle che menano a dietro allievo piccolo non ponno difenderlo dalli lupi, trovandosi dismanmate che molte se ne perdono in tal modo e si dà anco occasione a ladri di rubare decti allevi piccoli che trovano for di mano, mentre che non sono anchora col merco regio, talchè non si possono conoscere. Alli quali inconvenienti dice ovviare la compagnia del garagnone …”. Galasso G., Economia e Società nella Calabria del Cinquecento, 1992, p. 188.

[xxxii] “Le puledre al terzo anno compiuto si fanno saltare dall’asino, onde avere un certo numero di muli, senza tenere una dote di giumente esclusivamente per questo stallone, ed anche per evitare che la primipara, per mancanza di latte abbondante, faccia morire il nascituro puledrino, il quale è molto meno parco del muletto. Da questo numero però si eccettuano le puledre di puro sangue e le più belle, che si fanno esclusivamente accoppiare col cavallo, ovvero si conservano vergini fino al quarto anno.” Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, p. 172.

[xxxiii] Dito O., La Storia Calabrese e la Dimora degli Ebrei in Calabria, Cosenza 1989, p. 118.

[xxxiv] 29 maggio 1623: “pollitro seu pollitra di anni dui” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 294, ff. 92v-94).

[xxxv] 18 gennaio 1637: Una “stacca lattante dell’anno”, “figlia della giomenta Sfacciata lupatizza” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 120-122v). 12 luglio 1653: Una “giomenta cum uno staccone d’un anno appresso de pilatura rossa” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 42-43). 11 febbraio 1618: “una stacca delli due anni in tre” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 81v-83). 11 giugno 1634: Una “pollitra sumerina delli due anni in tre” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 108-109v).

[xxxvi] 24 ottobre 1620: Una “staccam equinam” o “staccam jumentinam pilatura morella annorum trium” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 65v-68). 16 novembre 1634: Una “stacca Cavallina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 153v-155v).

[xxxvii] 24 aprile 1635. Per consentirgli di accedere agli ordini sacerdotali, Joannes Gregorio Cerasaro di Policastro “proCuratoris mundualdi” di Laura Cerasaro sua sorella, assieme a detta sua sorella, donano al Cl.co Joannes Battista Cerasaro, loro fratello, alcuni beni tra cui una “giumenta di pilatura saura scerrata”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 34v-36.

[xxxviii] 31 marzo 1639. Marco Ant.o Guarano U.J.D. di Policastro, dona al chierico Antonino Guarano suo figlio, una “Giomenta selvaggia bionda” e altri animali. ASCZ, Notaio G.B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306 ff. 40v-41.

[xxxix] Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, p. 135.

[xl] “La tenuta in campagna di puledri fino all’età di tre anni compiuti è di grave ostacolo perché vengano in breve tempo domati e addestrati. Ebbene, i nostri puledri, (che si ha l’abitudine d’incavezzarli a due anni e, tenuti per qualche giorno in scuderia, e liberarli subito), al terzo anno introdotti in scuderia dopo 15 giorni già sono mansuefatti, e cavalcabili o cavalcati, ed un tempo maggiore non è richiesto che per perfezionare il loro addestramento.” Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, p. 172.

[xli] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 412-413.

[xlii] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 417-418.

[xliii] “Provvedimento a favore di Gabriele Buglina (sic) di Cotrone”. “Pro Gabriele Buglime. Alfonsus etc. Franciscus etc. Nobilibus et egregiis viris sindicis universitati et hominibus civitatis Cutroni fidelibus regiis nobisque carissimis salutem et nostrorum hobedienciam mandatorum. Recordamove essendomo in quissa chita havire ordinatu et factu ordinacione per generale parlamento de fare guardare quillo terreno verso la marina per guberno et substentacione del cavalli nostri et altre bestie vostre et chi nissona altra bestia non che intrasse. Et li patroni del dicto terreno essere pagati per questa universita tanto quanto lo haviano vinduto alli Cusentini per loro bestiamo, et cussi vui restastivo per contentu, et promisistivo pagare li dicti patroni sincomu e dictu da supra. Noviter vero per parte de Gabriele Buglime et de dopna Antona de Frasca simo informati chi ricusati pagare secundu la dicta promissione alli dicti exponenti comu quilli anno parte al dictu terreno, supplicatone supra zo voglamo providere de remedio oportuno. Et per chi ad nui costa essere cussi comu da supra e dictu impero per tenure del presente regia qua fungimur auctoritate ve commandamo ad pena de unce XXV sinde farriti lo contrario applicanda alla nostra curte chi in quillo tempo anno accostumatu de pagare li dicti Cusentini chi haviano comperatu lu dictu terreno in quillo tempu volimo respondati et pagati vui alli dicti patroni tanto quanto li dicti Cusentini lo haviano comperatu secundo la promissioni et convencioni per vui facta ut supra. Cauti de contrario sicut dictam penam cupitis evitare. Presentibus etc. Datum in regio castro civitatis Catanzarii, VI marcii, XIIII Indicionis, 1451. – Franciscus de Siscar. Angelus de Russis vidit.” Fonti Aragonesi II, p. LXXI e pp. 59-60.

[xliv] “ITEM supplica la prefata Universita alla dicta Maiesta, che considerato novamente è stata facta una defesa alla Sila dela dicta Città per le giumente de dicta Maiesta, per la quale li homini de dicta Città et Casali ne pateno molti incommodi et danni tanto in lo pascere de ditto bestiame, quanto per non possere fare loro massarie in li loro terreni, et per se pretendere che lo loro bestiame va in la ditta difisa, quasi continuamente sonno molestati, vexati, et composti acramente per li officiali de ditta Maiesta in modo che durando ditta defisa veneria ad minuire lo bestiame de ditti Casali, pero se degni sua Maiesta concedere che la ditta defisa se habea da fare alla Sila de Tacina dove se solea fare in tempo de la felice memoria de Re Alfonso, actento che lo bestiame de sua Moiesta ci po comodamente stare.

REGIA Maiestas super contentis in dicto capitulo oportune providebit.” (Cancro M., cit., p. 55v).

[xlv] “ITEM per che la bona memoria del Signor Re Alfonso vostro frate fece una defesa chiamata Anghiarella, per le iumente non senza grande interesse de ditta Universita et Casali per essere al transito del bestiame pero ditta Universita et homini supplicano vostra Maiesta se degni lassare ditta defesa ad essa Città et Casali prefati como era ab antiquo, et revocare omne concessione et impetratione ne fossi fatta da altri atteso non haveno altro modo de sustentare loro bestiame. PLACET Regie Maiestati, si dicta defensa reperitur in domanio curie.” (Cancro M., cit., f. 67v).

[xlvi] Galasso G., Economia e Società nella Calabria del Cinquecento, 1992, p. 188.

[xlvii] “Disposizioni a richieste di Riccio di Catania per la difesa delle giumente e dei pultrorum del re nei tenimenti di Mesoraca e Belcastro”. “Alfonsus etc. Martinus Iohannes Escarer etc. Nobili viro Iohanni de Comito regio capitaneo terre Misurace eiusque lucumtenenti seu substitutis eiusque aliisque capitaneis successive futuris in terra predicta regiis fidelibus amicisque nostris carissimis salutem et hobedienciam mandatorum. Facta siquidem pro parte Riccii de Catania gubernatoris curatoris seu mongonis iumentorum et pultrorum Sacre Regie Maiestatis querela seu peticio continebat quod cum Regia Maiestas affata haberet certos pullos equinos in ipsa provincia Calabrie sub custodia nonnullorum iumentariorum et signanter Nicolai Briccii in tenimento Misurace et Bellicastri ubi dicitur la Rigecta ibique starent ad pascua sumenda sub rata vice et custodia dicti Nicolai Briccii cum alii iumentarii per vices eorum ut eis est de more alio accessissent ad alia negocia peragenda et ipso Nicolao pultros ipsos custodiente seu custodire debente pulli ipsi ipsius Nicolai dolo negligencia incuria vel defectu intraverunt quemdam malum locum et voluptalemosum qui dicitur Lu passu de lu lavandaro contra prohibicionem dicti Riccii, qui expresse prohibuerat iumentariis eisdem et signanter dicto Nicolao Briccii ne pullos eosdem in dictum immicterent cum locum ipse esset utique eis perniciosus. Quibus pullis per ipsum Nicolaum vel eius negligencia dictum locum intrantibus quidam ex eis pilature liarde scure vulgariter nominate etatis duorum annorum in tres lupinis morsibus extitit devoratus in dapnum dicte Regie Maiestatis. Nostra super quo provisione petita vobis et vestrum cuilibet regia qua fungimur auctoritate precipimus et districte mandamus ad penam centum unciarum si secus per nos fieri contingerit Fisco Regio applicandam quatenus ad omnem dicti Riccii requisicionem, vocato ipso Nicolao Briccii et in suis iuribus plene exaudito, vos de interitu dicti pultri seu pulli informare curetis et si comperieritis eum fuisse interemptum ipsius Nicolai dolo culpa negligencia incuria vel defectu nec subest aliud in contrarium legitimum quod obsistat ipsum per iuris remedia melius vobis visa compellatis ad emendacionem precii pultri predicti iuxta verum eius valorem de quo eciam vos informare curetis procedentes in premissis et circa ea summarie simpliciter et de plano sine strepitu forma et figura iudicii sola substancia veritatis inspecta. Cauti de contrario sicuti penam predictam cupitis non subire et quilibet vestrum evitaret procuret. Presentibus autem debite exequucionis singulis vicibus ad cauthelam remanentibus presentanti. Datum Castilioni, die IIII septembris, XV indicionis, MoCCCCoLI. Martinus Iohannes Escarer. Nicollus Victorius Plutinus vidit.” Fonti Aragonesi II, p. XXXIX e pp. 105-106.

[xlviii] 4 luglio 1639, Policastro. Il mag.co domino d. Petro Persiglia, “olim” regio capitano di Policastro, asseriva che, nel territorio di Policastro, gli era stata rubata una “equam” di “pilatura baija”, di cui aveva fatto donazione a Joannes Matteo Cavarretta di Policastro, al quale garantiva la detta donazione se la cavalla fosse stata ritrovata. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 76v-77.

[xlix] ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 186r.

[l] 28 novembre 1585. Una vacca morta “alla petra de caraconissa” in territorio di Umbriatico e “Un’altra mangiata de li lupi a di 18 de aprile”. ASCZ, Notaio Consulo B., busta 9, ff. 152-152v.

[li] 24 luglio 1654. Nell’inventario dei beni dell’olim Hyacintho Curto, è elencato “uno coiro de vitello toccato delli lupi alla schiena”. ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 879, ff. 68-71v.

[lii] Nel “Manuale seu giornale” tenuto nel 1542 da Jo. Micheli Piczuto, riguardante le spese per la costruzione delle fortificazioni della città e castello di Cotrone, sono notate le spese per curare dei buoi e un puledro feriti dai lupi: “Addi III 8bris 1542. Allo monaco ferraro de Cotroni per tanti medicini per le bove che have piglato li lupi (0 – ½- 10) Ad far la lavanda allo pollit.o dela corti che piglao lo lupu (0 – 0 – 9)” (ASN, Dip. Som. 196/4 f. 160). Così per proteggere il bestiame della regia corte si dovette comprare “una cane femina” e munirla di “uno collaro de ferro”: “Addi XXIII 8bris 1542. Ad Susanna muglere de cola turcho de massanova per lo preccio di una cane femina per la guardia deli bove della regia corte per accordio (4 – 2 – 10). Ad mastro cola mattia de otranto per lo preccio de uno collaro de ferro per ditta cane (0 – 2 – 10)” (ASN, Dip. Som. 196/4, f. 178).

[liii] “Item pete la dicta universitate che quando alcuna persona de loro havisse advendere cavalli et muli grano orgio vino pane et omne altra cosa et roba che omne uno sela possa vendere a loro arbitrio et voluntate senza nullo impaczo de corte placet Regie magestati.” Capitoli concessi alla università di “Rocce bernarde” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope predictam [terram] roccam bernardam” il 17 novembre 1444 VIII indizione. ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 183r.

[liv] “Item a di retroscripto v(idelicet) 7 aprilis v.e ind(ictionis) 1517 pono havere liberato Al nobile / Cola bagloni ducati dui tari uno et grana Cinque zoe Carlini sidici et / grana sei per resto de tari dudici dati per creditore per lo nobile not.o fran.co xiglano / precessore sindico per alloherio dela casa dove fu reposta la pagla dela corte / tari uno li fo facto bono per lo nobile ber.no de vicza dacieri per lo impresto fo / facto in t(em)po del dicto ber.no dacieri et tari uno et grana decennove li fa / boni dicto Cola Allo prezo delo Cavallo porto m(esser) jo ant.o bonello sindico alla / Catho.ca M.ta so d. 2-1-5” (ASN, Dip. Della Sommaria, Fs. 532, f.lo 10, f. 20v). “Item a di xj junii v.e ind(ictionis) pono havere liberato Al nobile Cola bagloni ducati / quindici Correnti quali so per lo prezo delo Cavallo porto m(esser) jo ant.o / bonello Sindico desiniato ala Catho.ca M.ta s(econd)o appare per polixa ex(tracta) d. 15-0-0” (Ibidem, f. 26).

[lv] “Onde qui cade in filo quello, che de’ due cavalli, qual era nostro, regalati dal duca di Mantova a il re Carlo Ottavo di Francia, per detti di Paolo Giovio, rapporta Ulisse Aldrovandi, ed io reco con le proprie parole: Quorum alter spadiceo erat colore, natus in Calabris, qui incredibili ad sessoris nutum agilitate, et in gyrum circumflexus, et cursu, et saltibus incitatus, stupentibus Gallis regem magnopere delectavit.” Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, 1691, Ed. Rubbettino, p. 553.

[lvi] ASCZ, Notaio Durande G. D., busta 35, ff. 268-269v.

[lvii] ASCZ, Notaio Cadea Cesare, busta 6, ff. 208-210v.

[lviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciaro, busta 78 prot. 286, ff. 218v-219.

[lix] 27 febbraio 1630, Policastro. Camillo Cerasaro e Joannes Baptista Cerasaro di Policastro, assieme al Cl.o Joannes Gregorio Cerasaro loro fratello, detenevano in comune e indiviso, l’eredita del quondam Ferrante Cerasaro comune padre, a cui apparteneva un “Cavallo di sella, et basto de pilo stornello stellato in fronte”, che detto Cl.o aveva comprato da donno Nardo Marchese di Policastro. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 90v-91.

[lx] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, 1691, Ed. Rubbettino, p. 554.

[lxi] Carnì M., Il Diritto Metropolitico di Spoglio sui Vescovi Suffraganei, LUMSA Collana di Scienze Giuridiche e Sociali, 7, 2015, p. 40.

9 dicembre 1608. Essendo morto il vescovo di Umbriatico Alessandro Filaretto Lucullo (1592-1608), il notaio apostolico Gio. Berardino Liparoto della città di Santa Severina, si recava nella città di Umbriatico dove, su richiesta dell’arcivescovo di Santa Severina Alfonso Pisani, il reverendo Giovanni Ferraro gli consegnava, in presenza di testimoni, i beni lasciati dal vescovo defunto, tra cui “Una Mula senza sella né barda di pelo negro chiamata saporita della razza dell’Ill.mo Sig. Marchese del Cirò”. AASS, 2A.

[lxii] Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, p. 167.

[lxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 38v-39 e 39-39v; prot. 290, ff. 128v-129v; prot. 291, ff. 19-19v, 37-37v, 100-100v; prot. 292, ff. 79v-80; Busta 79 prot. 295, ff. 6-7; prot. 296 ff. 73-73v; prot. 297 ff. 116-117; Busta 80 prot. 301, ff. 28v-30; prot. 306, ff. 106-107.

[lxiv] 31 dicembre 1604: ducati ventiquattro per la vendita di un cavallo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 225v-226). 24 ottobre 1620: la “staccam equinam” di “pilatura morella annorum trium”, del valore di ducati 32 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 65v-68). 19 aprile 1638: Ducati 25 dovuti dall’università di Santa Severina per il prezzo di una “Giomenta” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 305, ff. 40v-41). 11 aprile 1644: “dui Polletri Cavallini di pilatura stornelli” del valore di ducati 30 ciascuno (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 803, ff. 43v-45).

[lxv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 108v-109.

[lxvi] 27 settembre 1626: Una bestia sumerina di pilatura “nigra” con un “pollitro dello anno apresso” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 73-73v). 14 maggio 1636: Una “bestia figliata con una pollitra apresso sumerina” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 54v-55). 11 ottobre 1648: “bestia de barda cum polletro appresso” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 875, ff. 88v-90v).

[lxvii] 1 gennaio 1606. Nel suo testamento Joannes Jalupi Pecoro di Policastro, lasciava alla moglie il “somarro grande” che aveva comprato con i suoi soldi, mentre con il ricavato dell’altro somaro disponeva che fosse pagato il suo funerale. ASCZ, Notaio Ignoto Policastro, Busta 81 ff. 4-5.

[lxviii] 13 ottobre 1605. Salvatore Blasco di Policastro lascia per testamento un somaro alla chiesa di Santa Caterina. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 240v-241v.

[lxix] 17 giugno 1607. Marco Ant.o de Aquila sposa Diana Castelliti, come per atto rogato in Policastro dal notaro Antonino Circhione il 13 dicembre 1600, stipulato tra Sebastiano Castellito, padre della detta Diana, e il detto Marco Antonio. Nella dote figura “una puledra somerina”. ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 24v-27.

[lxx] 28 maggio 1604: Joannes Faraco asserivà che, negli anni passati, aveva dotato il figlio chierico Joannes Thoma, con alcuni beni, tra cui un paio di buoi, un somaro e quaranta porci (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 14v-15v). 30 agosto 1617: Fabio Vallone di Policastro asseriva di avere molti figli, maschi e femmine tra cui, il chierico Santo Vallone,  ai quali, in virtù degli ordini dell’arcivescovo di Santa Severina, spettava godere “lo portione verile” sopra le robbe di detto Fabio. Volendo adempiere a ciò nei confronti del detto figlio chierico Santo, gli assegnava una bestia sumerina “di pilatura nigra” del valore di circa ducati 18, in maniera tale che “delle Indrustie di essa” più comodamente potesse attendere “alla scola dell’humane lettere” e ascendere agli ordini sacri (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 37-37v). 27 settembre 1617: Vittoria Rizza di Policastro, moglie di Scipione Gardo, con il consenso di suo marito, dona al chierico Petro Francisco Gardo suo figlio, alcuni beni affinché possa frequentare comodamente la scuola e ascendere agli ordini sacerdotali. La “soror” Agostina, “avuncola” del detto chierico Petro Fran.co, gli dona alcuni animali, tra cui: una bestia sumerina con “allevo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 55-56). 3 luglio 1620: Joannes Paulo Accetta di Policastro, per consentire al figlio Innocentio “Clerico di ordini minori”, di frequentare “alle scole delle humane lettere” e quindi ascendere al grado sacerdotale, gli dona diversi beni e animali, tra cui una bestia sumerina (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 49-49v). 3 giugno 1621: Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Antonio Lanzo di Policastro dona al Cl.o Joannes Lanzo suo figlio, alcuni beni e animali tra cui: una “Bestia sumerina” con “pollitra” “dell’anno” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 34v-35).

[lxxi] 29 settembre 1608: Al fine di poter accedere all’ordine sacerdotale, Joannes Petro de Aquila di Policastro, dona al figlio chierico Joannes Jacobo de Aquila alcuni beni, tra cui una “bestiam sumerinam de pilatura nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 105-106). 28 aprile 1609: Agostino Cavarretta dona al figlio chierico Joannes Alfontio Cavarretta alcuni beni per accedere all’ordine sacerdotale, tra cui una bestia sumerina di pilatura “nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 140-140v). 30 ottobre 1613: Cesare Berardo di Policastro dona al chierico Salvatore Rotella di Policastro suo nipote, una bestia sumerina di pilatura “nigre” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, f. 108). 30 agosto 1617: Fabio Vallone di Policastro asseriva di avere molti figli, maschi e femmine tra cui, il chierico Santo Vallone, ai quali, in virtù degli ordini dell’arcivescovo di Santa Severina, spettava godere “lo portione verile” sopra le robbe di detto Fabio. Volendo adempiere a ciò nei confronti del detto Santo, gli assegnava una bestia sumerina “di pilatura nigra” del valore di circa ducati 18, in maniera tale che “delle Indrustie di essa” più comodamente potesse attendere “alla scola dell’humane lettere” e ascendere agli ordini sacri (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 37-37v). 27 gennaio 1620: Antonio Caputo di Mesoraca, per consentirgli di accedere agli ordini sacerdotali, dona al chierico Joannes Fran.co Caputo suo fratello, alcuni stabili posti nel territorio di Mesoraca, nonché una bestia somerina di “pilatura nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 4v-5). 28 gennaio 1620: Agostino Cavarretta di Policastro, dona al chierico Joannes Alfontio Cavarretta suo figlio, una bestia somerina di “pilatura nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, f. 5v). 13 settembre 1624: I coniugi Joannes Ant.o Poglise e Camilla Carcello di Policastro non avendo figli, donano al  Cl.o Joannes Dom.co de Cola, figlio di Francisco Antonio de Cola, alcuni beni, tra cui una “sumarra figliata” o “bestia sumerina di pilatura negra Con pollitro dell’anno apresso similm.te nero” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 68-69). 27 settembre 1626: Joannes Thoma Riccio di Policastro vende ad Antonio Monetto di Policastro, una domus palaziata per ducati 36. Per tale prezzo il detto Antonio gli consegna un bove per il prezzo di ducati 15 e una bestia sumerina di pilatura “nigra” con un “pollitro dello anno apresso” di pilatura “nigra” per il prezzo di ducati 20, mentre, per i restanti carlini 10, promette di dargli “due giornate di bovi alli simenti primi” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 73-73v). 15 dicembre 1629: Per permetergli di ascendere agli ordini sacri, Elisabetta Corigliano di Policastro, vedova del quondam Joannes Thoma Richetta, dona al Cl.o Carlo Leonardo Richetta suo nipote, alcuni beni, tra cui una “asina” di pilatura “nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, f. 072). 26 agosto 1630: Per consentirgli di ascendere agli ordini sacerdotali, Marco Ant.o Curto di Policastro, dona al Cl.o Jacinto Curto suo figlio, alcuni beni tra cui una bestia sumerina figliata con una “pollitra” entrambe di “pelo negro” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 139-140). 26 agosto 1630: Una bestia sumerina di pilatura “nigra” con “pollitra apresso” di un anno (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 141-142v). 25 settembre 1631: Alfonsio Campitello di Policastro dona al Cl.o Ferdinando o Ferrante Campitello suo figlio alcuni beni, tra cui una bestia sumerina di pilatura “nigra” con pollitra appresso “di pelo bianco” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 66v-68). 9 settembre 1632: Il Cl.o Joannes Baptista Pinello di Policastro, dona al Cl.o Fran.co Martulotta di Policastro, alcuni animali, tra cui una bestia sumerina di “pelo negro” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 71-71v). 9 marzo 1634: Nell’inventario delle robbe del quondam Dieco o Didaco Caccurio di Policastro, è elencata una bestia sumerina di pilatura “nigra”, “Con uno polletro dell’anno, et apresso uno piccirillo” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 22v-25). 27 gennaio 1635: Su richiesta di Caterina Cervino di Policastro, vedova del quondam Joannes Fran.co Costantio, il notaro compila l’inventario dei beni del morto, tra cui è elencato un “Somarro di pilatura nigra” venduto ad un “homo che facea la pece” di cui non ricordava il nome (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 12v-14v). 26 giugno 1636: un “somarro” o “bestia sumerina mascolo di pilatura nigra” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 68-68v). 23 settembre 1639: Pagamento attraverso un “bagaglio sumerino di pelo nigro” appartenuto a Berardino di Franco a cui andavano ducati 10 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 106-107). 12 luglio 1653: una bestia sumerina figliata di pilatura “nigra” (ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 42-43).

[lxxii] 21 febbraio 1605: Joannes Palatio di Policastro dona la Cl.o Joannes Francesco Palatio suo figlio, alcuni beni, tra cui una bestia sumerina di pilatura “suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 286, ff. 91-92). 10 settembre 1608: Joannes Fran.co Russo vende a Hijeronimo Lamanno la “domum terraneam” posta dentro la terra di Policastro, in convicino della chiesa di Santa Caterina. Nel pagamento rientra il valore di “unius bestie sumerine de pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 287, ff. 102-103). 23 luglio 1612: A parziale estinzione di un suo debito, Joannes Antonio Pugliese di Policastro cede a Mutio Campana una “pollitram sumerinam pilature suricigne” per il prezzo di ducati dodici (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 38v-39 e 39-39v). 29 dicembre 1613: Al fine di poter pervenire all’ordine sacerdotale, Joannes Fran.co de Mauro di Policastro, dona al chierico Joannes Petro de Mauro suo figlio, alcuni beni tra cui un “asinum seu bestia sumerine pilature suricigne” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288 ff. 113-113v). 14 settembre 1616: Sanson Salerno di Policastro vende a Joannes Fran.co Schipano di Policastro, la “vineam” che era pervenuta a detto Sansone da Luca Cavallo. Non avendo il denaro per pagare, il detto Joannes Fran.co assegnava al detto Sanson una bestia sumerina di pilatura “suricigna” del valore di ducati 9 mentre, per i restanti ducati 6, il detto Joannes Fran.co gli cedeva del “germano” alla ragione di carlini 6 il tumolo (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 128v-129v). 24 giugno 1620: Marco Antonio Cavarretta di Policastro, dona al chierico Joannes Matteo Cavarretta suo figlio, una “bestiam sumerinam” o “asinam” di “pilature suricigne” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, f. 45v). 3 marzo 1621: Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, Joannes Baptista Cavarretta dona al Cl.o Joannes Matteo Cavarretta suo nipote, la sua “asinam sumerinam pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 293, ff. 12v-13). 2 febbraio 1624: Il 3 giugno 1621 Antonio Lanzo di Policastro aveva donato al subdiacono Joannes Lanzo suo figlio, molte robbe mobili e “animali” per consentirgli di ascendere agli ordini sacri, tra cui “una bestia sumerina di pilatura bianca” con una “pollitra apresso di pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 8v-10). 24 maggio 1636: Hijeronimo Chiaram.te di Policastro dona a suo figlio Fran.co Chiaram.te “tersiario” di Sant’Angelo in Fringillo, alcuni beni tra cui una bestia sumerina di “pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 62-62v). 30 settembre 1639: Joannes Aloisio Luchetta di Policastro consegna ai coniugi Antonino de Mauro e Catherina Luchetta, un “asiunm seu pollitrum cum basto, pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 108v-109). 16 aprile 1645: Nella dote di Anastasia Greco “Vergine in Capillo, et povera” figura una bestia sumerina di pilatura “suricigna” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 52-57).

[lxxiii] 23 novembre 1611: Al fine di poter accedere all’ordine sacerdotale, Ferdinando Cerasaro di Policastro dona al chierico Joannes Fran.co Cerasaro suo figlio, alcuni beni tra cui una bestia sumerina di pilatura “Castagna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 5v-6v). 4 dicembre 1611: Al fine di permettergli di pervenire all’ordine sacerdotale, Leonardo Spinello di Policastro dona al chierico Joannes Baptista Spinello suo figlio, alcuni beni tra cui una bestia sumerina di pilatura “Castagna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 7-8). 15 marzo 1634: Alla dote di Anastasia Giordano figlia di Vittoria Condo, apparteneva una bestia sumerina di pilatura “Castagna” del valore di 10 ducati (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 301, ff. 28v-30). 2 settembre 1637: Per consentirgli di ascendere all’ordine sacerdotale, i coniugi Petro Poerio e Francischina Bartolotta, ed i coniugi Joannes Maria Cappa e Lisabetta Bartulotta, donano al Cl.o Fran.co Bartulotta di Policastro, cognato dei detti Petro e Gianmaria, alcuni beni tra cui una bestia sumerina di pilatura “Castagna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 304, ff. 80-81).

[lxxiv] 1 maggio 1617: Con 20 ducati, parte della dote ricevuta per aver preso in moglie Minica Rocca, Berardo Lomoijo di Policastro, compra una bestia sumerina di “pilatura bianca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 291, ff. 19-19v). 2 febbraio 1624: Il 3 giugno 1621 Antonio Lanzo di Policastro aveva donato al subdiacono Joannes Lanzo suo figlio, molte robbe mobili e “animali” per consentirgli di ascendere agli ordini sacri, tra cui “una bestia sumerina di pilatura bianca” con una “pollitra apresso di pilatura suricigna” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 295, ff. 8v-10). 20 luglio 1626: Nei mesi passati, Cesare Poerio di Policastro aveva venduto al Cl.o Scipione Tronga di Policastro, le sue terre poste nel territorio di Policastro loco detto “la colla dello petrone” “seu galioti”, per ducati 250 di cui gli erano stati pagati ducati 183. Al presente, avveniva il saldo del dovuto nel quale era inclusa una bestia sumerina con “uno pollitro” di pilatura “bianca” comprata da Gio: Luise Luchetta (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 52v-53). 14 febbraio 1627: Per consentirgli di studiare, Gio: Baptista Pinello di Policastro dona al Cl.o Fran.co Dom.co Martulotta suo nipote, una bestia sumerina di pilatura “bianca” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, f. 113). 25 settembre 1631: Alfonsio Campitello di Policastro dona al Cl.o Ferdinando o Ferrante Campitello suo figlio alcuni beni, tra cui una bestia sumerina di pilatura “nigra” con pollitra appresso “di pelo bianco” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 298, ff. 66v-68). 13 maggio 1635: una “bestia sumerina” di pilatura “bianca” per il prezzo di ducati 14 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 302, ff. 38v-39).

[lxxv] 30 settembre 1639: Joannes Aloisio Luchetta di Policastro che, negli anni passati, li aveva promessi, consegna ai coniugi Antonino de Mauro e Catherina Luchetta, la “mulam pilatura baija Castagna” per ducati 35 ed un “asiunm seu pollitrum cum basto, pilatura suricigna”, oltre una “pollitra sumerina di pilatura liarda stillata in fronte” per il prezzo di ducati 17, per la somma complessiva di ducati 52 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 108v-109). 29 novembre 1642: Una bestia sumerina di pilatura “learda” (ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 801 ff. 121v-123).

[lxxvi] 6 settembre 1636: Blasio de Lucia del “Casale cotroneorum”, dona a Donato Apa suo “filiastros” di Cotronei, figlio di Fragostina Masci, una bestia sumerina figliata di pilatura “anmelata” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 112v-113v).

[lxxvii] 30 novembre 1620: Per consentirgli l’accesso agli ordini sacerdotali, Marco Valente di Policastro  dona al chierico Joannes Thoma de Pace di Policastro, l’asino o “bestiam sumerinam pilatura bianche seu suricigna” del valore di ducati 12 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 79v-80).

[lxxviii] 26 maggio 1613: Al fine di permettergli di poter accedere all’ordine sacerdotale, Joannes Coschienti di Policastro dona alcuni beni al chierico Lupantonio Coschienti suo figlio, tra cui una bestia sumerina di pilatura “suricigna seu Castagnazze” (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 83-84).

[lxxix] 2 ottobre 1615: Joannes Fran.co Riccio di Policastro, dona al figlio chierico Joannes Vincentio Riccio il “mulum pilature nigre seu russazzo” appartenuto al quondam Fabio Ritia (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, f. 50v).

[lxxx] 28 settembre 1616. Gio: Paulo Accetta che, in precedenza, affinchè potesse ascendere agli ordini sacri e attendere alle lettere, aveva fatto donazione di alcuni beni al figlio chierico Innocentio, considerato che tali beni non risultavano sufficienti a consentirgli il necessario decoro richiesto, oltre a confermare tale donazione ne aggiungeva altri, tra cui un “mulo di pilatura castagno” con sella, basto e tutto il necessario, che il detto Gio: Paulo aveva comprato da Andrea Spinello (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 136v-137).

[lxxxi] 20 gennaio 1620: Vitaliano Larosa di Catanzaro, al presente “incola” in Policastro, ratifica la donazione di una“mulam pilature baije Castagne”, fatta precedentemente al chierico Furtunato Larosa suo figlio (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 85v-86). 30 settembre 1639: Joannes Aloisio Luchetta di Policastro, consegna ai coniugi Antonino de Mauro e Catherina Luchetta, la “mulam pilatura baija Castagna” del valore di ducati 35 (ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 306, ff. 108v-109).

[lxxxii] Fiore G., Della Calabria Illustrata, tomo I, 1691, Ed. Rubbettino, p. 554.

[lxxxiii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 80 prot. 303, ff. 68-68v.

[lxxxiv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 173v-174v.

[lxxxv] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 77-78.

[lxxxvi] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 292, ff. 65v-68.

[lxxxvii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 299, ff. 94v-95.

[lxxxviii] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 77-78.

[lxxxix] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 42-43.

[xc] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 880, ff. 198v-200.

[xci] ASCZ, Notaio F. Cerantonio, Busta 196 prot. 878, ff. 77-78.

[xcii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, f. 10v. ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 152-154.

[xciii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 290, ff. 5v-9.

[xciv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 296, ff. 165v-166v; prot. 299 ff. 94v-95.

[xcv] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 65v-66v e 141-142v.

[xcvi] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 152-154.

[xcvii] 2 febbraio 1543, Cosenza. “quamdam equam pilature liarde sturnellas balczianas de duobus pedibus a retro”. ASCS, notaio Napoli di Macchia vol. 16, 1543, f. 72v.

[xcviii] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 78 prot. 288, ff. 86-86v.

[xcix] ASCZ, Notaio G. B. Guidacciro, Busta 79 prot. 297, ff. 90v-91.

[c] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7014, f. 10.

[ci] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7014, f. 6v.

[cii] ASN, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio Catasti Onciari, Busta 7014, f. 41v.

[ciii] ASN, Fs. 196 fslo 4, f. 128; fslo 5, ff. 132v, 168v, 180; fslo 6, ff. 113, 229v.

[civ] Petrusewicz M., Latifondo, 1989, pp. 166-167.

[cv] Swinburne H., Viaggio in Calabria, Ed. Ursini 1996, pp. 95-96.

[cvi] Nel 1799 Alfonso Barracco “diventava Commissario per il rifornimento di cavalli, giumente e muli in servizio dell’esercito”. Petrusewicz M., Latifondo, 1989, p. 10.

[cvii] Lucifero A., Mammalia Calabra, estratto dalla Rivista Italiana di Scienze Naturali (1909), Ed. Frama Sud, 1983, pp. 135-138 e 167-172.

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Publicato da Arsac Ufficio Marketing Territoriale

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