di Pino RENDE Arsac Centro Divulgazione Agricola n°11
In ragione della sua natura montana, ardua e ostile, dove la “stagione de’ bei giorni vi ha cortissima durata”,[i] “La Sila” continuò a rimanere un luogo quasi totalmente desolato, anche dopo l’erezione del casale di San Giovanni in Fiore (1530) che, escludendo alcuni piccoli insediamenti (monasteri, chiese, torri, ecc.), sorti anche in precedenza, fu l’unico vero abitato stabile realizzato entro i suoi confini, fino alle prime case di soggiorno turistico che s’iniziarono a costruire nel periodo tra le due guerre mondiali, e dei villaggi agricoli realizzati dall’Opera Valorizzazione Sila in seguito all’applicazione della legge 31 dicembre 1947, n. 1619.
Fino a quell’epoca, infatti, gli uomini che vivevano alle sue pendici avevano frequentato l’altopiano silano solo stagionalmente, durante il periodo primaverile-estivo,[ii] quando usavano risalire la “Montagna” per condurre il bestiame ai pascoli dell’alpeggio, periodo in cui era possibile dedicarsi anche ad altre attività di sfruttamento della foresta e del suo sottosuolo.
Le rigide condizioni imposte all’uomo dall’ostilità del luogo, accanto all’esistenza di una importante economia legata alle risorse naturali presenti, determinarono così che, per un lungo tempo, durante l’età antica e medievale, la Sila rimanesse un luogo “aperto” al passaggio e di uso “comune” per le popolazioni che la frequentavano durante la bella stagione.
Un antico diritto
Sappiamo che il diritto di asilo (“Asylia”) fu un istituto religioso che, già nell’antica Grecia, determinava l’inviolabilità di un luogo, ossia garantiva l’immunità degli uomini che, trovandosi entro i suoi confini, si affidavano alla protezione della divinità che vi sovrintendeva. Una condizione tendente a garantire la convivenza pacifica in areee confinarie particolarmente importanti che, durante il Medioevo, caratterizzò le chiese e lo spazio ad esse sottoposto/consacrato dove, l’intervento dei santi, oltre a proteggere dai nemici, consentiva di fronteggiare anche il Maligno che si manifestava attraverso le spaventose forze della natura, ancora troppo soverchianti quelle deboli dell’uomo.
Le prime notizie relative alla Sila circa l’esistenza di uno spazio con queste caratteristiche, sono molto antiche e risultano legate alla figura di Hera, divinità poliade (protettrice) degli Achei,[i] la cui tutela territoriale nell’ambito del suo “bosco” sacro, attraverso l’istituto dell’asilo, risulta documentato già durante l’età arcaica, come testimonia Licofrone,[ii] e come evidenzia più esplicitamente, il racconto di Tito Livio dove, in particolare, alla dea è attribuito un ruolo di regolatrice e garante dell’attività pastorale: “lucus ibi frequenti silva et proceris abietis arboribus saeptus laeta in medio pascua habuit, ubi omnis generis sacrum deae pecus pascebatur sine ullo pastore, separatimque greges sui cuiusque generis nocte remeabant ad stabula, nunquam insidiis ferarum, non fraude violati hominum.”.[iii]
Verso la metà del sec. IV a. C., dopo l’affermazione dei Brettii nell’interno della regione, questa sovranità religiosa riconosciuta ad Hera, passò ad essere esercitata da un’altra divinità femminile, antico patrimonio delle popolazioni pastorali che avevano costituito questa nuova entità politica.
La regina eponima
Il racconto di Pompeo Trogo riassunto da Giustino, fa risalire i fatti in questione all’epoca del tiranno siracusano Dionisio II, tempo in cui i pastori del luogo avevano costituito la confederazione dei “Bruttii”, assumendo come etnico il nome di una donna (“Bruttiam mulierem”) che era intervenuta in loro favore in occasione di questa circostanza:[i] fatto che avrebbe condotto così alla fondazione di “Consentia, metropoli dei Brettî”.[ii]
Questo atto fondativo realizzato attraverso l’intervento determinante di un personaggio eponimo, ci rimanda ad uno schema mitico classico, riassumendo in questo modo i fatti riconducibili alla nascita dell’organizzazione politica dei Brettii, ai quali precedono le vicende riferite da altre testimonianze che coinvolgono la città di Crotone e la sua antica espansione verso l’interno della regione.
In questa direzione troviamo la prima testimonianza relativa alla Sila nell’Alexandra di Licofrone, poeta vissuto nel sec. III a.C., ma la cui composizione erudita contiene numerosi riferimenti remoti, che l’autore espone nella sua opera attraverso le predizioni di Cassandra.
Secondo una di queste predizioni, alludendo ai fatti che, successivamente, avrebbero visto opporsi i Crotoniati alla popolazione del luogo in epoca storica, il vaticinio di Cassandra riassume le vicende relative alla conquista del territorio da parte degli Achei che, reduci dalla guerra di Troia, sarebbero infine giunti erranti nella “regione” posseduta da “una Amazone”, rappresentata dalle “inaccessibili alture della Sila” ed estesa fino al “promontorio di Lino” (Λίνου, Laino?). Qui, dopo essere a lungo sottostati al “giogo” di questa “donna di condizione servile” e dopo molti sforzi, i Crotoniati sarebbero infine riusciti a distruggere “la città dell’Amazone”, uccidendo “la regina che porta il nome del suo paese”.[iii]
La scelta da parte di Licofrone, di rappresentare questi fatti ricorrendo a personaggi che alludono a quelli protagonisti degli antichi miti propri del patrimonio leggendario comune sia agli Achei che agli abitanti del luogo, dimostra di non essere casuale, anzi risulta ben scelta e circostanziata.
Per altro verso,[iv] infatti, sappiamo che Cleta, nutrice dell’amazzone Pentesilea, avendo appreso della morte della sua signora a Troia per mano di Achille (l’eroe tessalo tanto caro alla più antica tradizione degli Achei), era stata la sola a partire per intraprendere la sua ricerca, ma imbattutasi in una tempesta, era giunta in Italia. Qui aveva fondato la città di Cleta ed era divenuta la regina del luogo. In seguito, tutte le regine succedutele nel regno, erano state chiamate con quello stesso nome e, dopo molte generazioni, infine, l’ultima era stata uccisa dai Crotoniati.
In merito alle implicazioni che fanno riferimento allo spazio territoriale riconducibile a questa figura sovrana/divina, possiamo dire che gli elementi del suo mito, risultano localizzati in un ambito sostanzialmente selvaggio che ben rispecchiano le caratteristiche della “Sila” (Σίλαν),[v] ovvero della “Sila Bruttiorum”,[vi] dove i racconti ambientano i fatti legati alla nascita della confederazione dei Brettii e dove si realizzavano importanti attività economiche coinvolgendo, soprattutto, coloro che frequentavano l’altopiano per esercitare la pastorizia: un’attività che necessitava e presupponeva, imprescendibilmente, accordi con coloro che detenevano il dominio dei luoghi costieri.
In ragione dell’importanza riconosciutagli da tali racconti, questa divinità appare ricorrentemente raffigurata sulle monete dei Brettii,[vii] e risulta menzionata da Stefano Bizantino (sec. V-VI d.C.), che citando Arriano (sec. II d.C.), riferisce che “Abrettenia”, territorio di Misia, era così chiamato in relazione alla “ninfa Brettia” (Ἀβρεττηνή, χώρα Mυσίας, ἀπὸ Bρεττίας νύμφης).[viii]
Quest’ultima sarà ricordata ancora in età altomedievale quando, nel corso del secolo VI d.C., ripercorrendo i fatti accaduti in Italia al tempo di Alarico, Iordanes evidenzierà che i “Brittios”, ovvero la regione dei “Bryttiorum”, aveva tratto questo nome da quello della regina “Bryttia”[ix] come, del resto, riferirà successivamente, anche Paolo Diacono (sec. VIII d.C.), facendone risalire l’origine a quello della “reginae quondam suae nomine appellata”.[x]
Tra Oriente e Occidente
Dopo la partenza di Annibale da Crotone (203 a.C.), a conclusione della seconda guerra punica, quando il potere di Roma riuscì a stabilizzarsi definitivamente nell’Italia meridionale, i Brettii che si erano schierati dalla sua parte, furono privati di gran parte del loro territorio (χώραν), come riferisce Appiano,[i] e costretti a cedere ai Romani la metà della selva chiamata Sila (Σίλα) da cui, secondo Tito Livio, i nuovi padroni trassero in seguito cospicue rendite.[ii]
Più tardi, al dominio di Roma subentrò quello degli imperatori bizantini di Costantinopoli, che dovettero fronteggiare i Longobardi. Già alla fine del sec. VI d.C., infatti, sappiamo che il papa Gregorio Magno ricorse ad Arechi, duca dei Longobardi di Benevento, ormai stabilmente stanziati nel Cosentino, affinchè potessero essere tagliate e trasportate a Roma, via mare, le travi “de partibus Brittiorum”, necessarie alle “ecclesias beatorum Petri ac Pauli”.[iii]
Al tempo di Carlo Magno (768-814), Einhardo accenna a tale partizione, scrivendo circa due decenni dopo la morte dell’imperatore: “… deinde Italiam totam, quae ab Augusta Praetoria usque in Calabriam inferiorem, in qua Grecorum ac Beneventanorum constat esse confinia, …”.[iv] Alla fine del sec. XII, quando in Sila passava il confine di “Valle Crati”,[v] il toponimo “petram Caroli Magni”[vi] compare sul limite settentrionale del territorio dell’abbazia di San Giovanni in Fiore, dove era precedentemente esistito l’antico confine che aveva diviso la Sila, tra le diocesi di rito greco dipendenti dall’imperatore bizantino di Costantinopoli e quelle dei Longobardi latinizzati/civilizzati sotto l’imperatore Carlo Magno.
Un antico confine
Il mantenimento di questo confine e la persistenza di questo toponimo, che possiamo interpretare come un retaggio dei miti franchi legati a questo personaggio, sopravvissuti nella cultura dei nuovi dominatori svevi, ci spinge ad approfondire le ragioni della presenza di questa antica traccia.
A riguardo possiamo rilevare che, agli inizi della dominazione sveva, tale confine seguiva la viabilità principale che poneva in collegamento i diversi comprensori posti a valle dell’altopiano, attraverso il controllo di tutti gli snodi più importanti. Dalla parte montana, esso iniziava dal passo del fiume Neto (“vado fluminis Neti”) e proseguendo verso mezzogiorno, seguiva la via che discendeva verso Nicastro,[i] passando per la “petram Caroli Magni et serraticum”, fino a giungere al passo del fiume Savuto (“vadum Sabuti”), da cui, seguendo il corso di questo fiume, raggiungeva l’alveo del fiume Ampollino, dove passava la via che collegava Cosenza e i suoi casali alla città di Crotone, discendendolo fino alla confluenza con il fiume Neto.[ii]
Alla fine del Settecento il confine che divideva il territorio di San Giovanni in Fiore da quello della “Regia Sila”, continuava ad attraversare le località indicate negli antichi privilegi dell’abbazia e passava per le località “Serriselli”,[iii] “Frassineto”,[iv] “Picata”,[v] “Macchia di Pietra”,[vi] “Differenza”,[vii] “Rijo di Barrese”,[viii] “San Nicola Soprano”[ix] e “Botorino Soprano, o sia Piano delli Greci”,[x] tra le località di “Carlomanco Soprano” e “Carlomanco Sottano”,[xi] e per le località “Rovale”,[xii] “Serra della Taverna”,[xiii] “Lorica”,[xiv] “Pinocollito”,[xv] “Camporotondo”,[xvi] “Monte di Janni”,[xvii] “Pietralba di Basile”,[xviii] “Verberano Soprano”,[xix] e “Scorciabovi”.[xx]
L’esistenza di un limite più antico di quello appartenente al territorio dell’abbazia, lungo la parte più settentrionale di tale confine, è posto in evidenza dalla persistenza di toponimi che possiamo far risalire ad un periodo precedente alla formazione dei feudi, quando lungo tale percorso doveva correre la divisione tra la parte greca e quella longobarda della Calabria.[i]
A tale partizione possiamo riferire il toponimo “Vallone de’ Pagani” (ossia dei Greci) appartenente ad un luogo confinante con la parte della difesa detta “Macchia di Pietra” ricadente nella regia Sila,[ii] che compare nella confinazione della difesa “Porticella”,[iii] ed il toponimo “Piano delli Greci” appartenente alla difesa di “Botorino Soprano”,[iv] luoghi nelle cui vicinanze troviamo il toponimo “Sculca”, al confine della difesa “Rijo di Barrese”[v] e del “pezzo di terra” detto “Greca”[vi].
Secondo una interpretazione diffusa, il toponimo “Sculca”, “noto anche altrove in Italia”, con esempi “per il Friuli e per l’Istria”, costituirebbe una testimonianza della presenza longobarda, ed avrebbe il significato di “vedetta, osservatorio”, riconducibile alla esistenza di un posto di guardia-sentinella.[vii]
In relazione a ciò i primi privilegi concessi ai Florensi, evidenziano l’esistenza del “castellum de Sclavis”, presso il passo che consentiva l’attraversamento del fiume Neto,[viii] posto sotto la confluenza dei fiumi “Rijo” e Neto, “vicino alla difesa detta Ariamacina”,[ix] mentre risale al 21 maggio 1327 un atto di donazione di Thomaso de Aquino “miles baroniarum genocucastri et barbari”, scritto “apud cast.m sclavorum”.[x] Qui alla metà del Seicento, è documentata l’esistenza della “Torre di Volpe in testa” o “Castello di Volpe intesta”, come riferisce la platea dell’abbazia di San Giovanni in Fiore del 1652,[xi] e come testimonia “la pianta di tutta la Sila fatta dall’Ingegnere Galluccio nel 1664” che riporta “il sito della Torre de’ Schiavi”[xii] e quello del “Vado di Neto”. In questa parte più settentrionale del territorio abbaziale di San Giovanni in Fiore, il toponimo “Serra delli Schiavi” si evidenzia nella vicina difesa detta “Serrisi”.[xiii]
Monasteri vecchi e nuovi
La particolare importanza che ebbe lo sfruttamento della “Montagna” silana, per la vita e per l’economia di quanti vivevano attorno ad essa durante il Medioevo, risulta particolarmente evidente osservando la posizione e l’espansione dell’antico vescovato di Cerenzìa[i] che, già durante il periodo altomediavale, oltre a dominare la media e alta valle del Neto,[ii] penetrò profondamente nell’altopiano silano, dove, ancora agli inizi dell’Ottocento, alla Mensa vescovile acheruntina apparteneva la difesa di Trepidò Sottano,[iii] e dove fu fondato il monastero “Tassitano”, internato tra i boschi della Sila ma ricordato dal Fiore in “diocesi di Gerenzia”.[iv]
All’azione della chiesa di Cerenzìa lungo la direttrice che risaliva in Sila sfruttando la vallata fluviale del Neto, risulta legata anche il ripristino del monastero di Calabromaria presso le saline di Neto, che fu riedificato e dotato dal vescovo acheruntino Policronio.
A questo monastero si riferisce la più antica concessione fatta in Sila da parte dei nuovi dominatori normanni, come attestano alcuni privilegi riguardanti il tenimento di “Sanduca”, originariamente scritti in greco ma tradotti in latino in età sveva al tempo di Corrado, a noi giunti attraverso le copie seicentesche conservate nel fondo della famiglia Ruffo di Scilla all’archivio di Stato di Napoli,[v] e attraverso l’edizione del 1721 dell’Italia Sacra scritta dall’abbate fiorentino Ferdinando Ughelli (1594-1670).[vi]
Il privilegio più antico risale al 31 maggio 1099 (a.m. 6607), quando “Rogerio Duce Italiae, Calabriae, et Siciliae”, accogliendo la richiesta del dominus “Polychronius”, vescovo di Cerenzìa, confermò al monastero della “Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae” la concessione fatta da “Constantino”, arcivescovo di Santa Severina, di “quoddam sylvae tenimentum, quod dicitur Sanduca” libero da ogni servitù, affinché i monaci potessero aprirvi un altro monastero.[vii]
Il possesso del “tenimento quod dicitur Sanduca, quod est in Sila”, fu confermato il primo giugno 1115 (a.m. 6623) in Santa Severina, da “Rogerius Comes Calabriae et Siciliae”, e successivamente, il 18 ottobre 1149 (a.m. 6653) in Messina, da re Ruggero II, assieme agli altri privilegi concessi al “Monasterio Calabrorum”, ovvero della “SS. Dei Genitricis Calabrorum”.[viii]
Durante questo periodo, tra le numerose chiese e monasteri che, invece, presidiavano il limite della “Montagna”, dove in seguito troveremo i confini della diocesi di Cerenzìa, prosperavano: il monasterio di “Cabrie”, quello di Abbate Marco, poi ricostituito sotto il titolo di “Monte Marco”, e quello di “S. Maria de Nova, o vero Trium Puerorum”, detto volgarmente la “Paganella”.[ix]
L’esistenza del monastero (μoνῆν) di Santa Maria “de Cabria” (ϑεoτoϰoυ τoῦ ϰάυρια) risulta documentata già da un atto del 1170 (a.m. 6678), scritto su mandato del tabulario di Cerenzìa e riguardante la donazione in suo favore, di un terreno posto nel luogo detto “ad Stapurniatam” (σταπoυρνιάτην), circondato da rilievi, rupi e dalle acque di un torrente.[x]
Con lo stesso titolo, il monastero risulta successivamente, in una carta latina del giugno 1181, in cui “Ciprianus venerabilis abbas ecclesie Sanctae Mariae de Cabria”, compare per il “probum virum Petrum abbatem Sanctae Mariae de Abbate Marco”, in un giudizio riguardante la “terram de Macchia de Throno”, che deteneva “cum ecclesia praedicta”.[xi] L’anno successivo, in un altro documento greco datato 20 settembre 1182 (a.m. 6691), scritto sempre su mandato del tabulario di Cerenzìa, ancora Cipriano ricevette la donazione fatta al venerabile monastero (μoνῆν) di Santa Maria “de Cabria” (τoῦ ϰάυρια), di un terreno con alberi fruttiferi posto nel territorio di Cerenzìa (διαϰρατήσει ϰάστρoυ ἀϰέρας), nel luogo detto “Culumite” (ϰoυλoυμεῖτες), confinato da altre terre coltivate, da “loca saxosa” e da un torrente.[xii]
Il monastero dell’Abbate Marco e quello dei Tre Fanciulli, sono menzionati al tempo della erezione del monastero “de Flore”, quando sono richiamati entrambi nella confinazione del territorio della nuova fondazione, come riferisce il privilegio dell’imperatore Enrico VI, dato il 21 ottobre 1194 in Nicastro. Nella sua parte orientale, dopo aver attraversato il corso del fiume Neto nel luogo in cui questo riceveva le acque dell’Ampollino, tale confine seguiva i limiti dei “monasterii Sanctorum Trium Puerorum et monasterii Abatis Marci” fino a raggiungere la “viam, que venit a civitate Cerentie et vadit per portium”, via che costituiva il confine settentrionale del territorio abbaziale fino alla luogo detto “Fraxinitum”, da cui il detto confine seguiva il corso del Neto fino al passo del fiume posto sotto il “castellum de Sclavis”.[xiii]
Il monastero “de Flore”
Le vicende degli antichi monasteri esistenti in diocesi di Cerenzìa ebbero una svolta importante verso la fine del sec. XII, quando dal dominio dei regnanti normanni si passò a quello degli imperatori di Germania della dinastia sveva, la cui politica risultò subito molto meno tollerante verso il rito greco.
In questo quadro si realizzò la fondazione del monastero latino di Fiore che, andando ad insediarsi in un luogo vitale per l’economia dei monasteri greci, ed assumendo il totale controllo di quest’area, decretò rapidamente il tracollo dell’economia di questi ultimi.
A testimoniare questa realtà precedente, basata sul diritto d’uso comune della vasta area boschiva destinata principalmente al pascolo primaverile-estivo, rimarrà l’antico toponimo “Floris”, derivazione latina del greco άνθoς (ánthos) che, secondo il Pesavento, sarebbe correlabile alla figura di Sant’Antonio Abbate, ricordato come patriarca del monachesimo in qualità di primo degli abbati, nonchè protettore degli animali domestici.
Per quanto riguarda invece, le prime fasi relative al nuovo monastero latino, la tradizione raccolta alla fine del Cinquecento, nella “Vita b. Joachimi abbatis” di Cornelio Pelusio,[i] ed il resoconto fornitoci dall’Ughelli verso la metà del secolo successivo, riferiscono che l’erezione del “Monasterium Floris”, sotto il titolo di “S. Joanni Baptistae”, fu avviata nell’anno 1189, con il consenso dell’arcivescovo di Cosenza Bonhomo, gettando così le basi per l’istituzione di nuova congregazione di monaci detta “Ordinem Florensem”. Il luogo prescelto per ospitare la nuova abbazia, definito orribile e solitario, ricadeva in “Cusentina Archidioecesi”, e si trovava “ad radices Silae sylvae”, posto tra due fiumi: l’Arvo (“Album”) ed il Neto.[ii] La nuova fondazione oltre a essere sostenuta dall’arcivescovo di Cosenza, trovò anche il favore di “Tancredi allora Regnante”, il quale, oltre a dispensare la propria protezione all’abbate Gioacchino ed ai suoi monaci, nel 1191[iii] assegnò loro “cinquecento salme di grano ogni anno delle decime fiscali” che la regia corte percepiva in Sila.[iv]
Il territorio di Fiore
Con l’avvento dell’imperatore Enrico VI sul trono di Sicilia, anche il nuovo sovrano legò a sé il monastero di Fiore, prendendolo sotto la propria protezione, con “omnia que ipsi concessimus cum aliis possessionibus suis quas habet in tenimento Cerentie, fratres, [h]omines et res ipsius”.
Il privilegio del 21 ottobre 1194, dato in Nicastro “ad preces Ioachim venerabilis abatis de Flore”, evidenzia che l’imperatore concesse e donò al “monasterio Sancti Iohannis de Flore, quod ipse pro se de novo fundaverat in tenimento Sile”, un territorio circostante il loro insediamento, costituito da “terras laboratorias, silvas et acquas adiacentes ipsi monasterio”, accanto a terre etc. etc … .”[i]
Queste concessioni posero subito la nuova abbazia latina in aperto contrasto con i monasteri greci, che detenevano importanti interessi sull’altopiano, nel profondo della montagna silana, dove avevano creato le loro dipendenze ed esercitavano usi molto antichi.
In relazione a ciò, verso la fine del sec. XII, quando il Fabre registra “In Archiepiscopatu Cusentino”, l’esistenza della “Ecclesia Sancti Johannis posita in loco qui dicitur Flos infra terminos Sile”,[ii] sappiamo che la nuova “Colonia”, “dedicata a San Giovambattista”, rimaneva ancora prudentemente stanziata nel luogo detto “Albaneto di Fiore”,[iii] dove l’abbate Gioacchino aveva realizzato un “receptaculum” per il rifugio dei suoi monaci, “in loco qui dicitur Caput Album in extrema parte Silae, quae adjacet civitati Cusentinae”,[iv] “domus” posta “in frigidissimis Sylae finibus”,[v] presso il confine dei “territorii de’ Casali di Cosenza”, ed in corrispondenza della “via della Cresta” che, dal Cosentino, si dirigeva verso i luoghi dove, solo in seguito, sarebbe stata trasferita definitivamente l’abbazia[vi] che, durante la sua storia, dovette subire diverse devastazioni.
Alla fine del sc. XII, invece, in questi luoghi,[i] dove nel passato era detto in greco “Calosuber”, i Florensi avevano fondato il nuovo monastero di “Bonum Lignum”, come risulta già dal privilegio dato in Messina nel gennaio 1198 e concesso ai Florensi da Costanza d’Altavilla, imperatrice dei romani e regina di Sicilia, attraverso cui, accanto a quella che garantiva al monastero di “Sancti Ioannis de Flore”, la sovrana riconobbe la protezione regia anche ai “monasteria, quae de novo fundasti in loco, qui olim dictus est Calosuber, nunc autem Bonum Lignum, et in loco qui dicitur Tassitanum, et monasterium Abbatis Marci”, compresi quelli che sarebbero stati edificati in futuro, con le loro possessioni e beni, “fratres et homines et loca”.[ii]
Questa protezione da parte dei sovrani, però, non valse a garantire la sicurezza delle nuove fondazioni florensi. Come rileviamo già nel giugno del 1199, quando “Guillelmus de Bisianiano, et Alexander filius Guillelmi regii vallis Gratis justitiarii”, sentenziarono in merito alla richiesta dell’abbate Gioacchino che, relativamente alla contesa di questi possedimenti, lamentava i danni arrecatigli dai monaci del monastero dei SS. Trium Puerorum e dagli uomini di Caccuri che, a mano armata, avevano attaccato i suoi monaci che custodivano le pecore ed avevano invaso il suo monastero suffraganeo “quod dicitur de Bono Ligno”, distruggendo le “officinas ipsius monasterii” e saccheggiando i suoi beni.[iii]
Essendo motivata da un insanabile conflitto d’interesse, la lotta che opponeva i Cosentini da una parte e gli uomini dei centri ricadenti in diocesi di Cerenzìa dall’altra, proseguirà ancora in età moderna.
Tra le grazie concesse il 23 maggio 1504 in Napoli ai cosentini dal vicerè Consalvo de Cordoba, troviamo la richiesta degli uomini dei casali di Cosenza di potere condurre al pascolo il proprio bestiame nelle aree di confine con i territori di alcune terre appartenenti al comitato di Cariati ed altre vicine, tra le quali, principalmente, Cerenzia e Caccuri, dove, durante il precedente periodo, gli uomini delle due parti si erano affrontati con le armi, facendosi vicendevolmente “curreria” carcerandosi il bestiame. Durante questi trascorsi, il vicerè francese messer Lois d’Armagnac, aveva deciso che, in attesa di una sentenza giudiziale, entrambe le parti avrebbero potuto pascolare i luoghi contesi ma poi, a seguito della guerra, gli eventi erano precipitati.[iv]
Relativamente a tale questione che li opponeva agli uomini delle terre del “contato de Cariati et altre terre”, i Cosentini facevano notare al vicerè che, durante la recente guerra contro i Francesi, queste si erano ribellate passando dalla parte dei nemici assieme ad alcuni fuoriusciti “deli Casali”, e dandosi a predare il loro bestiame. Considerato tutto ciò, chiedevano che si procedesse in favore dei sudditi fedeli contro i ribelli, per via stragiudiziale “summarie simpliciter”.[v]
La formazione del territorio abbaziale
Durante i primi anni di vita, le vicende delle nuova abbazia di Fiore furono molto travagliate e solo da un certo punto in poi, i monaci florensi riuscirono a insediarsi più stabilmente nel territorio loro concesso dai sovrani, a causa della resistenza dei monasteri greci posti alle falde dell’altopiano.
Ancora ai primi del Duecento, quando l’abbate Matteo era succeduto all’abbate Gioacchino, mentre Luca era divenuto arcivescovo di Cosenza, i Florensi meditavano di andare ad abitare fuori dalla Sila, nelle vicinanze di Cosenza, nel luogo “qui Botran(us) dicitur”, permutando parte dei propri beni con la “ecclesiam Botrani” appartenente alla mensa arcivescovile di Cosenza.
In tale frangente, il 6 febbraio 1203, avendo appreso che, il loro monastero era “positum in montanis” e si trovava esposto ai rigori dei venti, al gelo, ed alle incursioni dei “malignorum”, volendo altresi dare seguito alla supplica dei Florensi, papa Innocenzo III, con il consenso dell’arcivescovo e del capitolo della chiesa cosentina, dava mandato affinchè “Flos transiret in Botrum”, attraverso la permuta (“escambium”) stabilita secondo la congrua valutazione (“estimationem”) dell’arcivescovo di Cosenza.
Tale permuta prevedeva che il presule cosentino avrebbe dovuto cedere ai Florensi la “ecclesiam Botrani cum tenimento suo, et nemore”, riservandosi però in perpetuo, l’“uso lignorum” nella detta parte forestale, e ricevendo da questi la “ecclesiam de Bottul[o] cum tenimento suo”, un altro “tenimento, quod Canale vocatur”, e la “ecclesiam Sancti Martini de Iove cum pertinentiis suis” che, con il consenso del capitolo, il suo predecessore aveva concesso al monastero di Fiore. A tali beni si aggiungeva il “tenimentum” che i monaci possedevano “in Sila magna, quod multis nominibus nuncupatur, sicut in instrumentis confectis”.
Contro tale operazione si erano però schierati una parte dei canonici del capitolo cattedrale (il cui consenso era necessario affinchè potesse aver valore la decisione vescovile), sostenendo che la detta permuta non era in alcun modo “competentem, nec opportunam”, né utile alla chiesa cosentina, mentre il “locus Botran(i)”, specie “in hiis hostilitatis temporibus”, dal quale s’importavano vettovaglie, dove si tagliava la legna e si esercitavano altri usi, era invece, utile, necessario e vicino alla città, rispetto ai luoghi remoti che offrivano i Florensi.
Quest’ultimi, infatti, offrivano una “partem tenimenti, quod habent in Sylis”, concesso loro “a bone memorie rege Tancredo”, non senza scandalo da parte di tutti i “Cusentinourum”, che detenendo “suas consuetudines et usus in Sila”, ne erano stati invece privati. C’era poi da considerare che, su tale luogo, posto “in meditullio dioeceseos Cusentine”, dove i Florensi dichiaravano di non poter abitare “propter frigus et guerras”, gli stessi avrebbero continuato a mantenere i propri usi, intendendovi comunque realizzare degli “habitacula” perchè “a loco pristino nolunt aliquatenus separari.”
Allo scopo di giungere ad una composizione della vicenda, il pontefice dava incarico al vescovo ed al tesoriere della cattedrale di Martirano ed agli abbati di Corazzo e di Acquaformosa, di accertare in merito alla questione.[i]
Anche in seguito però, questa si trascinò, continuandosi a registrare la comprensibile opposizione del capitolo. Il primo settembre 1203, scrivendo all’arcivescovo ed al capitolo di Cosenza, il pontefice ritornava sull’argomento,[ii] ed ancora, il 4 giugno dell’anno dopo, dava loro mandato di provvedere,[iii] esortando i “Cives Cusentinos” ad adoperersi per questa causa nei confronti dei canonici della loro città.[iv]
Le esortazioni e gli inviti da parte di papa Innocenzo III, affinchè potesse essere formalizzata la permuta concordata con i Florensi, a questo punto, ebbero l’effetto di produrre l’azione da parte dell’arcivescovo di Cosenza.
Il documento relativo, dato in Cosenza nel luglio 1204,[v] riveste per noi una certa importanza, perché anche se riporta, in larga parte, informazioni già note, descrive dettagliatamente i confini del “tenimentum” interessato dalla permuta, che il monastero di Fiore deteneva “in Sila” e possedeva “ex imperiali dono”.
Possiamo così rilevare che, rispetto ai confini riportati più sommariamente nella concessione di dieci anni prima, data dall’imperatore Enrico VI, quelli riportati in questo documento, pur non essendo tutti mappabili con precisione, consentono, comunque, di delimitare con sicurezza un’area sensibilmente minore.
Dalla parte meridionale, questa risultava circoscritta da un confine che, iniziando dal “fluvium Lorice” e seguendo la via pubblica, passava per le località “Vallembonam” e “Cassand(rella)”, dirigendosi ad attraversare il “flumen Garg(a)”, passando per “Trang(iam)” (sic, ma “Fragulum”), fino a raggiungere il “flumen Net(i)”. A questo punto, seguendo il corso di questo fiume, il confine giungeva “ad vadum Castelli de Sclavis”, che costituiva il termine più settentrionale del tenimento abbaziale e, seguendo la via pubblica lungo cui correva il confine occidentale di quest’ultimo, discendeva “per Trigiam” (sic, ma Rijo/Righio), “per petram Caroli Magni” e “per Serram de Grimald(o)” (sic, ma Grimoli), ritornando infine al predetto fiume di Lorica.[vi]
La conferma papale e quella regia
Lo scambio di beni tra la chiesa di Cosenza ed il monastero di Fiore, condotto sulla base di quanto riporta questo documento non si realizzò, come dimostra la lettera del 30 ottobre 1204 con la quale il papa confermò la precedente permuta fatta dall’arcivescovo di Cosenza, riconoscendo e prendendo sotto la protezione apostolica il monastero di “Sanctae Marie de Botrano”.
In questa occasione, infatti, nell’elenco dei beni riconosciuti in possesso del nuovo monastero, (cui non risultavano più appartenere la chiesa di Bottulo, il tenimento di Canale e la chiesa di San Martino de Iove), oltre ad essere menzionato il “locum ipsum Botranum”, con le chiese di San Nicola e di Sant’Angelo e tutte le sue pertinenze, risultava compreso anche il “tenimentum” silano “quod multis nominibus nuncupatur”,[i] a cui appartenevano il “locum Floris” e quelli detti “Calosuber”, “Fara Clomitus”, “Semigari”, “Eremita”, “Campus de Manna” con “Missi”, e “Gimellaria”, a cui si aggiungevano i tenimenti di “Garga” e quelli “de Fragullis, de Tassetan(o) et de Caput Rose”.
I confini di questo tenimento che includevano l’area già individuata nella primitiva concessione imperiale dove, ancora in epoca moderna, sopravviveranno Toponimi riferibili all’antica donazione del re Tancredi,[ii] iniziavano dal fiume detto “Lorica”, seguendo la via pubblica che passava per “Serraticum”, discendendola fino a raggiungare il corso del fiume Savuto (“flumen Sabuti”). Da qui, il confine risaliva fino alle sorgenti di questo fiume, da dove raggiungeva il corso del fiume “Ampulini”, seguendolo fino al luogo dove si univa con il fiume Neto.
Dalla sua parte orientale i confini del territorio abbaziale seguivano il corso del Neto fino “ad Serram, que respicit Gimellara”, che si trovava ai confini del monastero dei Trium Puerorum e, attraversato il Neto, proseguivano seguendo i confini del monastero dell’Abbate Marco, fino a raggiungere la via che proveniva da Cerenzìa ed andava “per porticum” (sic, ma portium).
La detta via costituiva il confine settentrionale del territorio abbaziale fino alla località detta “Frassinetum”, da cui il detto confine risaliva il corso del fiume Neto fino alla località detta “Tria Capita”. Da questo luogo, “in directum”, seguendo il rilievo e limitando la località detta “Fragulum”, il confine proseguiva lungo la via pubblica “de Vallebona”, ritornando così al fiume di Lorica.[iii]
Anche la conferma della detta permuta fatta da Federico II in Palermo nel settembre 1206,[iv] consente di giungere alle stesse conclusioni che abbiamo espresso riguardo il documento precedente, consentendoci, in questo caso, di appurare più profondamente le ragioni che dovettero ostacolare l’operazione condotta dall’arcivescovo di Cosenza con il sostegno papale, il quale, attraverso lo scambio mirava, nella sostanza, ad acquisire un bene che, invece, apparteneva al sovrano.
In questa occasione, infatti, Federico II re di Sicilia, capovolgendo subito la nuova prospettiva aperta dal recente documento pontificio, concedeva e confermava a Matteo abbate del “venerabile monasterium Floris”, le “ecclesias Butrani cum omnibus iustis tenimentis et pertinentiis suis”, in considerazione della permuta (“excambium”) fatto con la chiesa di Cosenza, e secondo quanto si apprendeva dal relativo privilegio papale.
Concedeva e donava inoltre, il “tenimentum terrarum quod dicitur Bayrani, quod est iuxta praefatas ecclesias Butrani cum iustis tenimentis, et pertinentiis suis”, confermando ancora, ogni precedente possesso.[v]
A seguito di ciò anche la chiesa dovette adeguarsi. Il 15 maggio 1207, in Laterano, papa Innocenzo III, prendeva l’abbate ed il convento del “monasterii de Flore” sotto la protezione apostolica con i loro “bona temporalia et mundana”,[vi] e con le “domos, vineas, terras et alia quae habetis in tenimento Agerenteae vel Caccuri”.[vii]
Il monastero di Monte Marco
L’assetto raggiunto dal monastero di Fiore nei primi anni del secolo XIII, con il favore della chiesa di Cosenza si realizzò anche con il concorso di quella di Cerenzìa, i cui vescovi avevano ceduto ai Florensi alcuni antichi monasteri.
I monasteri dell’Abbate Marco, di Tassitano e Calosuber, che risultano appartenere ai Florensi già al tempo dell’abbate Gioacchino, figurano tra i loro possessi anche al tempo dell’abbate Matteo, come si evidenzia nel documento vaticano del 30 ottobre 1204, attraverso cui, rivolgendosi a “Matheo et fratribus monasterii Sancte Marie de Botrano”, Innocenzo III prese sotto la protezione apostolica il detto monastero, a cui appartenevano il “monasterium abbatis Marci, et obedientiam Sancti Martini de Neto”,[viii] mentre, nel luglio del 1208, in Palermo, Federico II, dietro la richiesta di “Mathee venerabilis abbas Sancti Ioannis de Flore”, riconosceva tutti i possessi, le donazioni e le libertà che erano state precedentemente concesse, confermando la protezione regia sul “monasterium sepedictum de Flore”, e sui monasteri detti “Calosuber, nunc autem Bonum Lignum, et in loco qui dicitur Tassitanum, et monasterium Abbatis Marci”.[ix]
Anche se gli antichi privilegi testimoniano che il possesso del monastero dell’Abbate Marco da parte dei Florensi, risaliva già al tempo dell’abbate Gioacchino e del vescovo di Cerenzìa Gilberto, sappiamo che tale possesso fu tenacemente conteso al nuovo monastero latino da parte dei monaci greci e dalla popolazione del luogo.
In seguito, però, quando i Florensi riuscirono a radicarsi meglio, il monastero dell’Abbate Marco con la sua obbedienza di San Martino di Neto e tutti i suoi tenimenti, assieme a due piccoli monasteri vicini ormai desolati, quello di Santa Maria “de Agradia” e quello di “S. Laurentii”, fu riorganizzato in un nuovo monastero eretto “in monte Marci”[x] e detto di “Monte Marco”. Una operazione che, nel tempo, favorirà lo spostamento del confine del territorio badiale di San Giovanni in Fiore a danno del feudo di Cerenzìa.
Nell’ottobre 1209 in Cerenzìa, “Bernardus Dei gratia Geruntinensis episcopus”, considerato che “Gilbertus episcopus praedecessor noster”, aveva concesso ad annuo censo al “domino abbati Ioachim” ed i suoi successori, il “monasterium quod dicitur de Abbate Marco cum ecclesia Sancti Martini de Neto et tenimentis sui”, ma che “Guillelmus praedecessor noster” aveva illecitamente invaso detti possedimenti, concedeva al “domino Matthaeo venerabili abbati Floris” ed ai suoi frati, il detto monastero dell’“Abbatis Marci”, “cum ecclesia S. Martini de Neto, quae in tenimenti Calabromariae confinio sita est et omnibus tenimentis suis”, dietro pagamento di un censo.
Concedeva inoltre “duas ecclesias, quae quondam fuere monasteriola, sed iam ab annis aliquot desolatas, reductas in reptilium excubias et ferarum, ecclesiam videlicet Sanctae Mariae de Agradia et ecclesiam S. Laurentii cum omnibus tenimentis et pertinentiis earum”, “ad construendum de tribus ecclesiis ipsis cum ista de Neto ac tenimentis et pertinentiis eorum, monasterium unum”, “raedificando in monte Marci monasterio subiungendas” e costituendolo sotto l’obbedienza dell’abbate florense.[xi]
Tali vicende sono ripercorse al tempo del vescovo di Cerenzìa Nicola che, alle precedenti donazioni elargite ai Florensi, aggiunse quella del monastero di Santa Maria di Cabria.
Risale al gennaio 1217 la concessione a “Matthaeo abbati” ed al convento del monastero di “Sancti Ioannis de Flore”, da parte di “Nicolaus Dei gratia Geruntinensis episcopus” e del capitolo della cattedrale di Cerenzìa, della “ecclesiam Sanctae Mariae de Monte Marcii cum obedientia S. Martini de Neto et caeteris tenimentis, pertinentiis suis”, dietro pagamento del censo annuale di “bisantii unius” al tempo della festa di “Sancti Theodori”, e del “monasterium Sanctae Mariae de Cabria cum omnibus rebus, tenimentis, et pertinentiis suis”, come era stato e come si trovava al presente desolato, con i possedimenti esistenti “vel intra civitatem Gerentiae, vel in tenimento civitatis eius, excepta ecclesia et tenimentum Sancti Nicolai de Myliato”, fatto salvo il pagamento del censo di sei libre di cera e tre d’incenso dovuti annualmente alla chiesa cattedrale al tempo della festa di “sancti Theodori”.[xii] Concessioni che furono confermate dal papa Onorio III (1216-1227).[xiii]
I monasteri fondati “in loco, qui dictus est Calosuber, nunc autem Bonum lignum, et in loco qui dicitur Tassitanum, ac monasterium Abbatis Marci”, risultano tra i possessi dei Florensi in occasione della conferma dei privilegi del monastero di San Giovanni in Fiore data in Brindisi nel marzo del 1221,[xiv] mentre nella conferma successiva, data nel giugno del 1222 dall’assedio di Jato, compare la “ecclesia Abbatis Marci cum tenimentis suis”.[xv] Il “monasterium Cabriae”, posto nel “tenimento quoque Gerentiae”, con le “granciis, tenimentis et pertinentiis suis”, e la “ecclesiam montis Marci cum suis pertinentiis”, risultano tra i beni appartenenti al monastero di San Giovanni in Fiore nell’atto di conferma di papa Gregorio IX dato il 28 gennaio 1233 in Anagni, che riporta le concessioni contenute nei privilegi dell’imperatore.[xvi]
Sul confine silano
I monasteri menzionati in questi documenti medievali, per la gran parte ricadenti in diocesi di Cerenzìa, come attestano chiaramente le antiche concessioni dei vescovi acheruntini, sono richiamati ancora verso la metà del Seicento, quando risultano in prossimità dei limiti silani di questo periodo.
A quel tempo, dal luogo detto “Borga negra”, presso il corso del fiume Neto, il confine della Sila risaliva seguendo “la via vecchia” detta di Caria che, dirigendosi verso San Giovanni in Fiore, passava vicino al “Romitorio di S. Maria della Paganella quale sta dentro la Sila”, sorto nel luogo dove, in passato, era prosperato l’antico monastero di Santa Maria dei Tre Fanciulli,[xvii] passando per “acqua fredda” e per la scansata delle “fontanelle”, ed uscendo così alle “Castagne” “d.e Abbate Marco, dove prima era il Territorio dell’Abbate Marco”.[xviii]
La “via, che và à S. Gio: in fiore”[xix] che giungeva nel luogo detto “Porto” o “Portio”,[xx] dove, nel passato, era esistito il monastero dell’Abbate Marco,[xxi] passava “supra li Castagni de Abbati Marco”, dove passava anche “la via publica, che va allo Circhiaro”[xxii] dalla quale “veneno li Consentini”,[xxiii] che transitava in loco detto “in capo lepore”, ovvero “dove nasce l’acqua de lepori”.[xxiv]
Questa “via che viene della Città di Cosenza”,[xxv] ovvero “que venit a civitate Cerentie et vadit per portium”, transitava nel luogo detto “la Staula” o “Stragola”,[xxvi] da dove il confine silano seguiva “la via, che và verso Calamidea”, fino alla località confinaria[xxvii] detta “Colla Sottana della Gradia”,[xxviii] discendendo quindi al “Vall.e di Jole”,[xxix] ovvero alla “fiumarella” “Tardanella”,[xxx] o “Tardaniello”,[xxxi] ed al fiume Lese “dov’è la Chiesa di Cravia”,[xxxii] ovvero la chiesa di “Ab.te Marco di Cravia”[xxxiii] o di “S. Marco di Clavia”.[xxxiv]
Nel luogo detto “Gradia” dove erano esistite le antiche chiese di Santa Maria di Gradia e di San Lorenzo,[xxxv] passava “la via publica de la Gradia, che va ad Cravia”. Nel luogo detto “alla Cruce de Arduino” o “Crocevia di Arduino”, la via che passava “per la Serra della Gradia” e “viene da S. Marco di Clavia”, incrociava quella che conduceva al “Colle della Giumenta”.[xxxvi]
Le informazioni contenute nei documenti di questo periodo, sono riassunte nella “pianta di tutta la Sila fatta dall’Ingegnere Galluccio nel 1664” dove, nell’ordine, troviamo segnati i seguenti luoghi: “S. M.a dei Puerorum”, “Montetto d’acqua fredda”, “S. Marco”, “Po[rtio]”, “Colomito” e “S. M.a di Gradia”, mentre, la “Leggenda” allegata riporta questa sequenza di confini: “34. Crocevia di Arduino”, “35. Valle della Giumenta”, “36. Serra della Gradia”, “37. Serra di Laurenzana”, “38. Acqua la Straula”, “39. Pontio”, “40. Crocevia della Serra”, “41. Sautante”, “42. Abatemarco” e “43. Vorga negra”.[xxxvii]
In relazione a tali limiti, il confine che divideva la “Regia Sila” dal “Feudo di Cerenzia” alla fine del Settecento, era segnato da “Pilastri nominati S. Marco di Clavia, Crocevia di Arduino, e Colle della Giumenta”, e differiva sensibilmente da quello che era riconosciuto “per tradizione degli antichi e pratici di detti luoghi” secondo cui, invece, passava dai “luoghi nominati Orto della Menta, San Nicola di Perdice, e Via di Laurenzana, o sia Lenzana”.[xxxviii]
Al confine tra Calabria e Valle Crati
I documenti riguardanti il monastero di San Giovanni in Fiore prodotti durante il primo ventennio del Duecento, evidenziano che quest’ultimo risultava eretto “in tenimento Sile”, ovvero nel “tenimentum in Sila Calabriae, in qua eorum monasterium situm est”,[i] dove occupava una delicata posizione di confine, tra il territorio di Valle Crati che costituiva l’ambito provinciale della città di Cosenza e casali, e quello di Calabria posto oltre questi confini.[ii]
Tale situazione emerge chiaramente in un atto del giugno 1221, quando, in occasione di alcune usurpazioni riguardanti, tra l’altro, i possedimenti ed i pascoli del monastero Florense che erano stati invasi specialmente dai monaci “de Patyro”, mentre altri “de Calabria et Vallis Gratis”, agendo in danno del monastero “faciunt furnos picis, fractas et venationes alias”, Federico II aveva ordinato ai “Iusticiariis et camerariis Calabriae et Vallis Gratis”, d’intervenire per far rispettare i diritti dei Florensi.[iii]
L’intervento di entrambi gli ufficiali che agivano nei due diversi territori, è richiamato anche in seguito. Il 19 agosto 1222, dall’accampamento di Jato, Obizo arcivescovo di Cosenza e Biagio vescovo di Cassano, autenticavano la trascrizione di un atto di Federico II, attraverso cui il sovrano, rivolgendosi ai “Magistris iusticiariis et camerariis Calabriae et Vallis Gratis”, li ammoniva affinchè fossero rispettati i privilegi da lui concessi al monastero ed a questo confermati dai pontefici romani, senza pretendere di trarlo “ad civile forum”.[iv]
Il tenimento conteso
In tale frangente registriamo le tensioni tra i monaci del Patire di Rossano e i Florensi, in relazione al possesso del “tenimento quod dicitur Trium Capitum”, posto tra il corso del Neto e la via pubblica che, dal passo sul fiume, si dirigeva verso mezzogiorno fino “ad ecclesiam Sancti Nicolai de Trigia” (de Rijo ?), comprendendo le località “serram Trium Capitum” e “aream picatam”.[v]
A tale proposito furono chiamati per dirimere la questione, Luca arcivescovo di Cosenza e Terrisio vescovo di Cassano che, il 17 e 18 maggio 1223, “Apud Cotronum”, produssero la loro sentenza, vagliando le ragioni esposte dalle due parti, che vedevano i Florensi imputare ai rivali il fatto di essere entrati nel loro tenimento per pascolare gli animali, mentre quelli del Patire obiettavano di essere stati spogliati con la violenza dai Florensi, che li avevano privati dei detti “tenimentis que in partibus Sile monasterium ipsum longis retro temporibus habuit rationabiliter et possedit”.
In base a tale verdetto il monastero del Patire ottenne così il libero pascolo per ogni sorta di animale “in Sila in tenimento quod dicitur Trium Capitum”, senza danno ed impedimento per i Florensi ed altri che lavoravano per loro nel detto tenimento, mentre l’archimandrita ed il convento del Patire si obbligavano a pagargli “pro censu” nella festa di Natale, “lagenas boni et puri olei quinque, capientes singulas milagines binas ad justam mensuram Rossani.”[vi]
La Sila di Cosenza
Le trasformazioni che interessarono la parte della Sila più prossima alle terre del Crotonese durante la prima metà del sec. XIII, a seguito dell’affermazione dell’abbazia florense, sostenuta attivamente dalla chiesa di Cosenza, sono evidenziate dai documenti di questo periodo che, rispetto a quelli più antichi che ne riferiscono genericamente l’appartenenza alla “Sila” oppure, a volte, alla Sila di “Calabriae”,[vii] identificano il tenimento di Fiore nella “Sylae de Cusentia”.
Ciò si riscontra anche attraverso i documenti dell’abbazia di Calabromaria riguardanti il tenimento silano di “Sanduca”, nelle cui prime concessioni, che noi possediamo attraverso una trascrizione settecentesca degli antichi privilegi tradotti dal greco in latino il 2 dicembre 1253, tale possedimento risulta genericamente individuato “in Sila” o “apud Silam”,[viii] mentre, in una memoria cinquecentesca senza datazione, che riporta alcuni passi della conferma dei possedimenti del monastero, fatta da papa Gregorio IX nel 1227, si legge: “Confirmamus dictum Tenimentum in Sila Cosensiae quod Sanduca dicitur prope flumen Ampolini, cum pratis, et vineis, terris, nemoribus, …”. Nello stessa memoria si specifica ancora: “Donatio sup(radi)ttorum bonorum, et aliorum non descriptarum fuit fatta Monast.o dictae Abbatiae et sig(nant)er dicti territorii positi in Sila Cosensiae à Rege Rugerio p.o Rege Neapolis sub anni 1129 ut apparet ex privilegio grece scripto, et in latino traducto, quod Privilegium fuit confirmatum et ampliatum ab Imperatore Federico Rege Siciliae in anno 1221 …”.[ix]
La pertinenza del territorio dell’abbazia di San Giovanni in Fiore alla giurisdizione della città di Cosenza, che possiamo far risalire all’avvento del Feudalesimo conseguente alla conquista da parte dei Normanni, risulta evidenziata in seguito al tempo in cui i conti di Catanzaro entrarono in possesso del feudo di Policastro, il cui territorio penetrava profondamente nelle montagne silane.
In alcuni atti relativi ad una lunga lite sorta tra l’abbazia di San Giovanni in Fiore ed i conti di Catanzaro, riguardante il tenimento di “Ampulinus”, posto presso i confini del territorio abbaziale,[x] s’evidenziava, infatti, il fatto che i monaci rivendicassero il tenimento conteso nelle pertinenze della “Sylae de Cusentia”, opponendosi ai conti di Catanzaro che, invece, lo dichiaravano ricadente nel territorio del loro feudo di Policastro.
I procuratori dell’abbazia evidenziavano come, le ingiuste pretese della loro parte avversa, poggiavano sul fatto che, il “tenimentum in libello designatum, quod dicit esse in pertinentiis Policastri et ignorat ipsum tenimentum esse in pertinentiis Cusentiae”. Tale situazione aveva già portato a redigere un “instrumentum” nel luglio del 1253 quando, in occasione di un arbitrato, era stata pronunciata una sentenza in favore del conte di Catanzaro, rappresentato da “domino Riccardum Gactum procuratorem comitatus Catanzarii per dominum Petrum Ruffum”, contro l’abbate ed il convento di San Giovanni in Fiore.[xi]
La differenza tra una parte della Sila pertinente alla città di Cosenza ed un’altra più prossima al Crotonese, quando già il suo “tenimentum, seu territorium” ricadeva nel ducato di “Calabriae”,[xii] si evidenzia ancora durante il dominio aragonese, quando tra i capitoli concessi ai Cosentini in Napoli il 21 novembre 1481, si distingueva tra la “Sila dela dicta Città”, e la “Sila de Tacina”,[xiii] mentre a conferma delle importanti trasformazioni intervenute in questo periodo tententi a limitarvi gli antichi usi delle popolazioni, agli inizi del Cinquecento riscontriamo la tendendenza da parte dei notari cosentini a identificare la Sila in qualità di “Silve Cosentie”.[xiv]
I confini della Sila
Alla fine del Settecento, così Giuseppe Zurlo riassume la delimitazione del territorio silano: “Confina la Regia Sila da levante co’ territorj delle terre di Policastro, Cotronei, Caccuri, Cerenzia, Verzino, Campana e Bocchiglieri. Da tramontana co’ territorj delle terre di Longobucco, Rossano, feudo di Greca, feudo di Macchia, Acri e terra delle Rose: da ponente col tenimento di Cosenza e Casali: e da mezzogiorno co’ territorj di Scigliano, Taverna, Zagarise e Mesuraca.”[xv]
Tale limite soggetto a numerose usurpazioni nel corso dei secoli, correva seguendo la quota altimetrica segnata dalla presenza delle pinete, come bene evidenzia ancora un atto del 27 novembre 1645, quando il Mag.co Joannes Dominico Aquila di Policastro, per pagare il proprio debito nei confronti dello “Ill.mo Dominio Marchioni de Casabona”, vendette per la somma di ducati 400 al Mag.co Romolo Ettore “Neapolitano” ma “incola” in Policastro e a sua moglie Elisabeth Aquila di Policastro, “il depiù” della “Difesa” detta “della Montagna” che possedeva “in burgensaticum”, posta nel territorio di Policastro “inter flumen Tacinae et flumen Solei iuxta faldam Pinorum dictae Montaneae”. Bene che aveva acquistato negli anni passati dall’olim Sansone Salerno, e relativamente cui pagava annualmente ducati 84 all’Ill.mo Principe di Milito.[xvi]
Il documento più antico che menziona i confini della Sila, invece, è una copia scritta nel 1533 dal notaro Joannes Dominico Casanova di Napoli, di un “instrumento” dato in Napoli il 24 dicembre 1333 da Ioannes Grillo de Salerno che, al tempo in cui fu prodotta la copia, si conservava nel registro delle pergamene di re Roberto del regio archivio di Napoli. Documento giunto a noi contenuto nell’edizione stampata nel 1557, del volume di Matteo Cancro intitolato “Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali”.[xvii]
Questa fonte bassomedievale si rifà comunque a notizie più antiche risalenti al dominio normanno. Da essa apprendiamo infatti che, al fine di fornire una testimonianza inoppugnabile che chiarisse i diritti della regia Corte, nonché per dare a questa il mezzo per opporsi nelle controversie, tale “instrumento” era stato redatto sulla base di un atto più antico, dato dal quondam Raymundo Paulecto, risalente a quando questi ricopriva, tra l’altro, anche l’ufficio di magister delle “forestarum curie”, il quale doveva costituire la testimonianza più antica e sicura conservata a quel tempo nei regi archivi di Napoli. Tale documento, infatti, faceva “expressam” menzione del contenuto di un “quaterno” appartenente agli antichi “quaternionibus archivii Regii”: gli antichi registri della regia Corte risalenti all’epoca normanna, dove erano annotati i feudi che, in gran parte, risultavano già andati perduti agli inizi del sec. XIV.[xviii]
Rileviamo così che al tempo di re Roberto (1309-1343), il “Tenimentum seu territorium” della “Sile”, ovvero della “Silae Cosentiae”, in quanto, a quell’epoca, essa costituiva un tenimento della città di Cosenza, apparteneva al demanio regio “antiquo” e faceva parte del “ducato Calabrie”, comprendendo entro i suoi confini il “tenimentum” che il “monasterium Floris” aveva ottenuto alla fine del sec. XII dall’imperatore Enrico VI.
Sappiamo inoltre che, alla fine del Duecento, la Sila era stata tolta dal conte Roberto d’Artois, capitano generale del regno, al suffeudatario Guglielmo Lombardo di Rende, macchiatosi di “fellonia”, ed era stata donata, prima a “Leone del giudice Gualtieri di Cosenza”[xix] e successivamente, a “magistro Michaeli de cantono” di Messina.[xx]
A riguardo della sua confinazione, il “tenimentum Cosentie in quo est Sila”, risultava racchiuso e limitato distintamente dai seguenti luoghi: “Incipit à Flumine Arentis, et ascendit per Santum Maurum de Sifonatis et vadit ad Flumen de Ponticellis, et ascendit per ipsum Flumen, et vadit ad Flumen Mucconis, et ascendit per ipsum Vallonem mucconis et vadit ad Flumen de Melissa, et ascendit per ipsum Flumen ad Petram de Altari, que est supra Longebuccum et vadit ad ripam Russam et abinde vadit ad serram de pimeriis et vadit ad Vallonem de afari in confinio Campane, et descendit per ipsum Vallonem usque ad Flumen de Laurenzana et ascendit per ipsum flumen ad Serram de minera, et vadit ad Serram de alesandrella et ascendit ad locum dictum Ortum de menta et abinde vadit ad Sanctum Nicolaum de parnice, et vadit per viam Nicolai de Laurenzana, et exinde vadit ad portum et descendit usque ad Flumen Neti, et ascendit ad hominem mortuum supra Cutruneos, et abinde descendit ad Flumen Tacine, et ascendit et ferit ad Petram scriptam supra Policastrum et ferit ad Petram irtam, et vadit ad Petram de duo, et exinde vadit ad Petram de diacono et ferit ad serram de morone, et vadit ad serram de Paludara, et abinde vadit ad serram de piro, et vadit ad serram de Bibulo.”[xxi]
Le vie di accesso
I confini elencati in questo documento, risultano posti in corrispondenza dei luoghi attraversati dai principali itinerari che davano accesso all’altopiano, a cominciare dal “Varco di S. Mauro”, dove passava la “strada delli Carri”, detta “la strada Silara, e si giunge dove era la chiesa di S. Mauro”, ovvero la “Ecclesia antiqua de S. Mauro delli Zifonati”,[i] proseguendo con le località che consentivano di raggiungere la marina di Rossano-Corigliano: “Pietra di altare”[ii] e “Timpe Rosse”, dove transitavano la via “che va a Cosenza” e quella che conduceva “a S. Giovanni in Fiore, ed altre Terre”,[iii] e l’attraversamento sul “Fiume di Melisa”, dove “la strada pubblica, che viene da Corigliano ed altri luoghi attraversa detto fiume, e va verso S. Giovanni di Paliati”.[iv] Questa “strada Regia che porta a Corigliano”,[v] e che “da Corigliano e Longobucco porta alla Regia Sila”,[vi] detta anche “la strada della Carrea degli alberi per la Marina di Rossano”, passava per il comprensorio di “Gallopano”,[vii] dove esisteva la regia “camera riservata” per “lo taglio degli alberi da costruzione”.[viii]
Attraverso il “Vallone d’Afari”, passava invece la strada che “dalla terra di Bocchiglieri va dentro la Sila”,[ix] mentre per la “Serra della Minera”, passava “la strada, che da Bocchigliero va a Savella”.[x]
Per quanto riguardava i confini del versante crotonese della Sila, importanti erano anche: la “Via di Laurenzana, o sia Lenzana”,[xi] che passava per la “Serra della Gradia”,[xii] la via che, dal luogo detto “Porto”, s’incamminava verso il monastero di “S. Maria trium Puerorum”,[xiii] e la strada che conduceva a Policastro, passando nel luogo detto “Uomo Morto di Policastro, che è sopra la Serra di Cosenza”,[xiv] mentre in località “Pietra Irta”, passava la “strada Regia del Gariglione”, che “dal Cariglione si va a Policastro”.[xv]
Vicino alla “strada, che da dentro la Sila va verso Zagarise”, si trovava la “pietra di Diacono, oggi chiamata del Rovazzo”,[xvi] mentre, nelle vicinanze della località detta “Serra di Piro”, passava la “strada pubblica, che da dentro la Sila va verso Nicastro”.[xvii]
Una confinazione incompleta
Anche se il privilegio di re Roberto, riferisce esplicitamente che la Sila era dotata di confini “per omnia”, i termini riportati in questo documento non circoscrivono completamente il territorio silano ma, cominciando “à Flumine Arentis”, arrivano solo fino “ad serram de piro” e “ad serram de Bibulo”, sopra Colosimi,[xviii] nei luoghi dove, in seguito, troveremo la divisione tra il territorio della provincia di Calabria Citra da quello della provincia di Calabria Ultra,[xix] senza raggiungere il termine di partenza.[xx]
Questa strana circostanza è evidenziata dallo Zurlo alla fine del Settecento, il quale ne dedusse che, probabilmente, in questo tratto di 20 miglia, “dove detto privilegio non fa menzione di altro termine”, il confine silano doveva seguire il limite territoriale dei casali di Cosenza.[i] Quest’ultimo correva ad una distanza di “sette miglia” dagli abitati, come evidenziano i capitoli concessi ai Cosentini nel 1533 da Carlo V, dove si specifica che, chiunque avesse occupato e “aperto” alla coltivazione “montagne et terreni del publico” sopra tale limite, avrebbe dovuto rilasciarli, in maniera da permettere che “ditte montagne”, potessero rimanere “per lo benefitio regio et universale”.[ii]
Certo è che al tempo in cui “fu destinato alla Regia Sila il Presidente Valero” (1663), quest’ultimo non trovò nessun termine confinario che delimitasse la Sila lungo tale tratto, ma volendo comunque mettere la regia corte nelle condizioni di poter rivendicare le occupazioni avvenute e prevenire quelle future, attraverso l’opera dell’ingegnere Antonio Gallucci, fece aggiungere 70 nuovi termini agli antichi 27, colmando così anche la mancanza di pilastri confinari lungo il confine silano occidentale.[iii]
In seguito, dopo l’aggiunta di altri pilastri da parte del presidente Mercader (1721) e di quelli realizzati nel 1755, il numero dei termini confinari della Sila raggiunse il totale di 109[iv] che, dal 96° fino all’ultimo, realizzato al “Crocevia di Acqua fredda”, risultavano posti lungo il confine con i “territorii de’ Casali di Cosenza”.[v]
In età medievale questi ultimi risultavano suddivisi in una ventina di baglive o “Praetorias”, che raggruppavano amministrativamente una settantina di “Casalia, seu pagi, vel castra”, tutti ricadenti in diocesi cosentina.[vi]
Essi compaiono numerosi già agli inizi della dominazione angioina (“Celicum”, “Specianum magnum”, “Aprelianum”, “Dopniucum”, ecc.)[vii] anche se, alla luce delle vicende che interessarono la regione tra il periodo romano e l’alto medioevo,[viii] li possiamo sicuramente ritenere molto più antichi mentre, invece, la loro appartenenza in qualità di “casali” alla città di Cosenza, può essere fatta risalire agli inizi dell’età feudale (seconda metà del sec. XI), quando dobbiamo ritenere che furono inclusi nel territorio della città.
Questa forma d’insediamento sparsa caratterizzata dai “casali” risulta infatti comune a tutta l’area collinare interna della Calabria centrale posta a ridosso del massiccio silano (Cosenza, Taverna, Policastro), in relazione alla economia pastorale che caratterizzò quelle antiche genti fin dalla loro originaria organizzazione politica.[ix]
In relazione a ciò, infatti, al tempo di re Alfonso I d’Aragona, i cittadini di Taverna chiedevano al sovrano di essere “sempre tractati como cosenza che ab Antiquo vixe in demanio”,[x] e di essere “franchi alle sile et tenimenta de Cosenza et soy distrecto senza pagare erbagii glandagii dohane et omni altra raysone de corte et cussi loro vadano in comune et siano franchi alo tenimento de Taberna como li propri citadini et nullo altro Citatino de calabria hagia tale comunitate con loro terre ne ville § placet regie ma.ti.”[xi]
Per quanto riguarda i casali di Cosenza in questo periodo, in occasione di alcuni sgravi concessi da re Alfonso I il 28 maggio 1442, relativi ad una parte della contribuzione dovuta per le collette, sono menzionate le baglive di “pedaci”, “Apriliani”, “Roblani”, “maleti”, “Tessani”, fellini”, “petrafictae”, nonchè quella di “gaurani et s(an)cta b(e)n(e)dicta”,[xii] mentre anche Scigliano che, assieme alle baglive di “mocte s(an)cte lucie grimaldi Altilie maleti Crepesseti et dipignyani” appartenne al marchese di Crotone Antonio Centelles e poi al nobile Philippo Jacobo de Casulis di Cosenza,[xiii] pur avendo una maggiore autonomia in qualità di “terra”, rimarcava che essa intendeva rimanere “unanimie con la Cita de Cusencia et d(e)li Casali como e stato sempre per lo tempo passato”.[xiv] Un atto del 5 novembre 1527, menziona i seguenti “casalium Civ.is Cos.e”: “castigloni”, “lappano”, “Zumpano”, “rovito”, “Celici”, “sp(etia)ni magni”, “sp(etia)ni piccoli”, “pedaci”, “pet.a ficta”, “aprigliano”, “figline”, “mangoni”, “carpanzano”, “grimaldo”, “paterno”, “dip(inia)no” e “li dopnici”.[xv]
Territorio e tenimento
Il fatto che i termini posti lungo il territorio dei casali della città di Cosenza, non siano riportati nel documento che ci offre la confinazione della Sila per la prima volta, ci spinge a ricercare una spiegazione in merito a ciò che, a prima vista, sembra apparirci solo come una evidente lacuna.
A tale riguardo, sulla base delle informazioni che ci fornisce lo stesso documento, possiamo fare alcune considerazioni chiarificatrici. In primo luogo sappiamo con sicurezza che, al tempo in cui questo fu scritto, la Sila era circoscritta da confini territoriali che la definivano distintamente dappertutto (“ac limitatur distintae per ominia”), e costituiva un “tenimentum” appartenente alla città di Cosenza (“tenimentum Silae Cosentiae”). In relazione a ciò, infatti, nella parte iniziale del documento in questione, essa risulta identificata quale “Tenimentum seu territorium Sile”.
Più avanti, invece, nella parte in cui è descritta la sua confinazione, il documento non fa più alcun riferimento al territorio della Sila, ma elenca i termini riguardanti il “tenimentum Cosentie in quo est Sila” che, essendo stati rilevati da un atto più antico, nel quale, verosimilmente, doveva essere riportata la confinazione del territorio di Cosenza, riferisce solo relativamente alla parte in cui i termini del territorio di Cosenza e quello della Sila coincidevano.
Evidentemente, a quel tempo, presso gli archivi napoletani non esisteva una prova migliore di questa, e la scelta cadde sull’atto dato dal quondam Raymundo Paulecto, perché probabilmente fu ritenuto quello più antico e probante per supportare e difendere le ragioni e i diritti del re, in quanto faceva espressa menzione di un documento ormai perduto, contenuto nei regi quaternioni di epoca normanna.
Tali considerazioni ci permettono di trovare spiegazione all’incongruenza registrata, consentendoci anche di approfondire maggiormente la parte del privilegio di re Roberto in cui sono menzionati, per la prima volta, i diritti del sovrano nell’ambito del territorio silano.
I diritti del re
Secondo quanto troviamo riportato in questo documento, all’interno del “tenimentum Silae”, la regia corte deteneva: “ius Plateatici, herbagii, affidature animalium extraneorum, glandagii et ius picis, exceptis hominibus Cosentiae et casalium suorum, qui ad nihil pro preditta solutione tenentur”, mentre tutti dovevano pagare al re, in qualità di padrone della terra, la “decimam victualium” relativamente a qualunque tipo di seminativo raccolto in Sila. La regia corte, inoltre, deteneva in via esclusiva le miniere del ferro “in quacunque parti Silae”.
Accanto al riconoscimento da parte del re dei diritti dei Cosentini legati allo sfruttamento del bosco per l’allevamento dei loro animali e per estrarre la pece, commerciando liberamente, attività che possiamo far risalire a quelle delle antiche popolazioni di Cosenza,[i] il sovrano riconosceva anche i diritti dei monasteri di “Sancti Andriani” e del Patire posti nelle pertinenze di Rossano,[ii] (evidentemente legati ad un uso anch’esso antico) che, per poter condurre la loro attività pastorale, erano però tenuti a pagare annualmente ai regi “baiulis Sile”, un censo di quattro “bis uncias auri” e quattro “capras” per ogni “mandra” portata al pascolo sull’altopiano.[iii]
Alla fine del Settecento, tali diritti potevano essere raggruppati in tre diverse “Rubriche”: una prima comprendeva i “Diritti di Bagliva, Granetteria, e Neviere”, una seconda riguardava lo “Ius picis sopra tutti i pini, che sono nella Regia Sila”, ed una terza che riguardava i “Diritti sopra tutto il rimanente dell’Alberatura.”[iv]
I poteri del baiulo
Nell’ambito del proprio tenimento ricevuto in feudo dal sovrano in qualità di fedele vassallo, ciascun feudatario del regno deteneva il diritto di “baiulationem” o “bagliva”.
In forza di questo diritto, che esercitava secondo specifici capitoli, attraverso un proprio ufficiale detto “baiulo” o “baglivo”, ogni feudatario assumeva localmente una serie di poteri che lo vedevano agire in diversi ambiti di giurisdizione. In genere, per quanto riguardava quella rurale, egli provvedeva a che nessuno abbattesse alberi di qualunque specie, limitando l’approvvigionamento del legname da parte dei cittadini all’uso nelle campagne e alla copertura delle case. Per quanto riguardava l’attività pastorale, invece, i poteri del baiulo si concretizzavano nell’esigere un pagamento per ogni sorta di bestiame portato a pascolare sull’altopiano che spesso, però, essendo considerato troppo gravoso, determinava richieste di sgravio da parte delle popolazioni, generando liti e controversie.
Secondo quanto riportano i capitoli e le grazie concesse da re Ferdinando I all’universita ed agli uomini della città di Cosenza e suoi casali il 28 febbraio 1487, alla richiesta che “li patroni del bestiame”, pagassero per la bagliva un tari per ogni centinaio di pecore, cinque carlini per ogni centianio di porci e quattro tari per ogni centinaio di vacche, il sovrano rispose disponendo che si continuasse invece ad osservare ciò che era solito e consueto.[i]
Tra le grazie richieste al “Gran Capitano” Consalvo de Cordoba, vicere di Napoli (1503-1507), spedite il 23 maggio 1504 in castello novo di Napoli, troviamo quella attraverso cui l’università e gli uomini dei casali di Cosenza chiedevano che, al fine di evitare loro aggravi da parte di coloro che prendevano in affitto la “baglia dela Sila” dalla regia corte, l’ottenessero invece solo per un anno, con l’onere di “rendere conto” dell’amministrazione innanzi al luogotenente di Cosenza ed ai deputati dei casali.
Tra questi stessi capitoli si chiedeva al vicerè che il “baglio” o “bagliatore” cui spettava annotare le “baglationi”, ossia il conteggio relativo al numero degli animali che pascolavano un determinato luogo per un certo tempo, elencasse separatamente “le persone proprie de lo bagliatore et de lo patrone delo bestiame bagliato”, mentre quest’ultimo, invece, le annotava semplicemente in “generali”, “non nominando le persone” e generando così confusione e la conseguente “disfactione deli homini di ditti Casali”.[ii]
Alla fine del Settecento, nelle “terre Comuni” che ricadevano nell’ambito del proprio territorio, l’abbate di San Giovanni in Fiore esigeva “dove il terraggio, e dove il mezzo terraggio” sulle terre “destinate in semina”, la “fida” per il pascolo degli “animali forastieri”, compresi quelli appartenenti ai casali di Cosenza, e “il diritto di Dogana di quelle robe, che si comprano e vendono da’ forastieri, che si affitta col titolo di Bagliva.”[iii]
L’affitto della bagliva
Attraverso i capitoli contenuti nel bando pubblicato il 9 giugno 1618 nella città di Napoli e nelle provincie di Calabria Citra e Ultra, relativi all’affitto della “Bagliva, e Granetteria, e Neviere” della Sila, apprendiamo che il baglivo silano esigeva la fida “di accetta” dai “forestieri” che facevano “legna morte da bruciare, etiam atte a lavorare, e Dede, seu Teda nel territorio di detta Regia Sila”, esigendo 5 carlini da ogni particolare per tutta la stagione, oppure 35 carlini per ogni terra, qualora fosse stata fidata l’università. Egli esigeva la fida anche da coloro che facevano “barili per servizio della pece”, che pagavano 10 carlini per tutta la stagione, e da coloro che facevano “sporte, che si fanno degli alberi di Pini e Faghi”, che pagavano 5 carlini per tutta la stagione.
I Cosentini, invece, al tempo potevano “legnare” in Sila secondo quanto era stato stabilito dal decreto del quondam presidente Giacomo Saluzzo, mentre “praeter usum” non potevano legnare, nè potevano estrarre legname “extra Territorium” della città di Cosenza e casali. In questo caso l’affittatore poteva esigere il pagamento di 15 carlini di pena “oltre di detti legnami”.[iv]
Senza licenza da parte dell’affittatore della bagliva che, per tutta la stagione, si pagava 5 carlini, nessun forestiero poteva praticare la caccia in Sila, sotto pena di 15 carlini, mentre era prevista una pena di 12 ducati per quanti avessero posto “calce nei fiumi di detta Sila per la pesca delle Trote”.[v] Spettava infatti al baglivo, vigilare al fine di mantenere l’integrità delle fonti e dei fiumi, dove era vietato servirsi di veleno per pescare, e controllare che nessuno alterasse la purezza delle acque delle fonti, conducendovi porci o altri animali.
Il baglivo si preoccupava anche di difendere il territorio dagli incendi, e proteggeva tutte le coltivazioni dai danni arrecati da ogni sorta di bestiame, sanzionando i proprietari degli animali che, nel caso di mancato pagamento, subivano la “correria” con il sequestro del bestiame sino al saldo del dovuto.
All’autorità del baiulo era comunque sottoposta tutta la l’attività pastorale che si svolgeva nel territorio silano, consistente nel “fidare gli animali de’ forestieri”, “come meglio si potrà convenire per li cinque mesi, che incirca gli animali pascolano in detta Sila”.
Egli infatti esigeva lo “jus fida” relativamente ad ogni animale grosso (bovini ed equini), e per ogni animale minuto (pecora, capra o maiale) introdotto dai forestieri nei pascoli silani, ed aveva il diritto di esigere lo “jus disfida” relativamente ad ogni animale che, ad un suo controllo, fosse stato scoperto non fidato.
Il pagamento della “Fida” non poteva però eccedere un tetto stabilito per ogni specie di bestiame che, in questo primo scorcio del Seicento, era così stabilito: 10 ducati per ogni 100 vacche, 12 carlini per ogni 100 pecore, capre ed animali simili, nel caso di quelle che provenivano da più vicino, mentre, le più lontane, pagavano 10 carlini, 2 carlini per ogni giumenta, 15 carlini per ogni paio di buoi e 5 grana l’uno per i “porci senza faglia”. Per ogni animale trovato non fidato, il padrone avrebbe dovuto pagare il doppio della fida a titolo di “Diffida”.[vi] Per quanto riguardava, invece, i piccoli maiali nati in Sila, che si legavano a gruppi ad una “faglia” di legno per evitare che si disperdessero, si pagava una fida di 15 grana a “pezzo” per tutta la stagione.[vii]
A quel tempo, la “fida e Bajulazione” si esigeva ormai, anche dagli animali dei Cosentini i “quali si vorrano fidare” che, in questo caso, pagavano però un prezzo minore: 5 carlini il centinaio pecore, capre e simili, 25 carlini il centinaio le vacche, un carlino l’una le giumente, e 10 carlini il centinaio per i porci senza faglia. I buoi e i muli dei Cosentini “che faticano in detta Sila, tanto nella semina e altro”, pagavano invece “La Granetteria, seu Jovatico delli Bovi e Muli” che era di 2 carlini per “paricchio” e 2 carlini per ogni mulo.[viii]
A queste antiche “prestazioni” previste in favore del baglivo della Sila, era da aggiungersi anche un “Giornale” o “jornale” a sua elezione, ovvero “il frutto del latte che dà una Mandra in una giornata” (“integrum fruttum”) da tutti coloro che avevano fidato nella regia Sila.[ix]
Oltre a queste antiche entrate derivanti dalla pastorizia, alla fine del Settecento, da ormai “molto tempo”, l’appalto del diritto di 5 carlini a “soma” per l’uso della neve, costituiva una parte della rendita spettante al baglivo della Sila, anche se questa costituiva, in realtà, una porzione separata di tale rendita, “non avendovi un necessario legame”.[x] “Ne’ tempi passati questa rendita non era di molta considerazione; ma nello stato presente dall’Affittatore della Bagliva della Regia Sila se ne pagano annui ducati 6604.”[xi]
La decima dei seminativi
Già nei primi tempi conseguenti alla loro conquista, i nuovi dominatori normanni imposero in Sila il pagamento alla regia corte del diritto di decima sui seminativi, riguardante principalmente la segale (“germano”),[xii] ma anche il lino.[xiii] L’antico diritto di esigere la “decimam victualium, Que recolliguntur ibidem”, richiamato nel c.d. editto di re Roberto,[xiv] risulta infatti attestato anche da notizie più antiche,[xv] come ci riferisce un atto che ci rimanda al tempo della costituzione del regno di Sicilia.
Attraverso una copia estratta il 12 ottobre 1734 da un “iudicatum” originale, esistente al tempo nell’archivio del monastero di San Giovanni in Fiore, apprendiamo che, nel giugno 1181, alla presenza dei giustizieri regi di “Vallis Gratis”, del regio camerario e di altri testi, “militibus et probis hominibus apud Sanctum Ioannem de Ricciis”, era comparso “Ciprianus venerabilis abbas ecclesie Sanctae Mariae de Cabria” e, per parte del “probum virum Petrum abbatem Sanctae Mariae de Abbate Marco”, aveva sollevato una “questionem” riguardante il procuratore della Sila Pace Manconense.
Rappresentando le proprie ragioni, in questa occasione l’abbate Cipriano affermò che, “cum ecclesia praedicta”, deteneva la “terram de Macchia de Throno” da più di quarant’anni, ma era giunto a molestarli “Pax Manconensis procurator de Sila” che, pretendendo insolitamente la “iustitiam regiam”, aveva provveduto a sequestrare “par unum bovum matris ecclesiae”, anche se gli era stato mostrato il privilegio (“sigillum regium”) che costituiva i monaci e li confermava nelle loro possessioni e nei loro tenimenti.
“Stabilito consilio”, dall’altra parte, il detto Pace “procurator” affermò innanzi ai giudici che, quando era andato ad esigere le “regias iustitias” spettanti al detto abbate, aveva sequestrato un paio di buoi detenendoli “pro regiis iustitiis”. Da parte della corte, fu chiesto all’abbate a quanti anni volesse riferirsi quando affermava “amplius de quatraginta”, e questi rispose che questi erano sessanta e più.
Volendosi verificare se corrispondesse a verità che i “veteres procuratores vel gloriosissimi regis baiuli”, avessero percepito la “iustitiam” per le terre in questione, il giorno seguente furono ascoltati sotto giuramento, alcuni testi “qui omnes veteres fuerunt collettores frumenti”, ai quali fu chiesto se potevano dichiarare che i “baiuli gloriosissimi regis” o essi stessi, avessero riscosso il pagamento del “terraticum vel decimas” da parte della detta chiesa, ricevendo una risposta unanime e negativa. Fu quindi ascoltato il predetto abbate, il quale giurò sui sacri vangeli che, da sessant’anni a questa parte, i “baiuli domini regi” non avevano mai riscosso il “terraticum, nec decimas”, “vel aliquam aliam iustitiam”, relativamente alle terre di “Macchia de Trono”. Anche l’abbate “de Criti” (sic) e quello “de Abate Marco” giurarono similmente.
Considerato tutto ciò, fu quindi pronunciata sentenza favorevole nei confronti della “praedictam ecclesiam”, permettondole di rimanere “solam et quietam” nel possesso di quelle terre.[xvi]
Il privilegio dei Cosentini
L’antico diritto regio di decima che gravava tutti quelli che coltivavano l’altopiano silano, risulta richiamato al tempo di Tancredi re di Sicilia,[xvii] ed anche in seguito quando, verso la fine del dominio angioino, facendo leva sulla volontà di Luigi III d’Angiò di guadagnare partigiani alla sua causa, durante le lotte interne che avevano caratterizzato il regno in questo periodo, i Cosentini ottennero finalmente, un privilegio che, transitoriamente, li sollevò dall’obbligo di questo pagamento.
Una loro precedente richiesta, di essere esentati “in perpetuum” dal pagamento annuale dello “ius aratorum” di un tari per aratro nei territori della “sile Cusentie”, motivata dal fatto: che gli uomini “deli Casali de Cosenza non haveno altro territorio si no la dicta sila”, non aveva invece trovato accoglimento precedentemente da parte della regina Giovanna II che, tra i capitoli concessi il 6 settembre 1414 in Napoli, alla università ed agli uomini di Cosenza e dei suoi casali, aveva risposto che si continuasse a procedere “iuxta solitum”.[xviii]
Il diritto dei Cosentini di essere franchi e liberi dal pagamento della decima delle vettovaglie (“iure granectarie”), che era già stato ridotto al pagamento di un tari all’anno per ogni aratro (“ius aratorum”), fu finalmente riconosciuto attraverso uno dei capitoli concessi il 15 giugno 1422 in Roma, da Luigi III d’Angiò alla città di Cosenza e ad i suoi casali. In questa occasione, considerato che, al tempo, la relativa gabella risultava affittata a Dominico Mormile, per compensarlo della perdita, si disponeva nei suoi confronti, lo scambio vantaggioso con un’altra entrata della regia corte.[xix]
Notizie relative a questo diritto regio ci provengono anche dal tempo di Ferdinando I (1458-1494) quando, dai capitoli che questo sovrano aragonese concesse alla città di Cosenza ed ai suoi casali il 25 settembre 1464, apprendiamo che il notaro Rogerio Tosto di Cosenza, possedeva la “provisione de otto onze lo anno” sopra “la granectaria dela Sila de Cosenza”[xx] mentre, successivamente, alla richiesta di essere affrancati da questo pagamento inoltrata a Consalvo de Cordoba, quando alcuni casali di Cosenza però non lo pagavano, il vicerè rispose che si continuasse invece, secondo quanto era consueto.[xxi]
Anche in seguito sappiamo che, per un certo periodo, durante la prima metà del Settecento, i Cosentini evitarono di corrispondere quanto dovuto al re a questo titolo, pur in assenza di valide prove documentali che comprovassero il loro “preteso diritto della semina”[xxii] mentre, verso la fine del secolo, rileviamo che la regia corte esigeva lo “ius Granacteriae”, ma i Cosentini, invece, avrebbero preteso che la Sila fosse riconosciuta in loro demanio, così da poterci seminare “senza pagamento alcuno”.[xxiii]
A quel tempo, la riscossione di tale diritto da parte della regia corte, avveniva anche nelle aree sottratte al bosco, anche se non dapertutto. In località “Pietra di Altare”, ad esempio, i cittadini di Longobucco avevano disboscato porzioni della selva silana, che ricadeva ormai nel loro “Distretto”, mettendo a semina i terreni ottenuti, ma continuando a pagare “il ius Granacteriae al Regio Fisco, e non all’Università.”[xxiv]
Diversamente succedeva a Cotronei nelle terre comuni di “Cocciolo”, dove il baglivo della Sila, ma anche l’erario della Camera Baronale di Cotronei, “per accrescere peso alle gravezze dei campagnuoli”, esigevano entrambi alcuni diritti dai cittadini di Cotronei, tra cui “La decima delle vettovaglie quando vogliono seminare ne’ detti comuni di Cocciolo, o siano Demaniali de’ Cotronei”.[xxv]
Comuni e corsi
L’antica struttura fondiaria della Sila risultava ancora evidente alla fine del Settecento. A quel tempo, tutti i “Territorii della Regia Sila” erano riconosciuti “sotto cinque diverse qualità e natura”[xxvi] che, similmente a quelli che ricadevano nel “Territorio di S. Giovanni in Fiore”,[xxvii] potevano essere distinti in due grandi categorie.
La prima era costituita dai territori del demanio regio (“Regii Demaniali”), posseduti “liberi” dalla regia corte, sui quali i Cosentini esercitavano comunitariamente gli usi civici, ai quali si sommavano i feudi che il re aveva iniziato a concedere dal tempo delle transazioni del 1687-88,[xxviii] e le difese regie dette “Camere riservate”, dove il taglio degli alberi era finalizzato solo ai bisogni del “Regio Arsenale”. La seconda categoria era formata, invece, dai territori e dalle “Difese” posseduti dai “particolari”.
I primi erano detti “Regii Comuni” o soltanto “Comuni”, perché i Cosentini presi singolarmente (come “particolari”), non vi avevano “diritto alcuno” ma, in virtù del fatto che pagavano i “diritti Bajulari”, potevano “far pascere liberamente i suoi bestiami nei Comuni medesimi, senza che alcuno possa impedirlo”. Allo stesso modo, tutti i “Cittadini di Cosenza e Casali” potevano coltivare i terreni aratorii posti ne’ prefati Territorii Comuni pagando al Baglivo della Regia Sila il diritto della semina”,[xxix] ovvero “un tomolo di quel genere che semina per ogni tomolata di terra che occupa”.[xxx]
Le “Difese”, invece, costituivano una seconda categoria di terreni nei quali i “Particolari” detenevano “tanto il diritto di semina, quanto quello del pascolo”.[xxxi]
Accanto a queste esisteva in Sila anche un’altra “qualità di terreni”, denominati “Terre Corse” che, per quanto riguardava il pascolo, erano gestite analogamente ai “Comuni”, perché i Cosentini potevano pascolarle liberamente, ma differivano da questi ultimi nelle annate a semina perché, in questo caso, il loro “utile”, “per legittimi titoli, o per occupazione”, apparteneva ad un “particolare” che percepiva lo “jus arandi” quando si seminavano, oppure lo “jus metendi” quando si vendeva l’erba sfalciata dei prati.[xxxii]
Tali terreni costituivano, dunque, “una parte de’ Regii Demanii”, che era possibbile distinguere in “Comuni propriamente detti”, “ne’ quali tutta la pienezza del dominio è della Regia Corte”, e “Corsi, o Terre Corse”, in cui lo “jus arandi è de’ particolari, e l’erbaggio è della Regia Corte”.[xxxiii]
Alla fine del Settecento, secondo la testimonianza dello Zurlo: “di simili terre se ne trovano molte nelle Regia Sila” e, secondo la sua valutazione, tale “qualità di territorio” sembrava essere stata anticamente, l’unica che “i particolari avessero posseduto ne’ tempi passati in Regia Sila”, come poteva argomentarsi “dalle carte antiche”.[xxxiv]
La loro istituzione, infatti, può essere ricondotta alla costituzione dei “Territorii della Diocesi” che risultavano divisi in “Corsi”, ovvero “continenze di gabelle, e gabelluccie Baronali, Arciv(e(scovi)li, e private d’altri Ecc.ci, e laici”,[xxxv] che si davano in affitto per tre anni a seminativo e per tre anni a pascolo.
Le Difese
L’arretramento del bosco conseguente all’avanzare dello spazio coltivato, che possiamo considerare un processo già avviato nell’antichità, ma contenuto fino a tutto il basso Medioevo, ebbe in Sila un sensibile incremento dopo l’avvento dei sovrani aragonesi sul trono di Napoli.
La tendenza ad ampliare i seminativi rispetto al pascolo, durante questo periodo, mediante la creazione di difese (“defensis”) da parte di particolari, si coglie già nella richiesta fatta dagli uomini e dall’università di Cosenza e dei suoi casali, che è riportata nei capitoli concessi loro in Foggia il 28 marzo 1453 da Alfonso I d’Aragona (1442-1458),[xxxvi] che possiamo leggere come conseguenza di una politica di maggiore tolleranza verso le occupazioni del bosco da parte di uomini vicini alla corona, dettata dalla necessità del nuovo regnante di radicarsi meglio nella sua recente conquista.
Tali occupazioni proseguirono incessantemente durante il Viceregno spagnolo (1503-1707), con ogni espediente,[xxxvii] fino alle prime transazioni fatte dalla regia corte negli anni 1687-1688, pur se continuarono in seguito.[xxxviii]
Anche le università ed i feudatari che possedevano territori confinanti con quello della Sila, sfruttarono questa fase storica per impadronirsi di porzioni demaniali silane. Alla fine del Settecento, l’università di Longobucco deteneva il possesso di 13 miglia di territorio silano in località “Serra di Pomeri”, scarsamente utile per la semina, ma nel quale si trovavano “le miniere, nelle quali pel passato si cavava l’argento, l’oro, ed il piombo.”[xxxix] Nelle vicinanze il Principe di Cariati deteneva in Sila, “un comprensorio di terra di circuito di miglia sedici in circa”, atto alla semina, al pascolo ed alla produzione di “pece, e trementina”, che includeva anche “la Serra di Minera, dove nel tempo passato si cavava il ferro.”[xl]
A quel tempo, una parte del territorio silano di “Pietra di Altare” ricadeva nel “Distretto” dell’università di Longobucco,[xli] mentre, possedevano territori dentro la “montagna” della Sila, anche l’università di Cotronei,[xlii] quella di Policastro,[xliii] e quella di Taverna.[xliv]
Per quanto riguardava i “Diritti che esigono nella Regia Sila l’Università dei Cotronei, il Principe della Rocca utile possessore di quella Terra, ed il Monastero de’ Cisterciensi di Altilia”, al tempo dell’uditore Venusio nell’anno 1775, relativamente alla “esazione de’ dritti della Bagliva nel Regio Demanio detto Comune di Cocciolo”, risultava che, l’università di Cotronei, possedeva “una quantità di Terre Comuni nella Regia Sila, propriamente nella Montagna Demaniale della medesima Università detta Cocciolo, e sua adiacenza” dove, “da tempo antico”, il baglivo di Cotronei percepiva la fida dai forestieri, ed il baglivo della Sila la percepiva “da’ naturali di detta Terra” che detenevano “il ius di raccogliersi le ghiande e far pascere i neri”, mentre D. Nicola Cervino esigeva il terraggio nella “Difesa della Castagna”.[xlv]
Le terre dell’arcivescovo di Cosenza
Con l’espandersi del seminativo nelle aree dell’altopiano più favorevoli alla coltivazione, anche le terre silane appartenenti alla chiesa di Cosenza divennero più esposte alle mire dei funzionari regi ed a quelle degli affittatori della bagliva silana.
Il 3 novembre 1451, Alfonso I, rivolgendosi a Francisco de Siscar vicegerente del ducato di Calabria e giustiziere di “vallis Gratis, et terrae Jordani”, nonchè a Ferdinando de Almeda, disponeva in merito a quanto espostogli dall’arcivescovo di Cosenza. Quest’ultimo faceva presente che, sia egli che i suoi predecessori, avevano sempre posseduto in maniera quieta e pacifica, come risultava ancora al presente, “nonnullas possessiones, et tenimenta in Sila Cusentiae ab antiquissimis temporibus”, nominati “Vallis Gratis in loco, ubi dicitur la baglia de li Monti suis finibus limitat.” Si rimarcava, inoltre, che la chiesa cosentina aveva sempre fatto lavorare e coltivare dette “possessiones, et tenimenta” da diversi “colonos, seu Agricultores”, senza alcuna molestia e senza pagare “servitute, servitio, seu tributo”. Al presente, invece, Ferdinando de Almeda, con il pretesto di un privilegio posseduto da Jacobo Moremilis di Napoli e di alcuni mandati esecutori emanati dalla regia curia, aveva preso a turbare e molestare la chiesa, esigendo ed estorcendo dai detti agricoltori, “tarenum unum pro quolibet parrichio bovum”, non consentendo loro di lavorare i tenimenti in questione che, quindi, rimanevano incolti: spogliando così di fatto la chiesa cosentina dei propri beni. Il re ordinava quindi di non molestare “de facto” né l’arcivescovo, né la sua chiesa ed i suoi coloni, ma nel caso si fosse ritenuto di avere ragione nei loro confronti, di agire innanzi al giudice competente.[xlvi]
Animali dannifici
I problemi generati dall’espansione dei seminativi e dalla loro difficile coesistenza con l’attività pascolativa, sono evidenziati da alcuni atti che documentano l’aumento dei danni da parte degli animali alle coltivazioni.
Tra le disposizioni date ai Cosentini il 23 gennaio 1473 nel castello di Crotone da Alfonso II, “Dux Calabrie et Vicarius generalis” del regno, troviamo quella che, volendo questi rimuovere ogni “alibi” o abuso da parte dei “baiulos sile Cusentie”, stabiliva che i “cives et casaleni Cosentini”, non potessero essere accusati per danni procurati nei terreni demaniali o baronali della Sila, per un numero di animali superiore a quello che possedevano, e soltanto nel caso gli animali fossero stati realmente trovati a procurare danno, non bastando quanto asserito “cum iuramento” dalla parte accusante. Si stabiliva, inoltre, che il danno dovesse essere constatato alla presenza di almeno due testimoni, i quali avrebbero dovuto indicare il numero degli animali dannifici, ossia quelli che realmente, erano entrati “in locis probitis sive defensis”, in maniera che rimanessero esclusi gli altri, sia per quanto riguardava il pagamento della pena prevista che del danno.[xlvii]
Nel caso invece che gli animali “non fuerit capta in danno”, ma fosse comunque stata presentata una denuncia, valevano le “constitutio regni” secondo cui l’accusato era tenuto al pagamento del danno ma non della pena. Questo se le consuetudini locali non prevedevano altro e senza andare contro i privilegi ed i capitoli regi concessi ai Cosentini.[xlviii]
Nella stessa occasione si stabiliva che, nella detta “sila Cosentie”, nessuno avrebbe potuto fare “defensas”, né proibire il pascolo agli “animalium Cosentinorum”, che era interdetto dall’inizio dell’estate fino al ritorno degli animali dalla Sila per l’inverno, solo “in regiis solatiis” e nei luoghi deputati alle necessità delle regie razze (“regiarum arratiarum”), nonchè nei “pratis” destinati allo sfalcio dell’erba per i buoi domestici con i quali si lavorava in Sila, secondo quanto era stato stabilito da Don Herrico de Aragona, luogotenente generale nella provincia.
Si disponeva quindi che fossero revocati i nuovi ampliamenti di queste difese fatti anche con la licenza della regia corte ma in pregiudizio dei Cosentini, e si stabiliva che ciò dovesse essere osservato anche nei luoghi dove questi avevano comunione di acqua ed erba con altri.[xlix]
La situazione comunque non migliorò. Tra le richieste presenti nei capitoli concessi da re Ferdinando I nel castello novo di Napoli l’otto agosto 1487 alla città di Cosenza e suoi casali, troviamo quella attraverso cui, si chiedeva al sovrano che, nonostante le concessioni avute, fossero levate le “defise” fatte da “diverse persone” durante gli ultimi dieci anni, che arrecavano grande pregiudizio ai Cosentini, non avendo questi più dove pascolare il loro bestiame.[l]
La richiesta di levare le “defese nove” tornando “ad pristinum”, sarà reiterata più volte durante la prima metà del Cinquecento: al tempo del vicerè Consalvo de Cordoba,[li] come riscontriamo nei capitoli presentati dall’università ed uomini della città di Cosenza e dati in castello novo di Napoli il 28 febbraio 1507, dove si chiedeva “Quod defense non fiant in Sila”,[lii] abolendo quelle fatte “dal tempo de la bona et recolenda memoria de Re ferrando primo in qua”, che andavano oltre l’uso “de li bovi aratorii”,[liii] ed ancora successivamente, come ci informano i capitoli concessi da Carlo V ai Cosentini il primo maggio 1520[liv] e nel 1533.[lv]
Una partenza anticipata
La diminuzione della superficie pascolativa silana all’uso pubblico dei Cosentini determinata dalla realizzazione delle difese, ebbe la conseguenza di alterare sensibilmente quello che era stato il tradizionale uso dei pascoli sull’altopiano silano, comportando anche maggiori danni a carico delle coltivazioni che vi si realizzavano.
Lo testimoniano i capitoli concessi ai Cosentini nel 1533 da Carlo V, attraverso cui apprendiamo come questi ultimi avessero già preso ad anticipare sensibilmente il tempo della loro tradizionale salita in Sila, con l’intento di accaparrarsi il pascolo necessario. Considerato quindi che essi conducevano il loro bestiame sull’altopiano agli inizi della primavera, quando la Sila non era ancora abitata e stava “sola”, con la conseguenza di danni sia “in li grani”, lontani dalla fase di maturità-raccolta, che nei prati, dove l’erba non era pronta per lo sfalcio, i Cosentini chiedevano l’intervento regio attraverso il governatore della provincia, affinchè, “per la publica utilita”, nessuna sorte “de animali campestri” potesse essere condotto sull’altopiano prima del 25 di aprile.[lvi]
Questo fatto aveva determinato anche una nuova situazione nei rapporti della popolazione con i “baglivi” della Sila e quelli dei Casali, i quali, contravvendo a quelli che erano gli antichi diritti dei Cosentini, estorcevano loro il pagamento della fida a titolo di garantirgli il bestiame dai danni arrecati alle colture, con la conseguenza che, i casi frequenti di danni arrecati da questo bestiame fidato, generavano “molti inconvenienti, et homicidi”.[lvii]
In questa occasione i Cosentini chiedevano ancora al sovrano che, nel caso l’erede di messer Antonio de Alexandro de Napoli, che deteneva la “baglia dela Sila de ditta Città et Casali”, avesse voluto vendere “ditto officio”, avrebbe potuto farlo per il giusto prezzo, solo “ad ditta Città et Casali” ma non ad altre persone.[lviii]
Le difese regie
Il bisogno di reperire terre per il pascolo rese insufficienti dall’espansione di quelle coltivate, determinò anche la richiesta al re da parte dei Cosentini, di limitare la formazione di difese per l’allevamento delle regie razze che si allevavano in Sila sin dall’antichità.
Attraverso la capitolazione concessa loro in Napoli il 21 novembre 1481, i cittadini di Cosenza e casali supplicavano il re affinchè la nuova “defesa” che impediva loro il pascolo, fatta per le giumente regie “alla Sila dela dicta Città”, fosse spostata “alla Sila de Tacina” dove si usava fare al tempo di re Alfonso.[lix]
L’esistenza di una difesa regia “per le iumente”, fatta da re Alfonso in luoghi prossimi ai confini con il territorio di Policastro e con il tenimento dell’abbazia di San Giovanni in Fiore, si rileva successivamente nei capitoli, suppliche e grazie, richieste dall’univerisità ed uomini della città di Cosenza e concessi da re Federico il 14 settembre 1497. In quella occasione, si poneva all’attenzione del sovrano che, in questo luogo, dove avveniva il “transito del bestiame”, esisteva la “defesa chiamata Anghiarella” che i Cosentini chiedevano fosse lasciata loro “como era ab antiquo”, in maniera da potersi destinare al pascolo del proprio bestiame, revocando qualunque concessione che fosse già stata fatta in precedenza. A tale richiesta il sovrano appose il suo placet, condizionato però dalla condizione “si dicta defensa reperitur in domanio curie.”[lx]
Ancora al tempo del vicerè Consalvo de Cordoba, i Cosentini chiedevano che fossero abolite le “defese reali” fatte per qualche tempo “in la Sila de Cosenza”, che avevano portato “detrimento grande” alla città di Cosenza ed ai suoi casali, in quanto avevano ristretto il pascolo necessario al loro bestiame ed avevano impedito una sufficiente semina “de grani”.[lxi]
Le decime delle rendite regie
I privilegi più antichi della chiesa cosentina, riferiscono la concessione da parte dei nuovi dominatori normanni all’arcivescovo di Cosenza, del diritto di decima (“decimationem”), relativamente ai redditi derivanti dai beni appartenenti al duca di Calabria (seminativi e animali), esistenti nell’ambito della sua diocesi.
Tra le donazioni fatte nel 1093 da Ruggero Borsa (1085-1111), duca di Puglia, Calabria e Sicilia, ad Arnulpho, arcivescovo di Cosenza, che confermavano quanto il duca Roberto il Guiscardo aveva già concesso ai suoi predecessori, troviamo: “omnem decimationem victualium et bestiarum”,[lxii] come conferma, successivamente, il privilegio concesso dal duca Guglielmo (1111-1127), allo stesso Arnulpho nel 1113: “omnes decimationes victualium, et bestiarum nostrarum”.[lxiii]
Sembra che tale diritto fu mantenuto dal presule di Cosenza anche dopo l’istituzione del regno di Sicilia. Nell’estate del 1196, Constantia imperatrice dei Romani e regina di Sicilia, scriveva a Rogerio de Calo ed a Constantino de Tauromonte “Magistro Duanae”, in merito a quanto espostogli dall’arcivescovo di Cosenza il quale, lamentandosi, affermava che, come era già successo in precedenza, il “bajulo Cusentiae” non aveva pagato le “integras decimas nostras tam de victualibus, quam de aliis redditibus nostris”. Considerata la volontà imperiale di pagare integralmente e senza diminuzione, le decime alla chiesa di Dio, si ordinava ai due ufficiali di provvedere attraverso il detto “bajulo”, in maniera che fossero pagate alla chiesa cosentina le “decimas Cusentiae tam de victualibus quam de aliis redditibus nostris”.[lxiv]
Da un regesto moderno (1898-1900) di un documento antico del 1333-1334, apprendiamo che, al tempo in cui la bagliva silana fu affittata a Michele de Cantone di Messina, quest’ultimo doveva “corrispondere annualmente all’Arcivescovo pro tempore di Cosenza le solite decime pel possedimento di detta Sila.”[lxv]
I pastori di anime
La documentazione superstite evidenzia che, durante il Medioevo, i vescovi del Crotonese possedettero il diritto di esigere la decima dei frutti delle greggi nella loro diocesi e, tra di loro, il vescovo di Umbriatico che, oltre a detenere tale diritto nel proprio ambito diocesano, lo ebbe anche in Sila, a differenza dell’arcivescovo di Cosenza che, invece, non ne godette mai né in Sila né nell’ambito della propria diocesi.
Anche se i presuli crotonesi affermavano di vantare questo diritto “ab antico”, possiamo fondatamente ritenere che, dovendosi necessariamente presuppore a tale ragione l’esistenza di un “territorio”, tale diritto debba essere fatto risalire, certamente, ad un periodo successivo a quello in cui la Chiesa calabrese fu latinizzata, non essendo proprio del clero di rito greco. Testimonia chiaramente in questo senso, poi, il fatto che i vescovi crotonesi detennero questo diritto solo per privilegio, come si evidenzia già in epoca medievale.[lxvi]
Determinava questa situazione la natura transumante del ciclo stagionale a cui erano sottoposte le mandrie degli ovini che, quando discendevano nelle marine del Crotonese, portavano con sé una parte dei loro frutti, tra cui gli agnelli nati sull’altopiano silano durante l’estate.
In merito a ciò, già attraverso i capitoli concessi ai Cosentini il 6 settembre 1414, la regina Giovanna II aveva accolto la loro supplica, riconoscendogli il diritto di non essere più costretti dagli ufficiali o da altre persone richieste dai vescovi “per ragione de decime de dicto bestiame et loro fructi”, quando si trovavano a svernare “alle marine”, ma a comparire ordinariamente di fronte agli “officiali Cosentie”.[lxvii]
Allo scopo di trovare una soluzione, comunque, si erano mossi diplomaticamente anche gli ecclesiastici locali, come dimostrano alcuni documenti di questo periodo.
Il 15 marzo 1411, in Cirò, terra posta in diocesi di Umbriatico, alla presenza del notaro Angelo Cannagroe di Cirò, “Annalis Judex eiusdem T(er)rae”, del notaro Juliano de Xelso di Cirò e di alcuni testi, il vescovo di Umbriatico Petro, si costituiva nella domus in cui abitava e dove giaceva infermo, esibendo uno strumento pubblico originale, scritto il 15 aprile 1410, dal notaro Marco Papandrea di Cirò e sottoscritto dal giudice Nicolao de Condoleone, affinché ne fosse fatto un “transumptum” in forma pubblica.
Quel giorno, innanzi al detto notaro ed al detto giudice, si erano costituiti, da una parte, il nobile Leo Bisantio assieme a Michaele Perretta, decano della cattedrale di Umbriatico, mentre, dall’altra parte, era comparso il presbitero Nicolao de Ioaccino di Celico, in qualità di procuratore del clero dei “casalium dictorum delo manco”, pertinenze della “vallis Gratis”, in merito alla “discordia” insorta relativamente all’accordo (“conventionum”) riguardante la “decima fructuum, et proventuum” degli “animalium consentinorum” che, dalle parte di “vallis gratis”, giungevano nei tenimenti della diocesi di Umbriatico, fatti e facendi con il consenso del vescovo di Umbriatico e del clero dei casali “delo manco”.
Un patto inconsistente
Tali accordi risultavano contenuti in un atto stipulato precedentemente in Cirò, nella domus di Joannes Spoletino, abitazione del vescovo di Crotone, dove si erano costituiti, da una parte, il vescovo di Umbriatico Petro e, dall’altra, alcuni rappresentati del clero dei casali di Cosenza. Ciò in vigore del “rescripti” di papa Innocenzo VII diretto a Jacobo, arcivescovo di Santa Severina, individuato quale “judice delegato” della questione, riguardante la pretesa dei “d(omi)ni clerici” dei detti casali, contrastata dal vescovo di Umbriatico, di ottenere lo “ius decimae” di tutti gli agnelli (“agnorum”) e frutti del latte (“casci et ricotiorum”) prodotti dalle pecore (“pecudum”) che, “de partibus” dei detti casali, erano portate a pascolare a “Eyemalia”, nel tenimento di Cirò e in altri tenimenti della diocesi di Umbriatico.
Poiché la lite era stata molto accesa, attraverso l’intervento di persone ecclesiastiche, comuni amici, il detto vescovo Petro, di sua buona volontà, ed in maniera amichevole e paterna, aveva fatto alcune concessioni ai Cosentini, cedendo loro la metà degli agnelli e la terza parte dei formaggi e delle ricotte di ogni singolo anno, promettendo di tenere fede ai detti “pacta” e di osservarli in futuro.
Questi furono sottoscritti dallo stesso vescovo Petro, da Antonio Spoletino, vescovo di Crotone, e da altri rappresentanti del clero dei casali cosentini e della diocesi di Umbriatico: Michael Gatio e Thomasio Russo di Spezano Magno, procuratori del clero dei casali di Cosenza, Guido Comito di Spezano Magno, Nicolao de Joaccino di Celico, procuratore del clero dei casali di Cosenza, Nicolao de Agminneto de Celico, il presbitero Michaele Perrecta, decano di Umbriatico, il presbitero Loisio de Paterno, il presbitero Juliano Russo arcipresbitero di Cirò, Leo Bisantio, Nicolao de Principato e Joannes Smeraldo.
In seguito però, i contrasti erano continuati, e volendosi mettere fine alla discordia dirimendo la controversia secondo le norme del diritto, tali accordi era stati sottoposti a “T.” vescovo di Catanzaro, ed al dominus Joannes Morano di Catanzaro, dottore in legge, in qualità di arbitri.
Questi si espressero chiaramente, attraverso una sentenza favorevole al presule di Umbriatico, in primo luogo perché quest’ultimo non avrebbe potuto fare tale accordo o convenzione (“pactum, seu conventionem”), non potendo rinunciare al diritto di decima che non era suo personale, ma che gli apparteneva per il titolo vescovile che ricopriva, di conseguenza, quindi, i detti accordi erano da considerare a tutti gli effetti nulli “ipso iure”, mentre, inoltre, non essendoci stato il necessario consenso del capitolo, l’accordo non aveva alcun valore, senza contare che, nell’ambito di quanto era in uso nella chiesa umbriaticense, le entrate relative a tale diritto dovevano essere divise tra il vescovo (“episcopum”), il capitolo (“capitulum”) ed i poveri (“pauperes”), e rinunciando alla metà delle proprie decime, il vescovo aveva agito non solo in pregiudizio della sua carica ma anche in pregiudizio di altri.[lxviii]
Una sentenza chiara e definitiva
In merito alla questione riguardante questi importanti interessi ecclesiastici, fa chiarezza definitiva la sentenza pronunciata da Francesco Bennio vescovo di Martirano, contenuta in un “diffinitivo decreto” del 9 giugno 1434, dato nel palazzo vescovile di Martirano, circa la controversia vertente tra Joannes Smeraldo, arcivescovo di Cosenza, e Nicola Sito, vescovo di Umbriatico, relativa al pagamento del diritto di decima delle pecore (“decimae ovium”) che pascolavano “in territoriis de la Sila”, e dei loro agnelli (“foetantium”) nati sull’altopiano.
In questa occasione, considerato che i detti territori silani erano posti “intra limites Iurisdictionis Ecc.ae Consentinae”, il procuratore della Mensa arcivescovile, aveva chiesto che, almeno, fosse riconosciuta alla chiesa di Cosenza la “medietatem dictae decimae de ovibus pasculantibus, et foetantibus in dictis territoriis”.
Il vescovo di Martirano, assunta ufficialmente “informatione” della questione con il consenso di entrambe le parti in causa, mediante un “compromisso” giurato stipulato innanzi a lui, visti tutti gli atti prodotti e ascoltate le deposizioni di un numero sufficiente di testi, pronunciò la sua sentenza. Secondo questo verdetto, alla Mensa arcivescovile di Cosenza non spettava minimamente il diritto di esigere il “praedictum Jus decimae in dictis territoriis positis in Dioecesi Consentina”, tanto per quanto concerneva il passato, quanto in futuro, sia degli agnelli “quae nascuntur in dictis locis”, sia dei frutti delle mandrie (“de fructibus”), perchè non era consueto esigere dette decime “in dicta Civitate Consentiae”, mentre, invece, queste si esigevano pacificamente “in dioecesi Umbriatici à tempore in quo nulla est hominum memoria in contrarium”.
Bisognava poi considerare che, in relazione al tempo ormai trascorso, il provvedimento (“actio”) precedente prodotto in favore della chiesa cosentina dal Rev. Francesco Spulitrino, decano della cattedrale di Umbriatico e procuratore della mensa vescovile umbriaticense, era da considerarsi ormai decaduto (“praescripta”), essendo quest’ultimo ormai morto. Si stabiliva, inoltre, che il detto decano, non avrebbe potuto promettere la metà delle dette decime in frode e pregiudizio della chiesa di Umbriatico, senza il consenso e la deliberazione del vescovo e del capitolo della cattedrale. Considerato quindi che la concessione (“promissio”) fatta dal detto decano, era stata solo una iniziativa personale, doveva quindi considerarsi estinta con la sua morte e, a tenore di ciò, si dichiarava “nullam, et infirmam”.
Viceversa, invece, il detto vescovo di Umbriatico, come era stato nel passato, si trovava nel suo pieno diritto di esigere integralmente la detta decima “iuxto solitum, et consuetum”, da tutte le mandrie di “animalibus minutis etiam foetantibus” pascolanti nei territori silani “extra cursum”, nel luogo di pascolo dove era stata eretta la loro stalla (“stabulam”) e dove si era realizzata la loro produzione (“incrementum”).[lxix]
Il diritto di passo
In relazione al carattere transumante della pastorizia in Sila, lungo il percorso stagionale delle mandrie tra le pianure del Marchesato di Crotone e le montagne della Sila, fin dall’antichità queste ultime furono sottoposte al pagamento di un diritto di passo, come evidenzia bene un’antica tradizione di Roccabernarda che, secondo alcuni, sarebbe stata chiamata così “dal nome del ladrone Bernaudo, che vi aveva fatto il suo covo e luogo obbligato di sosta e di passo, dove depredava i malcapitati viandanti”[lxx]
Durante il Medioevo questo diritto di passo o “passaggio” a carico delle mandrie, si esigeva nei castelli che sorgevano nei luoghi di varco lungo il loro cammino, costituito dalla “strada pubblica, che porta da Cosenza alle Marine di Cotrone”, la quale risalendo in Sila, passava nelle vicinanze della località detta “Camarda”,[lxxi] e transitando nella vallata segnata dal corso del fiume Ampollino,[lxxii] giungeva nella località di “Anghiarella”, da cui avveniva il “transito del bestiame” verso il Crotonese.[lxxiii]
Tra i capitoli e le grazie concesse da re Ferdinando I all’università ed agli uomini della città di Cosenza e suoi casali, il 28 febbraio 1487 in Rossano, troviamo la richiesta dei Cosentini di essere riconosciuti “franchi” dal pagamento del diritto di “passagio” che era stato nuovamente posto a carico di ogni mandra di pecore “alli Cotronei” e “alla Roccabernarda”.[i]
Tale richiesta ricorre anche successivamente, tra i capitoli e grazie richieste dall’università ed uomini della città di Cosenza e casali al tempo del “Gran Capitano” Consalvo de Cordoba, vicere di Napoli (1503-1507), quando i Cosentini chiesero di essere affrancati dal pagamento del “passagio” o “carnagio” che doveva essere corrisposto al castellano di Cosenza, il quale esigeva “uno Carlino pernoctandoci per testa” relativamente alla “ragione del portello”,[ii] come si faceva anche alla “Rocca Bernarda” ed in altri luoghi simili,[iii] tra cui il “Casale deli Cotronei” e le terre del comitato di Cariati.[iv]
Alla fine del Settecento, il “passo di tutti gli animali de’ forestieri” che attraversavano la Sila, era stabilito alla ragione di “grana due per ogni pecora; grana due e mezzo per ogni zimmaro; grana tre per ogni castrato; grana tre e mezzo per ogni porco; e per ogni vacca, giumenta, bove, ed ogni altro animale grosso grana dieci pro nunc, insino ad altro ordine della Camera.”[v]
Tale pagamento avveniva usualmente nella località della “Regia Sila” detta “Porzio”, che si trovava al confine del territorio della “Reale Badia di S. Giovanni in Fiore”, dove giungeva la via che veniva da Cerenzìa e dove passavano gli animali, “tanto per immettersi nella Regia Sila, quanto nel territorio Badiale”.[vi]
La “Dogana” silana
Completa il panorama dei diritti che la regia corte esigeva in Sila, lo “ius plateatici” o “Dogana” che, fatta eccezione per i Cosentini, doveva essere corrisposto da tutti coloro che compravano e vendevano qualsiasi genere di merce entro i confini silani.[vii] L’antichità di questa imposizione, assieme ad altre riguardanti il commercio che si realizzava in Sila, risalta attraverso i primi privilegi concessi al monastero di San Giovanni in Fiore agli inizi del dominio svevo.
Tra le donazioni fatte in Nicastro il 21 ottobre 1194, dall’imperatore Enrico VI “ad preces Ioachim venerabilis abatis de Flore”, troviamo l’esenzione di pagare i diritti di “theleonatico, plateatico et passagio”.[viii] Donazioni confermate a richiesta dello stesso abbate, in Messina nel gennaio 1198, da Costanza d’Altavilla, quando si ribadiva la libertà del monastero di “transire libere terra marique, indultis vobis ubique per terram demanii nostri plateatico et passagio”,[ix] come continuano a ribadire i privilegi concessi in seguito da Federico II in Palermo nel luglio 1208,[x] in Brindisi nel marzo del 1221,[xi] e dall’assedio di Jato nel giugno del 1222, quando si specifica che il monastero avrebbe potuto vendere e compare liberamente ferro senza alcuna esazione “et passagio atque portulagio”.[xii]
Queste libertà tendenti a favorire l’attività commerciale dei Florensi, si estendevano, comprensibilmente, anche alle terre donate loro dai feudatari vicini. Nell’agosto 1210, in Messina, Federico II, confermava a Matteo “venerabilis abbas Floris” le “libertates” che “Stephanus comes Cotroni” aveva precedentemente concesso “in omni terra sua”, ossia che “praedictus comes vobis in terra sua concessit”: tra cui quella di “libere vendere et emere per totam terram ipsius comitis quandocumque volueritis valeatis. Et in mari quod ipsius terrae adiacet, libere habere vascellum tam ad piscandum, quam ad honera deferenda … Et ingressus semper in omni terra eius habere liberum et egressum aliqua prohibitione aliquando vobis in aliquo non obstante”[xiii] mentre, in Palermo, scriveva il 7 settembre 1222 ai “Magistris doanarum et baiulis in Panormo et Messana et cunctis civitatibus, passagiis et portibus regni Siciliae”, affinchè, considerato che il monastero di Flore “plenam habet et perpetuam libertatem emendi, vendendi et transeundi libere terra marique per totum demanium nostrum”, nessuno osasse molestare i prelati, frati e nunzi dello stesso monastero, per il pagamento di “plateatici, theleonatici, vel passagii”, relativamente alle loro persone, cose, servienti e cavalcature.[xiv]
La particolare imporanza del commercio che attraversava la porzione della Sila sottoposta all’abbazia florense transitando attraverso la via di Caccuri, risultava evidente ancora durante la prima metà del sec. XV, al tempo di Covella Ruffo che, in qualità di erede della sorella Polissena, ebbe la terra di Caccuri con il diritto di plateatico.[xv]
Note
Foto in evidenza: panorama della Sila durante la stagione invernale (foto di Domenico Olivito da twitter.com).
[i] Ancora alla fine del Settecento, la Sila era considerato un luogo dove “La stagione de’ bei giorni vi ha cortissima durata, perché comincia dopo il mese di giugno, ed a guisa della terra situata sotto i Tropici quella delle nevi succede dopo la metà di settembre.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 1.
[ii] “Il rimanente delle terre della Sila è destinato per pascolo estivo de’ diversi bestiami de’ particolari possessori, che ne pagano la fida, e nell’inverno per la rigidezza del clima non potendovi rimanere, se ne passano a’ pascoli verso la marina.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 4.
[iii] Rende P., Mito e Storia di Crotone nella Magna Grecia, www.archiviostoricocrotone.it
[iv] “E giungerà pure alla città di Siris e al golfo Lacinio, dove Teti farà crescere alla dea Oplosmia un bosco tutto ornato di belle piante come un giardino. Già sarà sempre costume delle donne di quel paese piangere il nepote di Eaco e di Doride, lo smisurato eroe fulmine di guerra; e non ornarsi, allora, le candide membra di aurei vezzi, né cingere molli vesti tinte di porpora: e per questo l’una dea darà all’altra, come dimora, il grande promontorio.” Licofrone, Alexandra vv. 956-965.
[v] Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIV, 3.
[vi] “Itaque fatigatus querelis sociorum Dionysius, Siciliae tyrannus, sexcentos Afros ad conpescendos eos miserat; quorum castellum proditum sibi per Bruttiam mulierem expugnaverunt ibique civitatem concurrentibus ad opinionem novae urbis pastoribus statuerunt Bruttiosque se ex nomine mulieris vocaverunt.” Giustino, XXIII, 1, 11-12.
[vii] Strabone, Geografia VI, 1, 5.
[viii] “Ed altri intanto giungeranno sulle inaccessibili alture della Sila e sul promontorio di Lino che alto si protende nel mare – regione posseduta da una Amazone – e accoglieranno il giogo di una donna di condizione servile. Lei condurranno le onde, errabonda, in straniera contrada, lei, serva di quella indomita vergine che va tutta coperta di bronzo, e cui, nell’atto di esalare l’estremo spirito, sarà strappato un occhio, che costerà la vita ad un Etolo pernicioso, brutto come una scimmia; il quale dall’asta ancora calda di sangue sarà passato da una parte all’altra. Un giorno, in vero, distruggeranno la città dell’Amazone i Crotoniati, uccidendo la regina che porta il nome del suo paese; ma molti pria cadranno sotto i colpi di lei mordendo coi denti la terra, né senza affanno abbatteranno le torri quei nepoti di Laureta.” Licofrone, Alexandra vv. 993-1007.
[ix] Schol. Vet. ad Lycophronem, Alexandra, v. 996; Etymologicum Magnum 517, 54.
[x] “L’entroterra di questa città [Locri] è occupato dai Brettî; vi si trovano la città di Mamertium e quella foresta che chiamano Sila, che produce la pece migliore che si conosca, detta «pece brettia». È ricca di piante e di acqua e si estende in lunghezza per 700 stadî.” Strabone, Geografia, VI, I, 9.
[xi] Intrieri M. e Zumbo A., I Brettii, Tomo II Fonti letterarie ed epigrafiche, 1995, p. 193.
[xii] Attianese P., La Monetazione dei Brettii, 2015.
[xiii] Stefano Bizantino, Ethnica, s.v. Ἀβρεττηνή.
[xiv] Iordanes, De origine actibusque Getarum, XXX, 156.
[xv] Paulo Diacono, Historia Langobardorum II, 17; MGH Hannoverae 1878, p. 98.
[xvi] Appiano, Annibalica, 61; Libica, 256-257.
[xvii] Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXVIII, 45. “Brutii sponte Romanis dediti, dimidium suae regionis montanae iis concesserunt, quae Sila dicitur, …”. Dionigi di Alicarnasso, Antiquitatum Rom., lib. XX, V.
[xviii] “Gregorius Arogi duci. (…) Indicamu autem, propter ecclesias beatorum Petri ac Pauli aliquantas nobis trabes necessarias esse, et ideo Savino subdiacono nostro iniunximus, de partibus Brittiorum aliquantas incidere, et ut usque ad mare in locum aptum trahere debeat.”. Paulo Diacono, Historia Langobardorum IV, 19; MGH Hannoverae 1878, p. 153.
“Ab Aroge [Arechis], Duce Beneventano, petit ut in trabibus, ecclesiae BB. Petri et Pauli necessariis, e Bruttiis ad mare trahendis, Savino, subdiacono suo, cum hominibus et bobus subveniri iubeat.”. Russo F., Regesto I, 60.
“Mauritio, Magistro militum, mandat ut supradictam epistolam celeriter ad Arogem Ducem deferat et Savinum subdiaconum ei commendat, cui trabes in ecclesiis BB. Petri et Pauli necessarias e Bruttiorum partibus ad locum unde per mare duci possunt, trahat praeceperit quique ut auxilium pracbeat se Arogi scripsisse docet.” Ibidem, 61.
“Gregorio expraefecto petit ut Savino, subdiacono suo, homines et boves de possessionibus suis, quas ipse in emphiteusim habeat, ad emoliendas viginti trabes, ecclesiis BB. Petri et Pauli destinatas.” Ibidem, 62.
“Stephano, Tempsano episcopo, et Venerio, Vibonensi episcopo, scribit de hominibus bobusque Savino, subdiaconi ad trabes ad mare trahendas mittendis.”. Ibidem, 63.
[xix] Einhardi Vita Karoli Magni, 15, Scriptores Rerum Germanicarum in Usum Scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis Separatim Editi, 1905. In relazione ai luoghi che segnavano questo confine, sembra poter trovare corrispondenza la presenza del toponimo “petram Caroli Magni” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 9-10, 11-13, 29-31, 88-89, 123-130, 194-196, 230-233) sul confine settentrionale del territorio silano dell’abbazia di San Giovanni in Fiore, che pur riscontrandosi solo alla fine del sec. XII, potrebbe costituire un retaggio dei miti franchi legati a questo personaggio, sopravvissuto nella cultura dei dominatori svevi.
[xx] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), in www.archiviostoricocrotone.it
[xxi] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 9-10, 11-13, 29-31, 88-89, 123-130, 194-196, 230-233.
[xxii] Rende P., Per vie, passi, trazze e carrere del Crotonese, www.archiviostoricocrotone.it
[xxiii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 009-010, 011-013 (vedi anche Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 195-196), 029-031, 088-089, 123-130 e 194-196.
[xxiv] La difesa “Serriselli” era situata parte nella Regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 812.
[xxv] La difesa detta “Frassineto”, situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, confinava con “Germano” di D. Giuseppe Benincasa, con “Redisole” del clero di S. Giovanni in Fiore, con “Arnocampo” di D. Alessio, D. Domenico e D. Giuseppe Magliari, con “Picata” dei Dominicani di Pedace, con “Manca di Scrofa o sia macchia di Pietra” degli eredi di D. Giuseppe Facciolo, con la difesa di “S. Bernardo” dei cistercensi, con “Vallepiccola”, dell’abbate commendatario di S. Giovanni in Fiore, con “Serrisi” di D. Nicola Barberio, con “Colle di Donato” del Purgatorio di Pedace, “ed il fiume Neto vi passa per mezzo”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 162.
[xxvi] La difesa detta “Picata” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Per quanto riguarda la prima parte, confinava con il fiume Neto e la “Difesa Arnocampo”. Confinava anche con la “Montagna detta Macchia di Pietra”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 652-653.
[xxvii] La difesa detta “Macchia di Pietra” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, distinta da un’altra con lo stesso nome, che ricadeva tutta nella parte della detta Badia. La parte dentro la regia Sila confinava “colli Comuni de’ Farfari, Fiume Neto, Vallone de’ Pagani, e dalla parte di sopra colla Serra di Pilato”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 523-524.
[xxviii] Il “pezzotto di terra” di 18 tomolate denominato “Differenza”, parte sito nella Regia Sila e parte nel territorio della Badia di San Giovanni in Fiore, era comune tra la “Difesa Ariamacina” di D. Pasquale Giudicessa, “S. Nicola” di Curatolo, e “Rijo” di D. Gaetano Ferraro. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 337.
[xxix] La difesa “Rijo di Barrese” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. La parte posta nella Regia Sila confinava con la “Difesa detta Sculca” di Mario Abate, la difesa “Garopante” di Antonio Giudicessa, la difesa di “Rijo Sottano” del principe di Cerenzia ed il “Fiume Rijo”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 727. Il regio comune denominato “Sculca, Comuniello della Sculca o Varco di Giordano”, confinava con la “Difesa detta di Neto”, con la difesa nominata “la Sculca” e con quella detta “di Rijo”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 442.
[xxx] La difesa “San Nicola Soprano” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. La parte posta nella regia Sila confinava con la “Difesa Rijo di Juso Boterino” e con l’abbazia di San Giovanni in Fiore. Confinava anche con la “la via pubblica, che la divide dalla Difesa di Rijo di D. Pietro Barrese delli Macchisi”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 771-772.
[xxxi] La difesa di “Botorino Soprano, o sia Piano delli Greci” risultava divisa in due porzioni: una posta “nel Territorio della Real Badia di S. Giovanni in Fiore; e l’altra nella Regia Sila.” La parte posta nella regia Sila confinava con la difesa “Carlomanco, con quella di Rijo, con S. Nicola Soprano” ed altri fini. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 97-98.
[xxxii] La difesa di “Carlomanco Soprano” era posta nella regia Sila, e confinava con quella di “Carlomanco Sottano” sita dentro il territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 210-211.
[xxxiii] La difesa “Rovale” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. La parte posta nella regia Sila confinava con la “strada pubblica”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 749.
[xxxiv] La difesa “Serra della Taverna” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. La parte posta nella regia Sila confinava con la “Difesa Grimoli”, con la “difesa Cavaliero” ed altri confini, tra cui “Mellaro”, la “Difesa di Lorica”, la “strada pubblica”, i “Comuni della Badia detti di Lorica” e con la “Fiumarella del Crocifisso”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 809-812.
[xxxv] La difesa detta “Lorica” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 516.
[xxxvi] La difesa detta “Pinocollito” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, divise da una “strada” detta “di Pinocollito”. “Passo di Pinocollito”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 663-664.
[xxxvii] La difesa di “Camporotondo” era situata parte nella Regia Sila e parte nel territorio della Real Badia di S Giovanni in Fiore, e cominciando dal “Passo di Cosenza”, era confinata dal “fiume Savuto, quando si va a Catanzaro, e per la via quando si va alli Comuni di Chiazza”, ed altri confini. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 97-98.
[xxxviii] La difesa detta “Monte di Janni” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, confine “colle Manche di Filosa” e con la “Difesa Ilice”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 587.
[xxxix] La difesa detta “Pietralba di Basile” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Confina con “Manche di Vona”, con il fiume Savuto, con la “Difesa Pietralbella” di D. Antonio Arcuri e Fratelli, e con la “Difesa di Camporotondo” di D. Francesco Saverio Mollo di Cosenza. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 655.
[xl] La difesa “Verberano Soprano” era situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 860.
[xli] La difesa detta “Scorciabovi” situata parte nella regia Sila e parte nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, confina con “Politrea” dei cistercensi, con “Razzella” di Paolo Elia di Scigliano, e con “Tassito” del medesimo. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 205.
[xlii] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), www.archiviostoricocrotone.it
[xliii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 523-524.
[xliv] Nella confinazione della difesa “Porticella” si legge: “… scendeva al Fiume di Neto sopra la Serra Vecchia, che fece detto Andreotti; metteva nel Vallone dei Pagani, saliva per detto Vallone, e salendo verso l’aria alli pezzi di S. Caterina di Spezzano Piccolo e per detta Aria usciva alli Comuni di Sopra Macchia della Pietra”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 694.
[xlv] Dentro la difesa “Botorino” esisteva un “pezzotto” di terreno chiamato “il Piano dei Greci”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 97-98.
[xlvi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 727.
[xlvii] “Greca”: “pezzo di terra” confinate “colle terre di Barrese da un lato, e dall’altro colla via pubblica, e col vallone corrente”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 315.
[xlviii] “Secondo C. A. Mastrelli, Elementi germanici nella toponomastica dell’Alto Medioevo, in “Atti V Congresso Studi Alto-medievali” (Spoleto 1973), p. 645, la diffusione di SCULCA, – ULA gotico, o forse già latino volg., sarebbe stata operata dai Longobardi, quindi sarebbe indizio di longobardicità per le aree in cui compare.” Doria M., Toponomastica Longobarda a Trieste e sul Carso, 1979.
[xlix] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 9-10, 11-13, 29-31, 88-89, 123-130, 194-196, 230-233. ASCS, Corporazioni Religiose, B. 8, Vol. 89, ff. 4-4v.
[l] “… al guado di Neto, che è da sotto all’unione di Rijo vicino alla difesa detta Ariamacina.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, pp. 19-20.
[li] ACA, Cancillería, Reg. 2903, f. 180v. Sempre al tempo di re Roberto d’Angiò, relativamente ad una località della Sila non meglio precisata, sappiamo che fu concesso a Michele de Cantone di Messina, milite e maestro razionale della regia curia, “di poter costruire in quella estesissima giogaja boscosa (di circa 60 miglia) un fortilizio «in quo homines habitare valeant»” “Ex regest. An 1333-1334 lit. B fol. 315 v.o. …”. ASRC, Super fondo Raccolte e Miscellanee, fondo Blasco Salvatore, in ASMM, www.archividelmediterraneo.org.
[lii] “(…) Item in loco detto S. Nicola è proprio dove Si dice la Torre di / Volpe in testa è lo Commune come Sopra, quale confina colla / difesa di San Nicola Sottana dalla parte di Sopra di detta / difesa, e fere al macchione del forno della pece, in mezzo del / quale vi Sono due pini, e nel pino Sottano vi è una pietra / grande, e ripartite in più parte, e proprio dove è nel mez / zo del detto macchione vi è un galapo, e Sorge per detto Ga / lapo à detto forno della pece, ed à d.o forno Siegue di pia / no per mezzo del pinetto per lo Colono, e Siegue alli pini / alto di Sopra lo macchione libero di detta difesa, che / confina colla difesa delli monaci di monte Oliveto / di Pelosi detto Vallone alle Case, e Siegue la Terra in Sù / che confina con macchia di Pietro, e finisce allo Ca / stello di Volpe intesta acqua fundente nel destro verso / mezzo giorno, ed à d.o Castello asciende al galapo verso al / bosco verso Tramontana, ed esce alle fornelle, e di là Se / guita come tengono li confini di S. Nicola Settano / e Si unisce colla difesa di San Nicola Settano, ed à d.i / limiti in Sù, come comincia il term.to d.o di sopra. (…)”. ASCS, Corporazioni Religiose, B. 8, Vol. 89, f. 42.
[liii] “… la pianta di tutta la Sila fatta dall’Ingegnere Galluccio nel 1664, si vede che la linea confinale passato il fiume Neto sotto la Torre de’ Schiavi si portava addirittura sotto la Pietra di Carlo Manco, senza discendere fino alla Torre di Barrese pel fiume Rijo, vedendosi nell’istessa pianta il sito della Torre de’ Schiavi.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 19, n. 2.
[liv] Dentro la difesa “Serrisi” situata nel territorio della Badia di S. Giovanni in Fiore, esiste “un pezzotto di terra denominata Serra delli Schiavi”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 275.
[lv] Rende P., Dal mito della città di Pandosia al vescovato di Cerenzìa, in www.archiviostoricocrotone.it. Le origini remote del popolamento in quest’area sono evidenziate da Strabone: “Viene poi Consentia, metropoli dei Brettî. Poco al di sopra di essa c’è Pandosia (Πανδοσία), fortezza che gode di difese naturali (“φρούριον ἐρυμνόν”), presso la quale morì Alessandro il Molosso. Anche costui fu tratto in inganno dall’oracolo di Dodona che gli aveva ordinato di guardarsi da Acheronte (Ἀχέροντα) e da Pandosia: essendoci di fatto in Tesprozia nomi uguali a questi, nel tentativo di fuggirli, egli venne qui a perdere la vita. La fortezza di Pandosia ha tre sommità (τρικόρυφον) e le scorre vicino il fiume Acheronte (ποταμòς Ἀχέρον). Ad ingannare Alessandro il Molosso si aggiunse anche quell’altro oracolo che diceva: «O Pandosia dai tre colli (Пανδοσία τρικόλωνε), un giorno rovinerai molta gente!». Egli pensò infatti che l’oracolo predicesse la rovina dei nemici e non già dei suoi. Dicono inoltre che Pandosia fu un tempo residenza regale dei re degli Enotrî.” Strabone, Geografia VI, 1, 5.
[lvi] Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggero” compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei anno CCLXXIV, 1876-77, serie II – volume VIII, Roma 1883, p. 128.
[lvii] Oliveti L., Istruttoria Demaniale per l’accertamento, la verifica e la sistemazione del demanio civico comunale di Cotronei 1997, p. 12.
[lviii] “Tassitano, diocesi di Gerenzia.”. Fiore G., Della Calabria Illustrata II, p. 594.
[lix] “In primis Tenimentum in Sila quem d.r de Sanduca et terminatur sic incipit à Vallone quod d.r de Tassito quod de Grecis est nuncupa.r et vadit ad flumen Ampolini, et ascendit de Vallone ipso et vadit in locum qui dicitur Arenusa, deinde vadit in locum qui d.r aqua frigida, et dat ad vallonem Melliareti et descendit inde ad vallonem qui d.r de Nucilletta et vadit inde rette de costera, et exit ad flumen Ampolini, deinde ascendit flumen Ampolini, et concluditur …”. ASN, Archivio Ruffo di Scilla, vol. n. 697, f. 2v.
[lx] Il 2 dicembre 1253 in Crotone, “Dominus Nicolaus Abbas Calabro Mariae”, presentò “tria instrumenta Graeca” a “Nicolao à Iudice” e “Michaele de S. Mauro” o “de S. Martio”, giudici della città di Crotone, affinché fossero tradotti in latino e trascritti in forma pubblica, cosa che avvenne quel giorno per mano del pubblico notaro “Joannis de Petra Paula” che però risulta “Petrus” nella sottoscrizione. Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 475-478.
[lxi] “Hoc est sigillum factum à Rogerio Duce Italiae, Calabriae, et Siciliae datum Polychronio Deo dilectissimo Episcopo Geruntinensi fundatori Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae 7. Indictionis, ultima mensis Madii. Cum moram traherem in Calabria, et essem intra Tropeae civitatem accessit ad me Deo dilectissimus Episcopus Geruntinensis Dominus Polychronius pro praesente meae confirmationis, eaque quae à beatissimo Metropolitano nostro Constantino Praesule Metropoli S. Severinae facta, et facta fuit ab eo per scriptum ejus de Monasterio Sanctissimae Dei Genitricis Calabro Mariae dare, ubi pro ipso Monasterio quoddam sylvae tenimentum, quod dicitur Sanduca facere alterum Monasterium. Monachi, qui in eo sunt cum ejus bonis liberum ab omni petitione, ex quo vero supplicationes ejus vidimus propter bonas memorias nostrorum parentum, et memoriam animae salutis de d. Episcopo, pro ipso Monasterio Calabro Mariae apud sylvam ad ultimum tenimentum deductum per loca cum aquis, et quibuscumque ipso tenimento recipi et haberi potest, et quod nullus sine voluntate, et mandato Abbatis ipsius Monasterii Calabro Mariae ultimo tenimento faciat aliquid seu mutare determinatur, aut tenimentum, sic incipit à Vallone quod dicitur de Graecis, et vadit ad flumen Ampulini, et ascendit de ipso Vallone Tassiti, et vadit ad locum, quod dicitur Arenosa, et deinde vadit ad locum quod dicitur Aquafrigida, et dat ad Vallonem de Miliareti, et deinde descendit à Vallone quod dicitur de Nucelletta, et vadit indirecte per costeram, et esit ad flumen Ampulini, et deinde ascendit de ipso flumine Ampulini, et concludit faciem esitus. Ipsum Monasterium Monachos, qui in eo sunt omnia bona, quae tenuit, et tenet justa libera non molestandi ab aliquibus confirmo, omnia concedo et roboro omnia, quae à Deo dilectissimo Metropolitano nostro Constantino facta, et concessa fuerint de mandato ejus praedictis Monachis Calabro Mariae, et Abbati in ipso Monasterio in illo die ministranti, et illis Monachis, qui post ipsum fuerint in praedicto Monasterio, et quod non habeant licentiam, seu potestatem amodo aliquis de Metropolitanis, qui in ipsa Metropoli sint, ac possit de Sancta Severina inferre aliquando contrarium; neque ipse, neque aliquis de Clericis, saecularibusque illo die in manibus habuerit potentia mea videlicet gloriosissimi Bajuli Biscontis, vel Platoni, vel alius qui illos, qui in ipso dicto templo servierit in dicto Monasterio amodo omnes monachi quotidie in illo servierit, et oraverint, et omnia supradicti Monasterii sine molestia ab omni homine reddant, tam ipsi Metropoli S. Severinae statutum et confirmatur à beatissimo Metropolitano nostro Constantino, et non in aliquo amplius ipsum Monasterium. Si quis ausus inventus fuerint praesens nostrum sigillum roborationis offendere, et inferre contrarium, vel molestiam inferre Sanctissima Dei Genitrice reaedificata à dilectissimo Episcopo Geruntinensi Domino Polychronio, vel quae in ipso sunt non minimam indignationem nostram incurrat, et ut majus robor et firmitatem habeant supradictae donationes bulla mea plumbea signata est. Mense, Indictione praedictis in annis sexmillium sexcenti septem.” Ughelli F., Italia Sacra tomo IX, Venezia 1721, c. 476.
[lxii] “… apud Silam tenimentum quod dicitur Sanduca quod conterminatum fuit, incipit à vallone quod dicitur de Tassia, quod dicitur de Graecis, et vadit ad flumen Ampulini, et ascendit de Vallone ipso, et vadit in loco quod dicitur Arenosa deinde vadit in loco quod dicitur Aquafrigida, et dat ad vallonem Miliareti, et descendit inde à vallone quod dicitur à de Stacillem, et vadit inde recte de costera, et esit ad flumen Ampulini, deinde ascendit flumen Ampulini, et concludit, …”. Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 477-478.
[lxiii] “3. Tassitano, diocesi di Gerenzia. 4. Monte Marco, della medesima diocesi. 5. Cabrie, nella diocesi stessa. (…) “30. S. Maria de Nova, o vero Trium Puerorum, ma più volgarmente Paganella, monasterio fondato poco prima del 1220 in Caccure, diocesi di Gerunzia; la cui visita papa Onorio III l’anno sudetto la commette agli abbati di Corazzo e di Frigillo. Oggidì soppresso da papa Innocenzo.” Fiore G., Della Calabria Illustrata II, pp. 594-595.
[lxiv] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum 1865, pp. 231-232 n. CLXXVI.
[lxv] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 007-008.
[lxvi] Trinchera F., Syllabus Graecarum membranarum 1865, pp. 280-281 n. CCXIV.
[lxvii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 009-010, 011-013, 029-031, 088-089, 123-130, 194-196, 239-241.
[lxviii] Greco G., La città monastica San Giovanni in Fiore dai Florensi ai Cappuccini, 2005, p. 16 e nota n. 2.
[lxix] “Monasterium Floris S. Joanni Baptistae titulo insigne in hac Cusentina Archidioecesi ad radices Silae sylvae inter duo flumina Alaulam, (sic, ma Album) et Neethum in loco horroris, et vastae solitudinis de consensu Archiepiscopi construere coepit ann. 1189. et novam Monachorum Congregationem, seu Ordinem Florensem instituere.” Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 195.
[lxx] “Concessione di Tangredo re di Sicilia, l’anno 1191.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. XXXII.
[lxxi] “In fatti essendosi nel luogo della medesima detto Fiore stabilito nel secolo XII il celebre Abate Gioacchino, ed essendosi perciò incominciato ad inquirere contro di lui come occupatore, dovette egli ricorrere a Tancredi allora Regnante, il quale ordinò, che non fosse stato molestato per la sede che aveva occupata nella Regia Sila, e che gli fossero date inoltre cinquecento salme di grano ogni anno delle decime fiscali.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 4.
[lxxii] Di questo documento che si conserva in una copia del 10 ottobre 1734, esiste anche una “copia coeva sec. XIII” presso l’Archivio Arcivescovile di Cosenza. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 009-010.
[lxxiii] Fabre M. P., Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine, I, Parigi 1889, p. 22.
[lxxiv] “Questa Colonia fu situata nel luogo detto Albaneto di Fiore, e fu dedicata a San Giovambattista, donde trasse il nome di S. Giovanni in Fiore.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 22.
[lxxv] De Leo P., Documenti cit., pp. 226-227; Ughelli IX, coll. 197.
[lxxvi] De Leo P., Documenti cit., pp. 18-19.
[lxxvii] Il “Fiume di Capoalbo, seu Bufalo”, “che si unisce col corso, che fa il Vallone del Melillo”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 353. La difesa di “Capalbo Soprano”, confinava con la difesa di “Capalbo Sottano, i territorii de’ Casali di Cosenza, ed altri confini”, tra cui “la via pubblica che va a Rijo, e viene alla Cona della Sella alla Cresta, ed alla via della Cresta che va a S. Giovanni in Fiore”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, pp. 174 e 176.
[lxxviii] Alla fine del Settecento, la difesa detta di “Buonoligno” posta nel territorio della badia di San Giovanni in Fiore, risultava limitata: ad occidente dal fiume “Garga”, che la divideva dalla difesa di “Serralonga”, a settentrione dalle “terre di Iacoja”, ad oriente dalla difesa detta “Serra della Piraina”, ed a meridione dalla “Difesa dell’Abate” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, pp. 95-96), che limitava “co’ fiumi Albo e Neto” e con la difesa “Ferolia” (Ibidem, p. 143). Sappiamo ancora, che la difesa di “Iacoia Prima”, confinava con “Buonoligno” dell’abbate commendatario di S. Giovanni in Fiore, “da cui è separata dall’acquaro”, “colla via pubblica, e colla Difesola dell’Annunziata di detta terra” (Ibidem, p. 168). La difesa detta “Serra Longa” confinava, invece, con la difesa “Fiorevetere, da cui risultava divisa dal fiume Albo”, con “Buonoligno” dell’abbate commendatario di San Giovanni in Fiore, “da cui è divisa dal fiume Garga”, e con la “Vicendella” di Petronilla Ippolito (Ibidem, p. 263). La difesa “Vicendella di Iacoja” confinava con Iacoja di D. Fabrizio Olivieri e la via pubblica (Ibidem, p. 294).
[lxxix] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 011-013.
[lxxx] De Leo P., Documenti cit., pp. 221-225; Ughelli IX, coll. 198-200.
[lxxxi] “ITEM longo tempo è che è stata differentia tra li ditti Casali et le terre del contato de Cariati et altre convicine, maxime Cerentia et Caccuri sopra li confini de loro territorii sopra che luna et laltra parte ce faceano curreria de bestiamo con morte de homini pigliando le arme con molti pericoli et essendo molto litigio innanti Messer Lois llul. tunc Vicerre per evitare li evidentissimi scandali et arme declarao l’una et laltra parte pasculasse li lochi dela differentia finche la causa se terminasse per iustitia, et cossi longo tempo si observao : venuto il Re de Franza se persero li atti et scripture, et quelle terre tornano ad currere supplicano V.S.I. se degni provedere, ordinando al Vicere dela provintia che intimi ad quelle terre con formidabile pena, che non procedano ad pigliare ne currere in ditto loco de differentia, ma permittano comunemente pascularce l’una et laltra parte pacificamente, altramente sia lecito ad essi Casali andare ad currere et defensarse con lo Capitaneo ad guerra armata manu, excusandose ad V.S.I. de quello ce porria succedere. GUBERNATOR provintialis constito sibi ut exponitur per Summariam informationem provideat, quod servetur iuxta solitum, donec bene informatus de causa principali partibus auditis inearum iuribus faciat iusticiam.” (Cancro M., cit., p. 73v).
[lxxxii] “ITEM sa la Illustrissima S. Vostra lo contato de Cariati et altre terre se rebellorno reducendosi allo asserto Principe de Rossano dove se assentaro alcuni Homini deli Casali fandosi foressiti, et deviando da la fidelita de loro alteze sequitando le parte et bandere francese, et non loro bastando questo predarono furarono et pigliarono li bestiame et le robe de li homini deli ditti Casali li quali stavano constantemente in la fedelita de loro Maiestati, supplicano V.S.I. li piaza ordinare che ditti homini del contato et altra terra che intado era inimica et li foressiti de ditti Casali siano constritti realiter et personaliter ad restituire ditto bestiamo et roba alli homini de ditti Casali senza rescatto ne pagamento alcuno si extant, et si non se trovassero lo loro prezo con li proventi perceputi, et che se havessero possute percipere, che non è iusto che gaudano dele robe de li fideli de loro Maiestati quelli che sequitando le bandere Franzese le pigliarono commitendo ditta causa deli homini del contato et altre terre al Vicerre dela provintia procedendo summarie simpliciter et de plano extra iudicialiter levato velo omnibus oppositionibus exceptionibus, appellationibus remotis sed sola fatti veritate attenta non obstantibus privilegiis primarum et secundarum causarum in hoc casu in odium rebellium et fidelium favorem. FIANT provisiones in forma.” (Cancro M., cit., pp. 73v-74).
[lxxxiii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 228-229. Russo F., Regesto I, 521.
[lxxxiv] 01.09.1203. “(Luacae) Archiepiscopo et Capitulo Cusentinis praecipit ut abbati et conventui de Flore locum Botram in concabium assignent.” Russo F., Regesto I, 526.
[lxxxv] 04.06.1204. “Canonicis Cusentinis mandat, ut permutationem ecclesiae de Botrano, quam cum pertinentiis suis (Lucas), archiepiscopus Cusentinus, abbati et fratribus Florensis manasterii assignaverat, consensum praebeant.” Russo F., Regesto I, 531.
[lxxxvi] 04.06.1204. “Cives Cusentinos exhortatur, instent canonicis Cusentinis, ut praedictae commutationi assensum praebeant.” Russo F., Regesto I, 532.
[lxxxvii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 230-233. Russo F., Regesto I, 533.
[lxxxviii] “Incipit in flumine quod dicitur Loric(a) et vadit a meridie via publica per Vallembonam usque ad flumen Argentiol(um) et transit per eandem viam ad rivum, qui dicitur Cassand(rella) et inde vadit usque ad Maclam de Aren(a) et tendit per nemus usque ad Maclam de Aren(a). A parte autem orientis ascendit a predicta Macla de Arena et tendit per nemus usque ad Serram, que dicitur sancti Angeli et ferit ad cristas, que dividunt Mesocampum et Trang(iam) et descendit in directum ad flumen Garg(am), in dicricto ipsius fluminis per caput Maclarum et inde, transito flumen Garg(a) per directum ascendit ad cacumen montis et inde descendit recte usque ad flumen Net(i) et ab aquilone ascendit ipse fluvius usque ad vadum Castelli de Sclavis et ab occidente revertitur via publica per Trigiam et per petram Caroli Magni et per Serram de Grimald(o), usque ad predictum fluvium Lorice, concludit in priore fine.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. 232.
[lxxxix] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. 229.
[xc] Il toponimo “le Macchie di Tancredi” è riportato nella Carta 1:125.000 del TCI (1928).
[xci] “locum ipsum Botranum cum ecclesiis Sancti Nicolai et Sancti Angeli, et aliis omnibus suis pertinentiis, sicut vobis est ab eisdem archiepiscopo et canonicis assignatus; locum Floris cum pertinentiis suis; locum, qui dicitur Calosuber cum pertinentiis suis; locum qui dicitur Fara Clomitus, et alium locum, qui dicitur Semigari cum suis pertinentiis; locum qui dicitur Eremita cum suis pertinentiis; locus qui dicitur Campus de Manna cum alio loco, qui dicitur Missi, cum omnibus pertinentiis suis; locum, qui dicitur Gimellaria, cum omnibus pertinentiis suis; tenimenta de Garga; tenimenta de Fragullis, de Tassetan(o) et de Caput Rose, cum omnibus pertinentiis suis; terras laboratorias, pascua, silvas, aquas, et quicquid contingit a flumine, quod dicitur Lorica, et vadit per viam publicam a parte occidentali usque ad Serraticum, et descendit per ipsam viam usque ad flumen Sabuti, et ascendit per ipsum flumen usque ad fontem, et vadit inde terminus usque ad flumen Ampulini, quod est a meridie, et descendit ispum flumen usque ad eum locum, ubi iungitur cum flumine Neto, et ascendit per ipsum flumen usque ad Serram, que respicit Gimellara et est in finaita monasterii Sancti Trispedii a parte orientis, et inde vadit terminus per fines monasterii abbatis Marci, usque ad viam que venit a Cherentea, et vadit per porticum, que videlicet via manet in confinio a parte aquilonis usque ad locum, qui dicitur Frassinetum, ex quo loco ascendit terminus per flumen Netum, et ascendit per ipsum flumen usque ad eum locum, qui respicit ad cristas, ubi dicitur Tria Capita, et vadit in directum ad Cristas, que dividunt Mesocampum et Fragulum, et vadit ad Serram, que dicitur Sancti Angeli, et descendit ad viam publicam, ubi dicitur Maccla de Arena, et vadit per ipsam viam de Vallebona, et concludit in priore fine”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 239-241. Russo F., Regesto I, 537.
[xcii] “Privilegium Federici regis Siciliae confirmationis omnium privilegiorum abbatiae et signanter novae concessionis tenimenti, quod dicitur Bajrani, in anno 1206 etiam ostendens Florensis monasterii constructionem ab Henrico VI et Constantia Federici II genitoribus factam fuisse.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. XVIII.
[xciii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 025-026. Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1852, Tomo I pars I, pp. 120-121.
[xciv] “Bulla Innocentii papae III, qua recepit monasterium eiusque bona temporalia et mundana sub sua et apostolica protectione. Expedita: Laterani, idibus maii, pontificatus sui anno X, 1207.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. XXIV.
[xcv] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. 027.
[xcvi] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 239-241; Russo F., Regesto I, 537.
[xcvii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 029-031.
[xcviii] Secondo il Napolitano, questo sito, “delimitato dalle contrade Patacchella, Repulicchio e Parpusa”, risulterebbe identificato “a oltre 900 metri di altitudine, sul versante orientale di monte Gimmella” e sarebbe da riconoscersi “non lontano dal «Vallone di Lepore»”, “in luogo ancor oggi detto Petramarca”. Napolitano R., S. Giovanni in Fiore Monastica e Civica, volume primo, Napoli 1981, p. 137.
[xcix] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 035-038.
[c] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 073-076.
[ci] Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 500-501.
[cii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 088-089.
[ciii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 099-101 e 102-103.
[civ] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 123-130.
[cv] “… il Romitorio di S. Maria della Paganella … ed il Romitorio è posto nel sito dell’antico Monastero di Santa Maria Trium Puerorum.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 18. “… strada, che va a S. Maria trium Puerorum …” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 76. “E seguitando più avanti, si giunge alla detta Chiesa di S. Maria trium Puerorum, oggi detta Badia della Paganella, quale sta dentro la Sila.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 79.
[cvi] “… fiume d.o Ampolino, e discende Secondo và detto fiume finche Si unisce col fiume di Neto, e Saglie in Sù con l’istesso fiume di Neto, finche arriva al termine, che esce à Borga negra, e passando per detta Borga negra Saglie per la via vecchia delle Chiave (sic, ma Caria) Secondo li fini dell’Abbazia detta Sanctorum trium puerorum, e Seguitando la via per acqua fredda, e per la Stanzata (sic, ma scansata) delle fontane[lle] esce alle d.e Abbate Marco, dove prima era il Territorio dell’Abbate Marco, …” (ASCS, Corporazioni Religiose, B. 8, Vol. 89, f. 4v).
[cvii] “Item li eredi de Dattilo Ieso teneno dalo dicto Monasterio in loco dicto sopra le Fontanelle tumulate de Terre circa septe, confinate dele Terre de dicto Donno Gratiano, et la via publica, …”. “Il R.s D. filippo di Luca di Caccurri … e più un Capo di Terreno Sotto le timpe delle fontanelle confina circum circa la via publica, ed altri fini, …” (ASCS, Corporazioni Religiose, cit., f. 66). “Si eccettua una quantità di terra, che possiede nella detta montagna l’Abbazia della Paganella, quale non paga il mezzo Terraggio, cominciando dalla Scanzala tira verso Ponente per la via via, che và à S. Gio: in fiore, …” (ASCS, Corporazioni Religiose, cit., ff. 24-24v).
[cviii] “Dal detto luogo di Porto il limite della Sila va per la medesima strada camminando verso la Chiesa di S. Maria trium Puerorum, lasciando alla destra le Fontanelle, e la sinistra il luogo detto Guido si giunge dove la strada che viene da S. Giovanni in Fiore va verso Caccuri, all’incontro della quale per ordine del Presidente Valero nell’anno 1663 si pose un termine segnato col n.° 44, e propriamente dove detta strada fa trivio nel luogo detto sopra la Cerza del Quarto.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 78.
[cix] “Attraversando il Vallone del Lepore si arriva al Vallone dell’Abate Marco, dove erano molti piedi di castagne antiche che stavano alla destra del Cammino nella falda della collina, ed a sinistra in un poco di Piano vi sono li vestigj del Monistero detto dell’Abate Marco. In questo luogo vicino la strada per ordine del Presidente Valero nell’anno 1663 fu posto un termine, che fu segnato col n.° 42. (…) Nell’anno 1755 appena se ne ritrovò il vestigio, né si ritrovarono le reliquie del monastero dell’Abate Marco, né gli alberi delle castagne che vi erano negli anni 1663 e 1721”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 76-77.
[cx] “Li eredi de Cesare Perito Striba teneno supra li Castagni de Abbati Marco da circa tumulati quattro de Terre lavoratorie, et so confinate de la via publica, che va allo Circhiaro, et la via, che va ad San Ioanne.” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., f. 90). “Cerchiara” Foglio N.o 561 S. Giovanni in Fiore, 1:50.000.
[cxi] “Item Cesare de venturo tene de lo stesso Monasterio in loco dicto le Serre de lo Circhiaro da circa tumulate de Terre quindeci, confinate verso scirocco la via che veneno li Consentini, la via publica, verso Ponente uno cavone siccagno, …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, Libri maggiori e platee, busta 78/I, f. 58v).
[cxii] “Item Natale Purelle tene da lo dicto Monasterio in le dicte Montagne in loco dicto in capo lepore, da circa tumulate quattro de Terre, confinate … verso Tramontana la via che va allo circhiaro …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., f. 47v). “Evangelista de antriccoli, cum Venetio, et Neapoli de Andrucoli sui nepoti tenia in loco dicto dove nasce l’acqua de lepori da circa tumulate sedeci di T(er)re lavoratorie confinate verso borea la via publica, verso scirocco l’acqua de lepore, …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., f. 89).
[cxiii] ASCS, Corporazioni Religiose, cit., f. 4v.
[cxiv] “… alla strada pubblica, che dalla terra di Cerenzia va verso S. Giovanni in Fiore, vicino la quale, e proprio dove si dice in piedi l’Acqua della Stragola si pose per ordine del Presidente Valero nell’anno 1663 un termine segnato col n.° 40.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 75. “… la Calcara della Stragola, ch’è nell’angolo tra la via, che passa per li descritti luoghi, e la via che viene da Cerenzia; …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 18.
[cxv] “… e per alcuni dubbi se il luogo detto la Gradia Sottana doveva essere compreso nel Territorio Badiale, o in quello di Cerenzia, …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 129.
[cxvi] “Lo q:m Iacubo Calvella tenia in loco dicto supra la via de la Staula da circa cinque tumulati di Terre lavoratorie, confinati de la via publica verso borea, verso levante la via che veneno li Cosentini, …”. “Li eredi de Antonello Crissune teneno in loco dicto la Staula da circa tumulati dudece de Terre lavoratorie, confinati de la via publica, …”. “Li eredi di Ioannello Muto teneno in dicto loco da circa tumulati sei de Terre lavoratorie confinati de la via publica verso Ponente, …”. “Donno Evangelista Perito tene in dicto loco da circa tre tumulate de Terre lavoratorie, et confinate de la via publica, …”. “Antonio Cosentino tenia in dicto loco da circa due tumulate, et meza de Terre confinati … et de la via publica, et verso scirocco l’acqua de la Staula, …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., ff. 89-90). “… fiume d.o Ampolino, e discende Secondo và detto fiume finche Si unisce col fiume di Neto, e Saglie in Sù con l’istesso fiume di Neto, finche arriva al termine, che esce à Borga negra, e passando per detta Borga negra Saglie per la via vecchia delle Chiave (sic, ma Caria) Secondo li fini dell’Abbazia detta Sanctorum trium puerorum, e Seguitando la via per acqua fredda, e per la Stanzata (sic, ma scansata) delle fontane[lle] esce alle d.e Abbate Marco, dove prima era il Territorio dell’Abbate Marco, Sino alla via che viene della Città di Cosenza loco detta la Calcara della Staula, e la via dove ci è un termine, che fere alla Colla dell’Aritara e poi per la via, che và verso Calamidea, finche Si arriva alla Colla Sottana della Gradia, e dalla Colla in giù verso tramontana Scende alla fiumarella delle sole Cosid.o la macchia delle fave, e colla fiumarella in giù Sino, che arriva al fiume di losa (sic, ma Iole), dov’è la Chiesa di Cravia, …” (ASCS, Corporazioni Religiose, cit., f. 4v). “L’Abbate di S. Gio in fiore dentro il Suo Territorio tiene una Continenza di montagna detta delli Communi, …”. “Comincia la detta montagna dal fiume di neto, e proprio nel luogo, che Si dice Burganessa, (sic, ma Burganegra) e tira in Sù per la via Vecchia, che passa Sotto la Vigna del monastero della Paganella, e poi Saglie alle Chiate (sic) Secondo vanno li fini della d.a Abbazia della Paganella d.a Santa maria Sanctorum trium Puerorum, e Seguitando per la via via per l’acqua fredda, e per la Scancala (sic, ma scansata) delle fontanelle esce alle Castagne d.e dell’Abb.te marco per la via via finche Si trova la Strada, che viene dalla Città di Cosenza loco detto la Calcara della Sta[ula] e Seguitando l’istessa via via, dove è un termine che fere alla Colla dell’Anstona (sic, ma Aritara), e poi per la via via che và verso la Calancidea (sic, ma Calamidea) finche arriva alla Colla Sottana della Gradia, … e per il fiume in giù, finche ritorna à burga negra, di dove incomincia il primo termine di detta montagna.” (ASCS, Corporazioni Religiose, cit., ff. 23-23v).
[cxvii] “Vall.e di Jole”. Tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.
[cxviii] F.o 237 S. Giovanni in Fiore, 1:100.000, 1927.
[cxix] Foglio N.o 561 S. Giovanni in Fiore, 1:50.000.
[cxx] “… Sino alla via che viene della Città di Cosenza loco detta la Calcara della Staula, e la via dove ci è un termine, che fere alla Colla dell’Aritara e poi per la via, che và verso Calamidea, finche Si arriva alla Colla Sottana della Gradia, e dalla Colla in giù verso tramontana Scende alla fiumarella delle sole Cosid.o la macchia delle fave, e colla fiumarella in giù Sino, che arriva al fiume di losa (sic, ma Iole), dov’è la Chiesa di Cravia, …” (ASCS, Corporazioni Religiose, cit., f. 4v).
[cxxi] “Ab.te Marco di Cravia”. Tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.
[cxxii] “Chiesa di S. Marco di Clavia. Dal detto luogo del Perdice il limite della Sila traversa la suddetta Fiumarella di Jole, e per la falda della Difesa di Calamodea arriva nella Chiesa di S. Marco di Clavia, vicino la quale si pose nel 1663 per ordine del Presidente Valero un termine triangolare segnato col n.° 36.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 72.
[cxxiii] Il toponimo “Ep.o di S. Lorenzo” compare nella Tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni. I toponimi “Agraria” e “B. S. Lorenzo” sono riportati nel F.o 237 S. Giovanni in Fiore, 1:100.000, 1927, mentre il toponimo “S. Lorenzo” si ritrova nel Foglio N.o 561 S. Giovanni in Fiore, 1:50.000.
[cxxiv] “Item la erede de Paulo de Angelo tene da lo dicto Monasterio in loco dicto supra l’acqua de Lausino da circa sei tumulate de Terre, et nce ne so tre triste confinate de la via, che va alla gradia, et de le Terre de Minico Crissune, …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., f. 62v). “Le Terre q.ale Teniano li eredi de Ioancola macri, et Ioannello de lo Guasto in due partite An gilo Rinaldo baptista Pilato, Geronimo de Sara, Domenico de Sara, Mundillo de buglio et li eredi de Francesco de buglio, in loco dicto la Gradia, confinati tutti le dicti partiti de quisto Confini V(idelicet) verso Ponente le Terre de Cola de Facio, et distendi lo Gravastone adirto, et fere alla Cruce de Arduino, et la via via, che vene in Caccuri, et conclude alle Terre, che tenia Cola de Facio …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., f. 94v). “Le Terre, che forono de Cola di Facio in lo dicto loco de la Gradia, … et la via publica, …”. “Le Terre, che tenia Ioannello de lo Guasto in loco dicto la Gradia, quali so una tumulata, et meza, … confinati de la via publica, …”. “Le Terre, che tenia Girolamo de Sara in dicto loco, … confinate de la via publica, et l’acqua de Scanona, …” a margine: “Gradia”. “… in lo dicto loco de la Gradia, et avemo trovato como li eredi de Carlo Piluso, et Pelegrino Piluso, et m(as)tro Ottaviano Castillo teneno le Terre, che foro di Cola Piluso, … confinate in questo modo V(idelicet) da la retara de la Gradia, et la via publica de la Gradia, che va ad Cravia, … et fere allo vallone de Scavona, …” (ASN, Real Militare Ordine Costantiniano, cit., ff. 86-88). “… alla Crocevia di Arduino nell’angolo che due strade, una delle quali viene da S. Marco di Clavia, e l’altra va al Colle della Giumenta …”. “E seguitando per detta Strada si passa per la Serra della Gradia e si arriva alla Serra di Laurenzana” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 73-74.
[cxxv] Valente G., La Sila datta transazione alla riforma (1687-1950), Rossano 1990.
[cxxvi] “… verso l’oriente in cui si trova il Feudo di Cerenzia vi sono i luoghi nominati Orto della Menta, San Nicola di Perdice, e Via di Laurenzana, o sia Lenzana, e per tradizione degli antichi e pratici di detti luoghi sapevano essere li medesimi confini tra la Regia Sila ed il suddetto Feudo di Cerenzia, e che da’ medesimi luoghi fino a quelli dove erano stati situati i Pilastri nominati S. Marco di Clavia, Crocevia di Arduino, e Colle della Giumenta, che dividevano il Feudo di Cerenzia dalla Regia Sila, vi era un’estensione di molto territorio:” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 128.
[cxxvii] De Leo P., Documenti cit., pp. 99-101, 102-103, 123-130.
[cxxviii] In questo periodo, la distinzione tra Calabria e Valle Crati, continua a ricorrere sia implicitamente (“per totam Calabriam”, De Leo P., Documenti cit., p. 86), che in maniera esplicita (“Universis Calabriae et Vallis Gratis archiepiscopis, episcopis, comitibus”, Ibidem, p. 87.).
[cxxix] De Leo P., Documenti cit., pp. 92-93.
[cxxx] De Leo P., Documenti cit., pp. 104-105.
[cxxxi] “Incipit a vado fluminis Neti quod est subtus castellum de Sclavis et vadit per viam publicam usque ad ecclesiam Sancti Nicolai de Trigia et ascendit in directum ad serram Trium Capitum et ascendit in directum ad aream picatam et inde ad flumen Neti et ascendit flumen usque ad vadum predictum quod est subtus castellum de Sclavis et concludit.” Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1852, Tomo II pars I p. 363.
[cxxxii] Huillard-Bréholles J.L.A., Historia Diplomatica Friderici Secundi, Parigi 1852, Tomo II pars I pp. 361-364.
[cxxxiii] Giugno 1222: “tenimentum in Sila Calabriae, in qua eorum monasterium situm est” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 099-101 e 102-103). 28 gennaio 1233: si ricorda la fondazione del monastero Florense “in Sila Calabriae” (Ibidem, pp. 123-130).
[cxxxiv] Ughelli F., Italia Sacra, t. IX, coll. 476-478.
[cxxxv] Il documento conservato all’Archivio Arcivescovile di Santa Severina, ma senza segnatura, risulta attualmente tra quelli in attesa di restauro.
[cxxxvi] Alla fine del Settecento, il regio demanio denominato “Ambolino o sia Verberano”, risultava distinto in due parti: la prima detta “Comune di Verberano”, che confinava “col Territorio Badiale di S. Giovanni in Fiore mediante il Fiume Ambolino, e dalla parte opposta con due Difese, una detta Razzella, e l’altra lo Tassito”, la seconda chiamata “Comune di Ambolino”, confinante con il detto fiume, “cominciando dal Varco sempre salendo” e con la “Difesa del Tassito”, con “le Macchie di Razzella”, giungendo così alla “Difesa di Verberano”. Si testimoniava comunque che, trentacinque anni prima, detto comune oltrepassava il detto “Varco del Fiume Ambolino verso li Cotronei”, estendendosi fino a “Pantano primitivo” andando “via via, e fiume fiume” in quanto dall’altra parte del detto fiume “a sinistra del Corso dell’acqua è Comune Badiale di S. Giovanni in Fiore”. Con lo stesso nome di “Ambolino e Verberano” si distingueva un altro regio comune posseduto dall’abbate commendatario di San Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 196-197. “Ambolino”: terra comune ovvero corsa nel territorio della badia di S. Giovanni in Fiore. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 39.
[cxxxvii] De Leo P., Documenti cit., pp. XX, XXIV, XXXIII, 146-147, 152-154, 155-157, 158-160.
[cxxxviii] 24 dicembre 1333. “tenimentum, seu territorium Silae de ducatu Calabriae” (De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 170-172).
[cxxxix] Cancro M., cit., p. 55v.
[cxl] 7 agosto 1538, XI indizione, Cosenza. Davanti al notaro al giudice e ai testi sottoscritti, si costituiva da una parte, Joannes Antonio de Valente di Pedace, mentre dall’altra, comparivano il nobile Benedicto Lambertino assieme a Petro de Iudice Guidone di Pedace, “principalis arrendatores difense dicte de Campo de mano posite in tenim.to Silve Cosentie”. I detti Benedicto e Petro asserivano che, durante l’annata precedente della X indizione 1537, avevano affittato al detto Joannes Antonio la detta difesa per anni tre. ASCS, notaio Napoli di Macchia vol. 11-12, 1537, ff. 122-122v.
[cxli] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 3-4.
[cxlii] ASCZ, Notaio G. M. Guidacciro, Busta 182 prot. 804, ff. 170-173.
[cxliii] Cancro M., Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maieta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557.
[cxliv] Capasso B., Sul Catalogo dei Feudi e dei Feudatari delle Provincie Napoletane sotto la Dominazione Normanna, Napoli 1868, pp. 302-303 e nota 4.
[cxlv] Estremi Cronologici sec. XIV-1333-1334. Regesto: fol 373, “La Sila Cosentina (Sylva Brettia) che prima teneasi in suffeudo da Guglielmo Lombardo di Rende, e poscia per di lui fellonia toltagli nel 1292 dal Conte Roberto d’Artois capitan generale del regno che diella a Leone del giudice Gualtieri di Cosenza; fu in quest’anno dal Re Roberto conceduta in feudo a Michele de Cantone di Messina, milite e maestro Razionale della Regia Curia: salvo però a dover costui corrispondere annualmente all’Arcivescovo pro tempore di Cosenza le solite decime pel possedimento di detta Sila. Ex regest. An 1333-1334 lit. D fol. 7. ASRC, Super fondo Raccolte e Miscellanee, fondo Blasco Salvatore, in ASMM, www.archividelmediterraneo.org.
[cxlvi] Cancro M., cit., p. 113.
[cxlvii] Cancro M., cit., p. 113v.
[cxlviii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 48-49.
[cxlix] “Salendo poi il detto Vallone di Melisa si arriva nella cima della Montagna, dove è la strada pubblica, che va verso Longobucco” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 55). “Da detta Pietra di altare cammina il limite della Sila calando per la strada che va a Longobucco sino al Fiume Lamanno” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 58).
[cl] “Che detta Pietra di Altare assegnata da’ Cosentini, secondo la confinazione fatta da’ medesimi alle Timpe Rosse si trova per mezzo a due Strade, una, che va a Cosenza, e l’altra a S. Giovanni in Fiore, ed altre Terre, …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 146.
[cli] “Dal congiungimento di detto Fiume Moccone con quello di Ponticella si sale per detto Fiume di Moccone, sino ad arrivare dove il Fiume di Melisa si unisce con esso. E seguitando per detto Fiume di Melisa si giunge nel luogo dove la strada pubblica, che viene da Corigliano ed altri luoghi attraverso detto fiume, e va verso S. Giovanni di Paliati” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 54). La “strada pubblica, che va a’ Corigliano” è richiamata tra i confini del comune di “Acqua Calda”, assieme alla “Difesa di Cupone”, la “Fiumara di Cicita”, e le “coste nominate di S. Giovanni di Paliati” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 191-192).
[clii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume II, Napoli 1866, p. 329.
[cliii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 298.
[cliv] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 321.
[clv] “… il governo possedeva nella Sila solamente le camere riservate di Gallopano, Carlo Magno e Luparella … destinate per lo taglio degli alberi da costruzione, e per la così detta Carrea ai rispettivi littorali del Regno …”. Marini C., La Selva Bruzia, 1844, Ed. Orizzonti Meridionali 1995, p. 46.
[clvi] “Vallone d’Afari, dov’è il luogo, che sta accosto la strada, che dalla terra di Bocchiglieri va dentro la Sila” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 62).
[clvii] “Serra della Minera. … proprio sotto la cima di detta Serra, vicino la strada, che da Bocchigliero va a Savella.” “… a destra della descritta strada nel luogo chiamato Irto del Ferro” (Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 67).
[clviii] “… verso l’oriente in cui si trova il Feudo di Cerenzia vi sono i luoghi nominati Orto della Menta, San Nicola di Perdice, e Via di Laurenzana, o sia Lenzana, e per tradizione degli antichi e pratici di detti luoghi sapevano essere li medesimi confini tra la Regia Sila ed il suddetto Feudo di Cerenzia, e che da’ medesimi luoghi fino a quelli dove erano stati situati i Pilastri nominati S. Marco di Clavia, Crocevia di Arduino, e Colle della Giumenta, che dividevano il Feudo di Cerenzia dalla Regia Sila, vi era un’estensione di molto territorio:” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 128.
[clix] “E seguitando per detta Strada si passa per la Serra della Gradia e si arriva alla Serra di Laurenzana” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 74.
[clx] “Dal detto luogo di Porto il limite della Sila va per la medesima strada camminando verso la Chiesa di S. Maria trium Puerorum, lasciando alla destra le Fontanelle, e la sinistra il luogo detto Guido si giunge dove la strada che viene da S. Giovanni in Fiore va verso Caccuri, all’incontro della quale per ordine del Presidente Valero nell’anno 1663 si pose un termine segnato col n.° 44, e propriamente dove detta strada fa trivio nel luogo detto sopra la Cerza del Quarto.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 78.
[clxi] “… nel luogo di Uomo Morto di Policastro, che è sopra la Serra di Cosenza, dove è la strada, che va a Policastro …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 84.
[clxii] “… Pietra Irta sta fra due pini vicino la strada, che dal Cariglione si va a Policastro, …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 86. Il regio demanio di “Principe” che cominciava dallo “Spuntone di Pietra Erta”, confinava “alla strada Regia del Gariglione”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 412.
[clxiii] “E da detta si cala pel Vallone corrente fino al Fiume di Crocchia, e si ascende alla pietra di Diacono, oggi chiamata del Rovazzo, quale pietra sta vicino ed è alla sinistra della strada, che da dentro la Sila va verso Zagarise.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 95-96.
[clxiv] “Da detto termine fatto in detta Serra di Piro si cala per essa fino ad arrivare alla strada pubblica, che da dentro la Sila va verso Nicastro …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 105.
[clxv] “Serra di Piro” e “Vivolo” (Foglio N. 569 Soveria Mannelli scala 1:50.000).
[clxvi] “… seguita il limite della Sila per sopra la cima della Serra di Piro … e passando più avanti si giunge al Faio scritto, dove finisce la Provincia di Calabria Ultra, e si entra nella Citra.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 103.
[clxvii] Cancro M., cit., p. 113v.
[clxviii] “… e da detta Serra di Bibolo resta lo spazio di miglia 20 fino al fiume Arente primo termine di detta Sila, dove detto privilegio non fa menzione di altro termine; ed in questa distanza vi sono li Casali di Cosenza, i quali forse servivano di termine alla Sila.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 106-107.
[clxix] “ITEM supplicano sua Maiesta Ces. acteso molti citatini haveno occupate le montagne publice, in le quale erano arbori che serviano per lo benefitio de essa Citta et Casali de legna, travi, et altri ornamenti, et similiter del regio castello de ditta Città, che la prefata Maiesta se degni, che per lo prefato gubernatore dela provintia se emane banno penale, che qualsivoglia che have occupato et aperto montagne et terreni del publico prefato, per sette miglia vicino ditti Casali debea relaxare ditti terreni, et quelli non coltivare per modo alcuno azio vengano ad restare ditte montagne per lo benefitio regio et universale, et che de cetero nesciuno ne habea da aperire, et aprendole, sia licito ad ogni persona de ditta Città et Casali propria auctoritate et de fatto destruirle. PLACET Regie Maiestati pro bono publico dicte Civitatis et Casalium.” (Cancro M., cit. p. 94v).
[clxx] “Coll’andar del tempo, e sino all’anno 1663 quando fu destinato alla Regia Sila il Presidente Valero essendosi trovato in pregiudizio della Regia Corte la distanza, che si frapponeva da un pilastro all’altro, e quella di miglia venti, che rimaneva senza termini dalla Serra di Bibolo sino al fiume Arente, si stimò da quel Ministro situarne altri settanta, parte intermedj a’ ventisette precedenti e parte nello spazio di miglia venti per revindicare le occupazioni che dalla Serra di Bibolo sino al fiume Arente si erano commesse dagli abitanti de’ Casali di Cosenza, che vi confinavano, e porre un freno affinché se ne fossero astenuti in avvenire, e si servì dell’opera dell’Ingegnere Antonio Gallucci.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 43.
[clxxi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 44. “Ed essendosi conosciuto dal Presidente Valero nel 1663 che dalla Serra di Bibolo fino ad Arente per la distanza di miglia 20 che vi si frappone, si commettevano continuamente occupazioni in danno della Regia Corte; col riscontro del privilegio del Re Roberto fece aggiungere pel detto spazio dieci altri termini, e poi nel 1721 dal Presidente Mercader ne furono aumentati altri undici, quali uniti a quelli, che furono aumentati nel 1755 formano in tutto n. 109 pilastri, ossia termini, come si è detto di sopra, i quali circoscrivono la Regia Sila.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 107.
[clxxii] Dal “96.° Termine. Sotto la Torre delli Favati” al “109.° Termine. Crocevia di Acqua fredda.”, i termini della Regia Sila erano posti lungo il confine con i “territorii de’ Casali di Cosenza”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 107-115.
[clxxiii] “Dioecesis Cusentina continet oppida quadraginta, pagos quinquaginta sex, partim Regi, partim Dynastis subjectos, qui in viginti duas Praeturas, seu corpora sunt distributi”. Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 186. “Dioecesis Cusentina per longitudinem protrabitur ad duas dietas, et ad unam per latitudinem. In ea sunt Ballivae, quos vocant, seu Praetoriae civitates 21” Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 188. “Et hac est jurisdictio Cusentini Archipraesulis, cuius sacrum regimen habet sub se tres civitates, videlicet: Cusentiam, Montemaltum, et Paulam, Ballivas, seu Praetorias 21, in quibus sunt Casalia, seu pagi, vel castra 73.” Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 190.
[clxxiv] Minieri Riccio C., Notizie Storiche tratte da 62 Registri Angioini dell’Archivio di Stato di Napoli, 1877.
[clxxv] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), in www.archiviostoricocrotone.it
[clxxvi] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), in wwwarchiviostoricocrotone.it
[clxxvii] ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 240v.
[clxxviii] ACA, Cancillería, Reg. 2904, ff. 241r.
[clxxix] ACA, Cancillería, Reg. 2902, ff. 20v-21r.
[clxxx] 2 novembre 1444, Castrovillari. Alfonso I confermava al nobile Philippo Jacobo de Casulis de Cosenza, la concessione delle “baiulationum Sciglyani mocte s(an)cte lucie grimaldi Altilie maleti Crepesseti et dipignyani pertin.rum Civitatem Cusenciae”, per un certo tempo detenute da Antonio de Ventimiliis alias de Centelles, “occupatores dictarum t(er)rarum castrorum seu locorum”. ACA, Cancillería, Reg. 2907, ff. 10r-11r.
[clxxxi] 9 novembre 1444, “in Castris n(ost)ris felicibus prope terram n(ost)ram Ypsigri”. Alfonso I, approvava i capitoli della terra di “Xigliani”, dove troviamo: “In primis pete la dicta universita et li homini d(e)la t(er)ra de Xigliano sempre conservarese et essere conservata in demanio como tutte le autre t(er)re demaniali et sempre essere unanimie con la Cita de Cusencia et d(e)li Casali como e stato sempre per lo tempo passato”. ACA, Cancillería, Reg. 2903, ff. 171r-172v.
[clxxxii] 5 novembre 1527, I indizione, “in aula sedilis Civ.is cosentiae”, in presenza del mag.s Sigismondo Caputo, mastrogiurato e luogotenente della detta città, furono congregati il mag.o Antonello Barono e Joannes de Pantusa sindaci della detta città, gli eletti sottoscritti, “et alii vocati in dicto regim.to et parlam.to jmpre(se)ntia subscripti magistri jurati et sindaci casalium Civ.is Cos.e”. Per quanto riguarda questi ultimi, furono presenti quelli di: “castigloni”, “lappano”, “Zumpano”, “rovito”, “Celici”, “sp(etia)ni magni”, “sp(etia)ni piccoli”, “pedaci”, “pet.a ficta”, “aprigliano”, “figline”, “mangoni”, “carpanzano”, “grimaldo”, “paterno”, “dip(inia)no” e “li dopnici”. ASCS, Notaio Napoli di Macchia vol. 7-8 (1533-34), ff. 285-285v.
[clxxxiii] Rende P., La formazione del territorio Crotonese: dalla “chora” dei Brettii ribelli fino alle “terre” del “Marchesato” (sec. I-XIV), www.archiviostoricocrotone.it
[clxxxiv] Un atto del 1091, specifica l’appartenenza del luogo in cui si trovava il monastero di S. Adriano: “quod positum est in Calabria in pertinentiis Rossani”. Trinchera F., Syllabus cit., p. 68 n. LII. Il monastero greco di Santa Maria della Nuova Odigitria, detta Santa Maria del Patir, fu fondato in diocesi di Rossano nei primi decenni dell’occupazione normanna da Bartolomeo da Simeri con l’aiuto dell’ammiraglio Cristodulo. Russo F., Storia della chiesa in Calabria, Rubbettino 1982, pp. 375-376.
[clxxxv] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 170-172.
[clxxxvi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 168-169.
[clxxxvii] “ITEM che li patroni del bestiame quando li saranno bagliati alli baglivi non siano tenuti pagare per centenaro de pecore si non un tari per centenaro de porci cinque carlini, et per centenaro de bacche tari quatro. PLACET Regie Maiestati quod observetur solitum et consuetum.” (Cancro M., cit., p. 57v).
[clxxxviii] “ITEM per evitare ogni natura de gravamenti procedeno dalo officio dela baglia dela Sila piaza ad V.S.I. ordinare et concedere che per persona alcuna non si possa affictare et administrare piu che per uno anno, et in fine anni sia tenuto stare ad sindicato innanti lo locotenente di Cosenza, et li sindicatori deputandi per li ditti Casali, che sapendo che in breve tempo ha da rendere conto de soi administrati iustamente se portara in ditto officio. PLACET Illustrissimo Domino Viceregi et locumtenenti generali.
ITEM è incommenzato uno stilo per lo baglio preditto che nota le baglationi et accuse generali et confuse zioe tutte le bestiame che se trovassero in lo tal loco, dalo tal tempo non nominando le persone, del che vene una confusione infinita, et disfactione deli homini di ditti Casali, supplicano la Illustrissima S.V. se degni ordinare et concedere, che non procedano ditte bagliationi generali, ma si nominino le persone proprie de lo bagliatore et de lo patrone delo bestiame bagliato et cosii claramente procede la sua iustitia. PLACET Illustrissimo Domino Viceregi et locumtenenti generali.” (Cancro M., cit., p. 73v).
[clxxxix] “Sopra quelle terre Comuni che sono destinate in semina, l’Abate esige dove il terraggio, e dove il mezzo terraggio; e da quelle che restano in erba esige la fida tanto pel pascolo degli animali forastieri; quanto dagli animali de’ Casalini di Cosenza, sebbene questi pagano meno de’ forastieri: e con detta fida va compresa il diritto di Dogana di quelle robe, che si comprano e vendono da’ forastieri, che si affitta col titolo di Bagliva.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 25.
[cxc] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 172.
[cxci] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 174.
[cxcii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 173.
[cxciii] “La Fida delli Porci alla Faglia, che nasce dalli Faghi di detta Sila a ragione di grana 15 per pezzo per tutta la stagione.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 174.
[cxciv] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 173.
[cxcv] Nel Seicento non erano tenuti a pagare tale prestazione quelli che avevano la loro mandria nel territorio dell’abbazia di San Giovanni in Fiore e fidavano gli animali nel restante territorio della regia Sila. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 176.
[cxcvi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 176.
[cxcvii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 183.
[cxcviii] “Una parte della Regia Sila è atta a semina, e sebbene l’intero territorio fosse anche atto alla produzione di grano bianco e di ogni altro genere di vettovaglie, pure comunemente vi si semina il solo germano, il quale è l’ordinario alimento degli abitanti dei casali di Cosenza e degli altri luoghi vicini.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 4.
[cxcix] Nel Seicento il baglivo esigeva anche il diritto di “Semina del lino” che, a differenza di quella del grano, per ogni tomolata di terra coltivata, comportava il pagamento di “una pesa di lino composta di rotola quattro”, che si soleva transigere per carlini 10. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 176.
[cc] Cancro M., cit., p. 113v.
[cci] “Transumptum sententiae iustitiarii Vallis Crati Guglielmi filii Rogerii Siciliae regis contra baiulos regios, quod non exigant a monasterio ius baiulationis in terra Macchia de Trono, anno 1181.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. XXIX.
[ccii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 007-008.
[cciii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 4.
[cciv] “ITEM plaza alla dicta Maiesta quod gratiose ni debea concedere, quod de territoriis sile Cusentie non solvatur aliquod ius aratorum, lo quale si sole pagare tari uno per arato annuatim maxime che li homini deli Casali de Cosenza non haveno altro territorio si no la dicta sila, et in perpetuum, tenor decretatione dicti Capituli est. FIAT iuxta solitum.” (Cancro M., cit., p. 8v).
[ccv] “ITEM che la Sila de Cosenza et suo tenimento lo quale alias pagava iure granectarie decimam partem fructuum, et po fo reducta ad pagare tari uno pro quolibet aratro, como paga allo presente, sia franca et libera de lo dicto pagamento de tari uno per aratro predicto. CONCEDATVR ut petitur, et quia fertur Dominum Franciscum Mormilem habere prefatam gabellam provideatur sibi de excambio meliori per regiam Maiestatem.” (Cancro M., cit., p. 15).
[ccvi] “ITEM Supplicano et peteno de ditte Universitati alla prefata Maiesta se degni gratiose concedere, et de novo confirmare ad Notario Rogerio tosto di Cosenza octo onze per anno sopra la granetcaria dela Sila de Cosenza secondo già la have havuta dala prefata Maiesta secondo appare per autentico privilegio dela quale possessione ne è stato in possessione, et che li piacza che non obstante altro privilegio impetrato dala prefata Maiesta da po lo suo, et etim non obstante alcuna altra ordinatione da poi fatta per la Regia Corte ò vero lettere et commandamenti sopra zio fatti allo Thesoreri de Calabria, et ad ogni altro offitiale, considerato lo ditto Notario Rogerio è stato bono et fidele Vaxallo et partisano de sua Maiesta et trovatosi con li altri partisani dentro lo Castello di Cosenza alla defensione de quello con tutta sua famiglia, et tre fili et molti altri soi parenti, quali sence portaro molto constante et animosamente per fare lo stato de soia Maiesta finche hebero lo soccorso, et renderonde bono cunto de loro guardia, In pero piaza a soa Maiesta che per vigore delo presente capitulo senza esserli domandata altra provisione ò consultatione de essa Maies. sia restituito alla sua possessione dela ditta provisione de otto onze lo anno sopra la ditta granectaria, et de quella tanto per lo passato como per lo avenire li sia resposto integramente iuxta lo tenore del ditto suo privilegio da quelli che haveranno exatta la dicta granectaria, et pro tempore exigeranno, solum vigore huius capituli et ditti privilegii; nullis aliis provisionibus, litteris, scripturis, et consultationibus propterea requirendis. PLACET Regie Maiestati.” …” (Cancro M., cit., pp. 39v-40).
[ccvii] ITEM supplica ditta Citta et Casali atteso inla Sila de Cosenza paga uno tari per ciascheduno paro de bovi aratorii alla baglia de ditta Sila, et alcuni de ditti Casali non pagano ditto tari, et ne sonno franchi, et li terreni so proprii et patronati donde lavorano li boi de li Citatini de ditti Casali se degni de gratia speciali concedere immunita et francheza ad dicta Città et Casali de ditta solutione. STETVR prout consuetum est.” (Cancro M., cit., p. 70v).
[ccviii] “Intorno a questo diritto è da notarsi, che negli anni passati i Cittadini di Cosenza e Casali seminavano ne’ Regii Demani senza pagare prestazione alcuna al Baglivo per dritto di semina; ed in questo stato ritrovò le cose il Presidente Petroni nella visita, che fece nella Regia Sila nell’anno 1752. Ordinò per tanto il medesimo, che si fosse esibito il titolo, ed i legittimi e validi documenti del preteso diritto della semina; ma non esibirono altro, che una particola dell’Editto del Re Roberto dell’anno 1333, ed un’altra del privilegio conceduto dal Re Alfonso d’Aragona a’ Cittadini di Cosenza e Casali sotto il dì 23 Gennajo 1473, con cui si dice che niuno possa far Difesa in Regia Sila, eccettuate le Difese per le Regie Razze, né proibire il pascolo agli animali de’ Cosentini, con destinarsi per Difese puramente necessarii del pascolo de’ bovi, che servivano alle Masserie di Campo.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 164-165.
[ccix] “Le Università di Cosenza, e de’ suoi Casali pretendono, che questi Comuni siano loro demaniali, che non vi abbia altro la Regia Corte, che i soli diritti Bajulari, e che essi possano seminarvi senza pagamento alcuno, ma ciò non ostante la Regia Corte vi esercita i suoi diritti …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 185.
[ccx] “… il Territorio della Pietra di Altare per acqua fondente era del suo Distretto, e che l’Università non ne avea percepito i frutti, perché ciascuno ne potea pretendere un pezzo, come negli altri Territorii, ed i suoi Cittadini l’aprivano, l’aravano, e pagavano il ius Granacteriae al Regio Fisco, e non all’Università.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 138.
[ccxi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 135-136 e 249-253.
[ccxii] “… si possono considerare tutti i Fondi della Regia Sila sotto cinque diverse qualità e natura, cioè: Demanii, ossiano Regii Comuni; Camere Chiuse, o riserbate; Terre Corse; Feudi; e Difese.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 168.
[ccxiii] “Tutto il Territorio di S. Giovanni in Fiore è diviso in terre Comuni e Difese; e l’Abate Commendatario ed altri particolari vi possiedono, tanto i Comuni, quanto le Difese; …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 25.
[ccxiv] “Siccome nella Regia Sila esistono molte Difese di particolari transatte colla Regia Corte, così alcune di queste si trovano concedute in Feudo: e questi fondi formano una classe particolare di beni posti nel Territorio della medesima Regia Sila.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 166.
[ccxv] “1. Tutti i Territorii della Regia Sila si riducono o a Regii Demaniali detti propriamente Regii Comuni e Territorii Feudali, o a Territorii e Difese de’ particolari, e tra essi non vanno esenti quelle Difese, che diconsi Camere riservate, giacchè la Regia Corte ha il diritto del taglio degli alberi sopra qualsisia Territorio tanto dentro, quanto fuori la Regia Sila […] e può far Camera riservata qualunque luogo, quando si tratta di legnami, che possono servire pel Regio Arsenale, e per qualunque uso in sostegno, ed aumento delle forze marittime dello Stato. 2. I Regii Demaniali, o siano Comuni sono quelli in cui non hanno diritto alcuno i particolari, ma sono interamente liberi della Regia Corte. Chiunque paga i diritti Bajulari può far pascere liberamente i suoi bestiami nei Comuni medesimi, senza che alcuno possa impedirlo. 3. Possono egualmente i Cittadini di Cosenza e Casali coltivare i terreni aratorii posti ne’ prefati Territorii Comuni pagando al Baglivo della Regia Sila il diritto della semina.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 164-165.
[ccxvi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 185.
[ccxvii] “Tutti i Territorii de’ Particolari, ne’ quali appartiene a’ medesimi tanto il diritto di semina, quanto quello del pascolo, diconsi Difese.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 167.
[ccxviii] “Si distingue nella Regia Sila un’altra qualità di terreni col uome (sic) di Terre Corse, e sono appunto quelle, nelle quali il pascolo è comune a tutti; ma l’utile della semina è di qualche particolare, il quale vi abbia il jus arandi, o il jus metendi dell’erba. E di simili terre se ne trovano molte nelle Regia Sila, alcune antiche, ed alcuen (sic) altre occupate ne’ Regii Comuni. E sembra, che l’unica qualità di territorio, che i particolari avessero posseduto ne’ tempi passati in Regia Sila fossero state le Terre Corse, e ciò si argomenta dalle carte antiche, nelle quali, ove ordinariamente si parla, senza esprimere le distinte qualità di Difesa, è verisimile, che s’intende parlare di Terre Corse, come sopra tutto nel Privilegio del Re Alfonso di Aragona dell’anno 1475, nel quale si legge, che si potessero far difese solamente per l’uso de’ bovi, che servivano alla masseria di Campo. E da quanto si è detto manifestamente si vede, che le Terre Corse formano una parte de’ Regii Demanii, ne’ quali solamente viene qualche particolare a godere chi l’utile della semina, e chi il jus metendi dell’erba, o per legittimi titoli, o per occupazione.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 166-167. Gli stessi concetti sono ripetuti dallo Zurlo anche nel volume III della sua stessa opera, Napoli 1867, p. 38.
[ccxix] “Essi sono di due sorti, cioè Comuni propriamente detti, ne’ quali tutta la pienezza del dominio è della Regia Corte, tanto per pascolo quanto per la semina; e Corsi, o Terre Corse, nelle quali il jus arandi è de’ particolari, e l’erbaggio è della Regia Corte. Chiunque paga i diritti della Fida al Baglivo della Regia Sila può pascere i suoi animali ne’ Regi Comuni: e rispetto alla Semina può farla qualunque Cittadino pagando al Regio Baglivo un tomolo di quel genere che semina per ogni tomolata di terra che occupa.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 185.
[ccxx] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 166-167.
[ccxxi] AASS, 033A.
[ccxxii] “ITEM supplicano li preditti homini et Universitate de Cosenza et loro Casali che se degni la Sacra Regia Maiesta, che nello tenimento de Cosenza et de Mendicino non sence possa fare prato et defesa, eccepto alli lochi statuiti et ordinati per lo antiquo et solito. Tenor vero decretationis nostre talis est. PLACET Regie Maiestati.” (Cancro M., cit. p. 19v).
[ccxxiii] “ITEM supplicano la prefata Maiesta Ces. che atteso molti Citatini de ditta Città et Casali hanno fatte defese in la Sila de dicta Città et Casali contra lo tenore dele regie pragmatice, et quelle converteno in loro proprio uso, et alcuni dicono haverle fatte per uso de serre et pigliatone molto piu de quello convene per ditto uso, et quod peius cessano lo exercitio de ditte serre per vendere et pasculare le herbe cosa molto dannosa al universale, se degni ordinare al ditto governatore presente et futuro, che in continente ditte defese siano rotte, et converse allo universale uso, et ad unguem observare li capituli et provisione contra tali expedite et confirmate per sua Maiesta Ces. et pragmatiche regie. Imponendo sopra zio alli contravenienti perpetuo silentio con la pena de onze cento, pro quolibet vice applicandose alla regia corte. SERVENTUR pragmatice regie: capitula et privilegia ditte Civitatis et Casalium, et innovata contra dictarum pragmaticarum et privilegiorum tenorem ad pristinum restituantur, et qui contravenerint puniantur penis indictis capitulis et pragmaticis contentis.” (Cancro M., cit. p. 94v).
[ccxxiv] “E queste, come si è detto, o non erano in Regia Sila, o vi erano in ristretto numero: ma per mezzo delle transazioni fatte nell’anno 1687 e nel 1688, e nel tempo dopo l’accesso del Presidente Mercader furono confermate ed estese.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 167.
[ccxxv] “Serra di Pomeri. … l’Università di Longobucco possiede dentro la Sila un comprensorio di terra di circuito di miglia tredici in circa consistenti in montagne di faggi, pini e querce con pochi luoghi seminatorj, nel qual territorio vi sono anche le miniere, nelle quali pel passato si cavava l’argento, l’oro, ed il piombo.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 61.
[ccxxvi] “Dalla Serra di Pomeri fino a questo luogo dell’Orto della Menta dal Principe di Cariati si possiede dentro la Sila un comprensorio di terra di circuito di miglia sedici in circa, consistenti in luoghi seminatorj pascoli, montagne di pini, e fiumi, nel quale si fanno forni di pece, e trementina, e vi è anco la Serra di Minera, dove nel tempo passato si cavava il ferro.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 70.
[ccxxvii] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 138.
[ccxxviii] “… da detto fiume Neto a questo luogo di Tacina dall’Università di Cotronei si possiede dentro la Sila un territorio di circuito di miglia sei in circa, che consiste in montagne di faggi e pini. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 83.
[ccxxix] “… dall’Università di Policastro si possiede dentro la Sila un territorio di circuito di miglia 12 in circa consistente in Montagna, dove sono pini, abeti, faggi, e poco seminatorio.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 91.
[ccxxx] “… ed anco da detta Università si possiede nella Sila un territorio, del circuito il quale sarà miglia 20 incirca; quale territorio è quasi tutto seminatorio irrigato da quantità di rivoli che poi formano un fiume: vi sono montagne ec.”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 103.
[ccxxxi] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 135-136 e 249-253.
[ccxxxii] Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 228-229.
[ccxxxiii] “CETERVM Statuimus, sancimus et ordinamus quod ad penitus submovendum abusum per baiulos sile Cusentie sive alibi in terris demanii vel baronum introductum prefati cives et casaleni Cosentini non possint accusare de danno dato pro pluribus animalibus que quisque accusatus non possideat et vere atque realiter in danno fuerint reperta, dequo danno non stetur assertioni et cum iuramento partis accusantis. Quinimmo de eodem constare debeat ad minus per duos testes de numero animalium dannum inferentium, vel in locis probitis sive defensis intrantium, ut eo modo quispiam pro pluribus animalibus que non possideat et que damna non fecerint, neque ad penam neque ad danni emendam compellantur.” (Cancro M., cit., pp. 28v-29).
[ccxxxiv] “PROVIDENTES etiam et declarantes quod si dum sit denuntia danni dati animalia non fuerit capta in danno quoque expost accusentur, servetur constitutio regni quod accusatus teneatur, ad danni emendam et non ad penam nisi consuetudo loci aliud disponat, que tamen non debeat obstare privilegiis sive Capitulis Regiis ipsis Cosentinis concessis, que in hac parte debeant observari quocumque contrario abusu non obstante constito de danno ad minus per duos testes.” (Cancro M., cit., p. 29).
[ccxxxv] “ITEM ordinamus quod in prefata sila Cosentie nullus possit defensas facere neque aliter pascua animalium Cosentinorum ibidem prohibere, nisi in regiis solatiis et locis ad necessitatem regiarum arratiarum deputatis, et in locis sive in pratis ad necessitatem bovum domesticorum cum quibus in ipsa sila laboratur, et ad herbam falce resecandam necessariis, que solatia et loca ac prata ad arratias et ad necessitatem bovum laborantium et herbe oportuna per illustrissimum Don Herricum de Aragonia fratrem nostrum carissimum et in ipsa provintia locutenentem generalem volumus declarari tempore quidem primo estivo advenienti anteque animalia de hibernis ad eandem silam reducantur, quodque defense sic per dictum Don Henricum declarande et limitande debeant pro defensis haberi, et cetere ampliate aut quoquomodo ampliande vel de novo facte etiam cum Regia licentia, et in prefatorum Cosentinorum preiuditium debeant revocari prout huiusmodi scienter et expresse revocamus. Hoc etiam statuentes et intelligentes ac declarantes debere observari etiam in terris aliis et locis inquibus dicti Cosentini habet aquarum et herbarum conmunionem Ita quod defense ipse si que ut predicitur ampliate, occupate, aut de novo facte fuerit in eisdem, debeant ad prestinum reduci, neque dicti Cosentini possint à conmunione prefata in defensis sic ampliatis occupatis aut de novo factis aliquatenus destitui vel prohiberi, exceptis dumtaxat dictis solatiis et arratiis ac pratis sicut predicitur declarandis. Ita quod in omnibus et per omnia servetur regia pragmatica sanctio super hoc edita et promulgata.” (Cancro M., cit., p. 29).
[ccxxxvi] “ITEM per che contra lo tenore de le regie pragmatiche d’alcuni tempi cqua se sonno fatte per diverse persone multe defise le quale redundano in grandissimo preiuditio deli homini de Cosenza et de li Casali per non havere dove pasculare, et sustentare loro bestiame. Pero se supplica si ordine che quelle defese che sonno state fatte da dece anni qua, tutte se levino, non obstante qualsevoglia concessione ne havessero. IDEM Loysius locumtenens super contentis in presenti capitulo provideat, servata forma regiarum pragmaticarum super hiis emanatarum, et secundum quod de iustitia fuerit.” (Cancro M., cit., f. 59).
[ccxxxvii] ITEM supplica dicta Universita et Casali ad V.I.S. che alcuni homini favoriti hanno fatte in la Sila de Cosenza defese nove, se degni se reducano ad pristinum, et quello danno che havessero patuto in generali ò in spetiali seu particulari siano tenuti alla satisfactione quelli tali che hanno fatte le ditte defese nove et in posterum non presumano farle piu. PLACET Illustrissimo domino, quod auditis qui fecerunt tales defensas, providere indennitate et utilitati dicte Civitatis.” (Cancro M., cit., pp. 70-70v).
[ccxxxviii] Cancro M., cit., Index.
[ccxxxix] “ITEM ditta Citta et Casali supplicano la prefata Cattholica Maitista (sic), atteso alcuni Homini de essa Città et Casali da certo tempo cqua hanno fatto alcune nove defese ultra lo uso de li bovi aratorii impreiuditio dela universalita et populi, per tanto si supplica si voglia dignare fare provisione che ditte defese fatte dal tempo de la bona et recolenda memoria de Re ferrando primo in qua, non se habeano ne debeano godere ne meno vendere, ma sia licito ad ogni persono et alli patroni del bestiame che se la possano impune pascolare. GUBERNATOR Provintialis provideat de iustitia.” (Cancro M., cit., p. 81).
[ccxl] “ITEM atteso alcuni baroni et altre persone convicini de ditta Città et Casali et alcuni citatini de essa hanno occupate alcune parte deli territorii demaniali de ditta Città et Casali et maxime in la Sila et montanea de essi Casali et Città non senza grandissimo preiuditio dela Reale et Ces. Corte, et suo honore, et danno et interesse deli populi, per questo supplica sua Ces. Maiesta se degni ordinare al governatore dela provintia de Calabria, che habea fare buttare real banno da parte sua Ces. Maiesta sub pena privationis de tutti loro beni tanto mobili come stabili tanto burgensatici come pheudali che qualsevoglia persona tanto Principe come Duca, Marchese, Conte come barone, ò qualsevoglia altra persona de qualsevoglia grado ò conditione se sia, che havesse occupato ò sapesse tenere occupata per se ò per soi ministri alcuna parte de terreni demaniali de ditta Città et Casali infra termino de uno mese dapo la publicazione de ditto banno habea de revelare, et relaxare ditti terreni occupati et cessare de lo exercitare dela iurisdittione de essi terreni et tenimento seu territorio de essa Città, et Casali, et passato ditto termino ditto Signore gubernatore dela provintia presente et futuro habia de procedere per inquisitionem contra de quelli che contraveneranno et fare la reintegratione de ditti terreni et punire et castigare tutti quelli trovara essere culpabili indifferentemente et che non possa remettere la pena senza consulta et delliberatione de V. Ces. Maiesta. PLACET Regie Maiestati, quod fiat bannum ut supplicatur, et transacto ditto termino procedatur per gubernatorem provintialem prout per costitutiones et capitula regni et alias de iure procedi potest.” (Cancro M., cit., p. 90v).
[ccxli] “ITEM atteso li baroni quali teneno loro stato confine del territorio de ditta Città et Casali hanno occupati molti terreni del demanio de Vostra Maiesta Ces. et publico de ditta Città et Casali supplicano la prefata Maiesta, se degni concedere et ordinare al gubernatore dela provintia presente et futuro, che possa ditti terreni reintegrare agendo civiliter et criminaliter, et procedere alla exactione dele pene contente in li capituli sopra zio concessi, et expediti, non obstante qualsivoglia privilegio de essi baroni, seu usurpata possessione iuxta lo tenore deli privilegii et sententie antiquissime, sopra tali terreni et limiti de essi supplicanti. GUBERNATOR provintialis vel locumtenens, auditis partibus iustitiam faciat celerem et expeditam. (Cancro M., cit., pp. 94-94v).
“ITEM atteso molti Citatini de essa Città et Casali haveno fatte nove defise incapite inla sila de essa Città et Casali, et quelle usano, et vendeno le herbe anco ad particulari Citatini, et forasteri contra la forma deli privilegii et capituli dela Universita, et regie pragmatice, et ordini maxime de la fel. memo. de Re Ferrando primo expediti in la terra de fogia: supplicano alla prefata Maiestà se degni provedere sub formidabili pena applicanda alla regia corte, che de cetero nesciuno presuma fare tale defese, et le fatte se habeano de relaxare et destruere, et per lo prefato signor gubernatore cossi se exequisca per modo che penaliter tale regie pragmatiche capituli et privilegii siano observati et lo bestiame de essi citatini et particulari liberamente possa andare et pasculare in li ditti lochi, pasculandolo loro et daltri indifferenter in ditta sila secondo la loro antiqua consuetudine de pascere senza pena alcuna, iuxta loro antiquo solito et consueto. SERVENTUR provisiones et pragmatice regie sublato omni abusu.” (Cancro M., cit., p. 95).
[ccxlii] “ITEM atteso molti Citatini de ditta Città et Casali conduceno lo bestiame in ditta sila dal principio dela primavera, per il che si commetteno molti danni in li grani et herbe de taglio per le herbe non essere fatte et la sila stare sola, supplicano alla prefata Maiesta se degni ordinare al prefato gubernatore dela provintia, che faccia penale provisione, che nulla generatione de animali campestri possa venire in ditta sila per fi alli xxv. de Aprile, et questo per la publica utilita. PLACET Regie Maiestati, pro bono publico dicte Civitatis et Casalium : Dumtamen in casu contradictionis et oppositionis preses provintie brevem iustitiam faciat.” (Cancro M., cit. p. 94v).
[ccxliii] “ITEM supplicano la prefata Maiesta Ces. se degni provedere che in nullo modo li baglivi tanto quelli dela sila come quelli deli Casali debeano ne presumano fidare nulla natura de bestiame, per che per lo fidare de esse se commetteno molte extorsione: per li danni se commetteno per lo bestiamo fidato, et non ponno essere constretti ad pagarli per trovarnose fidati, et ne succedeno molti inconvenienti, et homicidi, et che qualsivoglia baglie, quale fidasse ditto bestiame da mo innanti sia tenuto alla pena de onze quattro pro qualibet vice per la meta alla regia corte et laltra meta allo accusatore, attalche non se commettano tanti danni et ne resultino tanti inconvenienti et homicidii. Placet Regie Maiestati. quod tales fide non fiat in preiuditium regiorum subditorum.” (Cancro M., cit. p. 95v).
[ccxliv] “ITEM atteso la herede del condam Messer Antonio de alexandro de Napoli tene la baglia dela Sila de ditta Città et Casali de la quale sene pate grande interesse, supplicano la prefata Maiesta, se degni provedere, che volendose alienare seu vendere ditto officio non si possa alienare ne vendere ad altre persone, eccepto ad ditta Città et Casali per quel medesmo prezo che iustamente se ne trovasse, per se tollere in futurum tutte le subiectioni, iacture, et interesse se ne have patuti et potesse patire. PLACET Regie Maiestati, quod Dominus baiulationis teneatur dictam baiulationem vendere dicte Civitatis et Casalibus potiusque aliis pro iusto pretio oblato per alios, quando ipse Dominus vendere volverit.” (Cancro M., cit. pp. 96v-97).
[ccxlv] “ITEM supplica la prefata Universita alla dicta Maiesta, che considerato novamente è stata facta una defesa alla Sila dela dicta Città per le giumente de dicta Maiesta, per la quale li homini de dicta Città et Casali ne pateno molti incommodi et danni tanto in lo pascere de ditto bestiame, quanto per non possere fare loro massarie in li loro terreni, et per se pretendere che lo loro bestiame va in la ditta difisa, quasi continuamente sonno molestati, vexati, et composti acramente per li officiali de ditta Maiesta in modo che durando ditta defisa veneria ad minuire lo bestiame de ditti Casali, pero se degni sua Maiesta concedere che la ditta defisa se habea da fare alla Sila de Tacina dove se solea fare in tempo de la felice memoria de Re Alfonso, actento che lo bestiame de sua Moiesta ci po comodamente stare.
REGIA Maiestas super contentis in dicto capitulo oportune providebit.” (Cancro M., cit., p. 55v).
[ccxlvi] “ITEM per che la bona memoria del Signor Re Alfonso vostro frate fece una defesa chiamata Anghiarella, per le iumente non senza grande interesse de ditta Universita et Casali per essere al transito del bestiame pero ditta Universita et homini supplicano vostra Maiesta se degni lassare ditta defesa ad essa Città et Casali prefati como era ab antiquo, et revocare omne concessione et impetratione ne fossi fatta da altri atteso non haveno altro modo de sustentare loro bestiame. PLACET Regie Maiestati, si dicta defensa reperitur in domanio curie.” (Cancro M., cit., f. 67v).
[ccxlvii] “ITEM supplicano la ditta Citta et Casali atteso che per lo passato per alcuno tempo per la corte sonno state defese reali in la Sila de Cosenza in modo che lo bestiame loro stava tanto stretto che quasi non haviano dove pascere et non se possia fare massaria de grani in ditta sila con poca utilita et commodita dela corte et detrimento grande de ditta Citta et Casali se degni V.I.S. de gratia spetiali concedere non se facciano piu ditte defese per ditta Corte. PLACET Illustrissimo Domino si non esset magna necessitas aut multum detrimentum curie.” (Cancro M., cit., p. 71).
[ccxlviii] Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 191.
[ccxlix] Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 192.
[ccl] Ughelli F., Italia Sacra, tomo IX, Venezia 1721, c. 197-198.
[ccli] ASRC, Super fondo Raccolte e Miscellanee, fondo Blasco Salvatore, in ASMM, www.archividelmediterraneo.org.
[cclii] Il diritto di esigere la decima dei frutti delle greggi da parte dell’arcivescovo di Santa Severina è documentato principalmente da due privilegi. “1 Privilegium Ludovici Tertii Joannae secundae filii et successoris Calabriae Ducis directum Capitaneum S.tae Sev.nae et futuris committentis excerta scientie ut faverent Archiepiscopo sive proc.re … decimarum animalium pascentium in territorio dioecesis expeditum in Castro Civitatis Consentiae 1431.” “4 Aliud Privilegium eiusdem directum Universitatibus et hominibus ac magistris iuratis S. Sev.nae terrarum Policastri Mesoracae Rocce Bern.de et Cutroneorum, aliorum que locorum totius diocesis metropolitanae, quod Archiepiscopo eiusdem Metropolitanae Ecclesiae promittant exactionem decimae Casei et Agnorum, seu fructum ovium pro tempore pascua sumentium in tota diocesi, non obstante quod propter guerras, et turbulentias temporum defecirit ab exactiatione Expeditum in Castro Novo Neapolis nono Februarii 1446.” AASS, 002 A, ff. 115-115v. Parlano di decime anche alcuni documenti precedenti, tra cui la famosa bolla di Lucio III del 1183 che è un falso (AASS, pergamena 001). Si dimostra un falso anche il privilegio concesso nel 1145 al vescovo di Isola Luca da re Ruggero che gli avrebbe concesso il diritto di esigere la decima di “omnium animalium ab extera venientum ad ibidem pascua sumendum”. AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 417 sgg.
[ccliii] “ITEM che quandocumque li homini de Cosenza et de li Casali prefati vadano conli loro bestiame ad subernare alle marine, non possano essere sforzati ne constritti per li offitiali ne per altra persona ad petitione de alcuno Episcopo per ragione de decime de dicto bestiame et loro fructi. Sed tantum ordinarie coram officiali Cosentie, tenor decretationis dicti Capituli est. FIAT.” Cancro M., Privilegii et Capitoli della Citta de Cosenza et soi Casali, concessi dalli Serenissimi Re de questo Regno de Napoli confirmati et di nuovo concessi per la Maiesta Cesarea et la Serenissima Maieta del Re Philippo Nuostro Signore, Napoli 1557, p. 9.
[ccliv] “IN Nomine Sanctae, et Individuae Trinitatis Amen. Anno D(omi)ni Millesimo Quatragesimo Unde / cimo. Die quinto decimo mensis Martii quartae Ind.s apud T(er)ram Ipsychrò. Regnante Sereniss.mo / D.N.D. Ladislao Dei gr(ati)a Ungariae Hyerusalem, et Siciliae, Dalmatiae, Croatiae et Galitiae, Lodo / monae, Cumaniae, Vulgariaeque Rege Provintiae, et soccalqueriae, ac Pedimontis comite, regno / rum vero suorum Anno Vigesimo Quarto Feliciter Amen. Nos Not.s Angelus cannagroe / de p.ta T(er)ra Ipsychrò Annalis Judex eiusdem T(er)rae, et Julianus de xelso de eadem T(er)ra Ipsy / chrò publicus ubil(ibe)t per totum ducatum Calabriae reg.a aut(oritat)e not.s et testes subscripti ad hoc / spetialiter vocati, et rogati et tenore p(raese)ntis pub.ci transumpti fatemur, et notum facimus / quod p.to die ibidem in n(ost)ri, et subscriptorum testium p(raese)ntia constitutus R.dus in Xpo Pater, et / d(omi)n(u)s Petrus miseratione divina Umbriaticen.s Ep(iscop)us in domo habitationis ipsius, ubi / ad p(raese)ns in infirmitate iacet detentus, ostendit, et p(raese)ntavit quodam publicum instrumen / tum omni solemnitate debbita in talibus roboratum scriptus per manus Not.rii Marci / [pa]pandrea de p.ta T(er)ra, et subscriptum Nicolai de condoleonis manus propriae annalis Ju / [dex] … …stium signis, et subscriptionibus communitum : quod vidimus, leg[imus] … / … ad oculum inspeximus non vitiatum, non cancellatum … / … sui parte abrasum, imo prorsus omni vitio et susp… … / …s, et erat per… tenoris, et continentiae subsequentis. In No(m)ine d(omi)ni … / … …n anno nativitatis eiusdem Millesimo Quatragesimo decimo Regnante [serenissimo] / [D.]N.D. Rege Ladislao Inclito Dei gr(ati)a Hierusalem, Ungariae, Siciliae, Dalm[atiae] / [Croat]iae, Galitiae, Lodomeniae, Cumaniae, Vulgariaeque Provintiae, et soccalqueriae [ac Pedi / montis] comite, regnorum eius Anno Vigesimo Quarto Feliciter Amen. Apu[d T(er)ram] / [Ipsychrò] Die decimo quinto mensis Ap(ri)l(i)s nonae Ind.s. Nos Nicolaus condoleonis [annalis] / [judex p.]tae T(er)rae Ipsychro in eodem anno, Martius de papandria de eadem [Terra regius] / publicus per totum ducatum Calabriae reg.a aut(oritat)e Not.s et testes subscripti … / ti specialiter rogati in testes tenore p(raese)nti scripti pub.ci Instrumenti … / facimus, et testamur, quod eodem die ibidem in n(ost)ri et subs(crip)torum testium … / …vir no. leo bisantius de p.ta T(er)ra asse… / … perrettam de… / …
una parte, et presb(ite)rum Nicolaum de iaccino de casale Celici procuratore procuratorio no(m)i(n)e et pro / parte clericorum casalium dictorum delo manco pertinentiarum vallis Gratis ex altera de deci / ma fructuum, et proventuum animalium consentinorum venientium de p.tis partibus vallis / gratis in tenimentis dictae dioecesis Umbriaticen.s, et sp(ecia)l(ite)r de discordia conventionum fac / tarum, et faciendarum communi consensu p.ti R.di in Xpo patris Ep(iscop)i Umbriaticen.s, et cleri p.torum / casalium antedictorum delo manco : de quibus discordiis, et litigio volentes ipsi procu / ratores quo sup.a, et quilibet pro se pari voto super ipsa charta, et eius tenore finem im / ponere quietis, et pacis postpositis expensarum girurgiarum decursibus quae solent sepius / litigantibus evenire compromiserunt d(ic)tam chartam ad discutiendum et terminan / dum fieri per R.dum in Xpo p(at)rem, et D(omi)num n(ost)rum dominum T. Ep(iscop)um Chatargensem / et dominum Joannem Moranum de Catanzario legum doctorem tamquam Arbitros Juris / prout haec, et alia in istrumento de eorum voluntate facto plenius, et seriosius omn… / …nitate vallatam continetur : quo instrumento facto … / … et actionem ad id quod minuere deberet dictam cha… / …. p.torum R.di in Xpo patris d(omi)ni Ep(iscop)i Catargensis … / … …terminent, et decidant de jure iux.a Compromissum … de factum : … / … per quendam Nuntium destinavit, et retulit ipse Nuntius decisionem a… / … …nis communiter electis consultam terminatam, et laudatam cum sigillo … / …conclusam, et roboratam ac subscriptionibus eorum propriis manibus comm… / … coram nobis p(raese)ntialiter ostendit, et p(raese)ntavit : addens nihilominus … / … decisione à p.tis arbitris, misit quandam l(icte)ram p.to presb(ite)ro … / … venire deberet visurus indictium laudum, et terminationem … / … respondit in haec verba vulgariter exponendo prout per quandam …am vul / … vidimus ad oculum contineri. Nobile viro leoni bisantio de Ipsy / [cro] … suo. Honorabilis pater post salutem recepi l(icte)ram v(ost)ram super / … …tis qui venian… …tentiam quam ferre vultie respon / … / …habui authoritatem compro…
quod aperiantur an pro nobis faciant, an non. Ego non sum aptus esse hinc in antea facia / tis ad v(ost)rum velle semper Spetiani magni die decimo quarto mensis Ap(ri)l(i)s tertiae in / ditionis : per siri Nicolaum de Joacchino de Celico : Qua responsione recepta per eundem / Leonem, presb(ite)r Michael infestans ipsam decisionem ut s.a in contumacia ipsius presb(ite)ri / Nicolai nolentis adesse, volvit coram Nobis à p.tis sigillis, et clausura sup.torum arbitrorum / reserari diligenter inspici, et ad oculum de verbo ad verbum perlegi, et publice devul / gari : qua reserata, et aperta absque omni vitio et suspitione per Nos sup.tum Judicem / notarium, et testes subscriptos, erat per omnia tenoris, et continentiae subsequentis / Die decimo nono mensis Martii quintae decimae Ind.s apud Ipsychrò in p(raese)ntia infra(script)orum testium in domo Joannis spoletini habitationis D(omi)ni Ep(iscop)i Crotonensis ubi est p(raese)ns R.dus / D(omi)n(u)s Petrus Ep(iscop)us Umbriaticen.s ex parte una, et siri Michael Gatius de spezano ma / gno : presb(ite)r Thomasius russus : siri Guido Comito de p.to loco : siri Nicolao Joaccino, et siri Nicolao de ammineto de celico ex parte altera vigore cuiusdam rescripti di / recti d(omi)no R.do Jacobo Archiep(iscop)o Sanctae Severinae per quondam bonae memoriae domi / num Innocentium Papam Septimum : praefatique d(omi)ni clerici p.torum casalium praetendentes / habere debere ius decimae omnium agnorum et fructuum lactis v(idelicet) casci et ricociorum / pecudum portatarum de partibus ipsorum casalium ad sumendum pascua Eyemalia in teni / mento dictae T(er)rae Ipsychrò et tenimentis dioecesis Umbriaticen.s p.to D(omi)no Ep(iscop)o contrarium / asseruerunt offerendo hinc inde in parte certa jura eorum coram p.to Archiep(iscop)o Sanctae / Severinae judice delegato p.to. Et quia litigia max.e personis ecc.cis sunt extra inter / veniente communium amicorum tractatu p.tus R.dus d(omi)n(u)s Ep(iscop)us de sui bona voluntate ami / cabiliter, et paternal(ite)r tractando eosdem consensit, et denuntiavit in mani… / cedit eisdem pro se ipsis, et succexoribus eorum medietatem agnorum et agnarum … / et dastrarum ovilium existentium in dicta dioecesi et tenimentis Umb[riaticen.s] ter / tiam partem casei et ricotiorum singulis annis et sic promisit d(ic)tus R.dum [Episcopum] / pacta teneri, et observari ex nunc in antea, et in futurum. Et p.ti … / cum potestate … Archiep(iscop)i Consentini pro se et aliorum tange…
et asseruerunt tamquam procuratores eorumdem hucvenientium. Et quia oportet de p.tis caute / lam et instrumenta hincinde haberi ad cautelam partium ipsarum placuit eisdem quod ad / consilium sapientium faciant instrumenta omni debbito consilio vallata non mutata sub / stantia veritatis, et promiserunt ambae partes ipsae in exigendo ius p.tarum decimarum quod sint / communes et similiter recipiendo dictum jus in dicta dioecesi in ovilibus propriis scrip / tum die, Ind.ni praemissis. Et si aliquos fidatus vellet recedere non soluto p.to Jure quod / debeant omnes ipsum cogere in quocumque loco terr.o in dioecesi Consentinae scriptae ut / supra. Nos Ant.s spoletinus Petrus miseratione divina Umbriaticen.s Ep(iscopu)s sup.ta fate / mur, et ideo propria manu subscripsimus. Nos Ant.s spoletinus Dei gr(ati)a Ep(iscopu)s Croto / nensis testamur. Ego siri Michael Gatius de spezano magno procurator clericorum / casalium Consentinorum diocesis p.tae p.ta facta fateor. Ego presb(ite)r Thomasius russus / de spezano magno procurator clericorum casalium Consentinorum dioecesis p.tae fateor / et manu propria subscripsi. Ego siri Giudo comito de Spezano magno p.ta fateor. Ego siri Nicolaus de Jaccino de celico procurator clericorum dioecesis consentinae p.tae p.ta fateor. Ego siri Nicolaus de agminneto de celico p.ta fateor. Ego presb(ite)r Michael perrecta Decanus Dioecesis Umbriaticen.s testor. Ego presb(ite)r loisius de paterno te / stor. Ego presb(ite)r Julianus russus Archipresb(ite)r T(er)rae Ipsychro testor. Leo bisantius testor. Ego Nicolaus de principato testor. Ego Joannes smeraldus testor. Dubbium / oritur ex praemissis quia praelibatus d(omi)n(u)s Ep(iscopu)s Umbriaticen.s derogat stare p.tae conven / tioni asserendo p.tam conventionem facere non potuisse in fraudem et praeiuditium / jurium ecc.ae suae sine consensu, et delliberatione cap(itu)li ea propter petitum est à no / bis T. Dei et ap.cae sedis gratia Ep(iscop)o Catanzarii, et Joanne morano legum doctore / per Egregii viri Leonis bisantii quod deberemus de jure determinare si vigore / et vir[tude di]cti pacti p.ti d(omi)n(u)s Ep(iscop)us teneatur ad observantiam p.torum vel possit contrave / [nire] … …ritate dicenda videtur nobis quod s.a T. Ep(iscop)o Catanzarii et Joannello mo / [rano legum d]octori ex retroscripto pacto et conventione oriuntur infra dubbia / … p.tus d(omi)n(u)s Ep(iscopu)s Umbriaticen.s … facere talem pactum seu conven
tionem renuntiando medietatem p.tae decimae sine consensu et delliberatione capituli, ita / quod ab ea recedere non possit tamquam facta in praeiuditium ecc.ae. Secundum dubbium si istam conventionem / valet perpetuo, an valeat vita Ep(iscop)i Umbriaticen.s durante. Tertium dubbium an p.tus Ep(iscop)us Umbriaticen.s possit contravenire facto suo revocando p.ta. Et ad primum dubbium quod dictus / Ep(iscop)us Umbriaticen.s non potuit facere talem pactum, seu conventionem de renuntiatione de / cimae praelibatae probatur : nam eaquae contra ius fiunt, n(ull)a ea quae contrarius fiunt, nulla sunt ipso jure. §. de integrum / restitutione C. constitutus et ibi Glo. et in C. de his quae fiunt à ma. parte cap(itu)li, et C. in / dubbium de legibus, sed facere conventiones super rebus ecc.cis in praeiuditium ecc.ae est contra / formam juris, et in §. si quis presbiterorum de rebus ecc.ae alienandis vel non, et C. nulli et / §. ad aures eodem titulo. Ergo p.tus Ep(iscop)us praedictam conventionem seu renuntiationem face / re non potuit; praeterea Ep(iscop)us quicquam alienare potest, vel donare, seu permutare, nisi ea / faciat, ut meliora prospiciat : et cum tocius, vel maioris partis cleri consensu, atque tractatu / et deligat quod non sit dubbium suae Ecc.ae proficiendum : ut in §. quanto §. novit, et C. p.s et C. / cum ap.ca extra de his, quae fiunt à praelato sine consensu cap(itu)li sed in casu p(raese)nti p.tus d(omi)nus / Ep(iscop)us contraxit seu convenit in praeiuditium suae ecc.ae, prout patet manifeste, quia erat / in possessione totius decimae et renuntiavit medietatem, et in requisito clero : ergo dicta / pacta, seu conventio contra formam juris factam est ipso iure nulla, ut in iuribus sup.a alle / gatis : nec obstat capitulum subgestum, et C. ex multiplici ex.a de decimis, et C. sedis, et / C. de coetero, et C. veniens ex.a de transactionibus, ubi dicit, quod inter ecc.cas personas fit con / ventio cum consensu Ep(iscop)i, quia loquitur in presb(ite)ris et aliis personis ecc.cis subiectum Ep(iscop)orum et / Archiep(iscop)orum : quae personae cum consensu Ep(iscop)i, seu Archiep(iscop)i bene conveniunt : sed in casu / n(ost)ro in conventione p.ta consensus cap(itu)li ut juris est non intervenit, ergo ab ea recedere potest / tamquam non iure facta, ut in iuribus supra allegatis. Ad secundum dubbium videtur quod licet non / intervenit consensus capituli, et sic ista pactio seu conventio non valuit perpetuo ut in … / supra allegatis : non tamen valent jura p.ti Ep(iscop)i Umbriaticen.s durante hoc notanto in ea ex mul / tiplici, et in C. subgestum extra de decimis et C. veniens et in C. ii de transact : in quibus dici / tur quod si persona ecc.ca alienat sine aut(oritat)e superioris nulla conventio est personalis … / paciscentis : Ergo cum in casu p(raese)nti dictus Ep(iscop)us pactus est sine consensu cap(itu)li … ecc.ae / praeiudicare non potuit : t(ame)n sibi suae utilitati praeiudicat p.ta non obstant … jure decimarum ani / malium, et eorum fructuum sunt per alia ratione prediorum in quibus pascua adsumenti
decima debetur, ut in C. commissum ex.a de decimis C. ad ap(osto)licam eodem titulo, et illi ecc.i / debetur illa decima in cuius territorio pascua adsumunt, ut in juribus sup.tis et sic Decima / animalium, et fructuum : quae percipiuntur in territorio dioecesis Umbriaticen.s sunt jura / ep(iscopa)lia : quae ad ipsam ecc.am Umbriaticen.s spectant, ut in dicto C. ad apostolicam, et in C. commis / sum; et sic ipse decimae non spectant ad ipsum Ep(iscop)um respectu personae : quia tunc haberent / locum contrarium ut in C. quia Nos, et C. requisiti ex.a de testamentis : sed in casu nostro / Ecc.ae nomine cui debetur decima intelligo Ep(iscop)us tamquam caput ecc.ae ut in C. novit, et C. quanto / ex.a de his quae fiunt à prelato sine consensu cap(itu)li, et cap(itu)lorum, seu illa de cap(itu)lo sunt mem / bra, ut in d(ic)to C. novit et §. Ep(iscop)us et sui fr(at)res de capitulo unum corpus sunt in d(ic)tis cap(itu)lis / merito dictus Ep(iscop)us p.tas decimas, tamquae iura Ep(iscopa)lia sunt sui fr(at)ibus, et eius presbiteris ecc.am suam / sua vita durante alienare non potest, nec pacisci, seu conventionem facere, ut in d(ic)to C. no / vit, et C. quanto qui nemo alios fructus donare, seu aliter alienare Ep(iscop)us non potest sine / consensu, et delliberatione capituli, ut in C. pastor ex.a de dona : praeterea transactioni / vel pactionibus voluntariis necessarius est consensus, quocumque fiunt est ex.a de transact : / C. ii per innocentiam, sed interest canonicis, et cap(itu)lo ut bona Ep(iscopa)lia non alienentur, sicut / bona eorum, ut in C. si cum clerico de verborum significationibus, et de testamentis requisiti / per Innocen. in d. C. novit : merito alienatio seu conventio p.ta per D(omi)ni Ep(iscop)i ecclesiam / sua vita durante non valit, sine licentia quorum interest : propterea sui communis alienatio / sine voluntate sociorum non tenet ut l. sancimus comuni dividendo l. servo lectioni / delegato p.to probatur lege eadem §. caro eodem titulo : sed bona Ep(iscopa)lia sunt comunia / quoad fructum, et obventiones : quia de iure spectant seu dividi debent inter ecc.am / Ep(iscop)um Cap(itu)lum et pauperes ut in C. iubemus de sacro sanctis ecc.ae et C. merito dictus / Ep(iscop)us renuntiando medietatem dictae decimae praeiudicare non potuit sibi, ecc.ae suae, pauperi / bus, et suo capitulo, ut in juribus sup.a allegatis : Et quia in re comuni in quolibet ces / pite tunc est pars sociorum ut in dicta le: sancimus, ut ibi in dictis juribus pleno nota / tur. Ad Tertium dubbium dicendum est quod d(ic)tus Ep(iscop)us qui sic alienavit seu convenit / renun[ciare] dictae decimae ecc.am se iurasset ipsemet revocare potest, ut notat Glo. ut / in … presbiterorum ex.a de rebus ecc.cis non alienandis : propterea p.ta jura, et mul / ta alia quae possunt allegari videtur nobis qui s.a T. Ep(iscop)us Catanzarii, et Joannello morano /
Legum doctori quod d(ic)tus Umbriaticen.s Ep(iscop)us sine consensu, et voluntate sui Capituli / conveniri, seu pacisci non potuit remittendo, et rinuntiando medietatem dictae / decimae, et ipsemet potest contravenire revocando saniori semper consilio salvo. / Et pro certitudine quorum interest p(raese)ns consilium scripsimus, propria subscriptione / denuntiavimus nostris propriis sigillis quibus utimur. Nos qui s.a T. Dei et / apostolicae sedis gratia Ep(iscop)us Catanzariensis praemissa fatemur. Ego Jo(ann)es moranus legum doctor praemissa fateor. Cuiusquidem decisiones, et de / terminationes divulgamus, Et inspecto tenore presbiter Michael p.tus / et procuratorio nomine quorum s.a asseruit sibi tam pro se quam nomine et / pro parte dicti Ep(iscop)i Umbriaticen.s eiusque maioris ecc.ae et cleri ac capituli / dioecesis ipsius plurimum interesse de praedicta divulgatione seu apertura / divulgationis, ac notationis, et declarationis, ac contentorum in ipsa de / cisione, ac veritatis rei taliter gestae prout est s.a nominatum habere, prop / terea instatur ad futurorum memoriam, et aliorum quorum interest, et poterit / interesse certitudinis, et cautele p.tae Ecclesiae Umbriaticen.s ac cleri seu / capituli eiusdem, requisivit Nos qui s.a Judicem, Notarium, et testes subscrip / tos quod de praemissis omnibus facere deberemus publicum instrumentum / nil addito, vel subtracto. Nos enim videntes ipsum iux.a petere, et tam / quam iusta petenti non est denegantibus assensus, et maxime quia nemini / officium nostrum quod est publicum possums de jure denegari praedictam / assersionem leonis prout facta fuit, dictamque remissivam dicti presbiteri Ni / colai ut ponitur vulgo scriptam in sermone literali transumptam, nil addit / vel mutato, de propria et vera substantia ac apertura decisionis …s / tenoris terminationis cuilibet praemissae, rei gestae prout vidimus iudicamus / et ad oculum inspeximus. Ego qui supra Not.s publicus supra dictum / nil addendo vel subtrahendo in hanc publicam formam redegimus, et transformavimus.
Unde ad futuram rei memoriam, et quorum interst et interesse poterit et certi / tudinem et cautelam p(raese)ns pub.cum instrumentum exinde factum est scriptum / et subscriptum per manus mei p.ti not.rii propria manu no.ris signo, et subscrip / torum solitis signati, nostrique sup.a judicis, et aliorum subscriptorum testium si / gnis, et subscriptionibus propriis roboratum, scriptum ut s.a. Ego Nicolaus / de condoleonis qui s.a Annalis Judex interfui et me subscripsi. Ego leo / bisantius testor. Ego Onofrius de smeraldo testor. Ego Marcus de papan / drea de T(er)ra Ipsychrò qui s.a regius publicus per totum ducatum Calabriae / reg.a aut(oritat)e not.s p(raese)ns publicum instrumentum scripsi, et me subscripsi post eius / assertiones et locutiones eique p.tus R.dus in X.o pater asseruit sibi pluri / mum fore et esse oportunum de p.to originali instrumento hunc transumptum / in carta membrana ubique plena fides prestari, supplicavit nobis quo s.a / judici, not.s et testibus sup.tis quod de ipso originali faceremus publicum tran / sumptum. Nos enim eius petitioni annuentes ex eo quia vidimus ipsum / iux.a petere, et tamquam iux.a petenti non est denegandus assensus max.e quia / officium n(ost)rum est publicum non possumus de jure denegare, p.tum originali / instrumentum nil addito vel mutato vel quod de verbo ad verbum tran / sumptavimus et in hanc publicam formam redegimus. In quorum rei testi / monium omnium quorum interst et interesse poterit certitudinem, et / cautelam p(raese)ns publicum instrumentum exinde factum est per manus / n(oste)r qui s.a not.rii propriis signo et subscriptionibus propriae manus comuni / tum n(ost)rorum quo supra et aliorum subscriptorum testium signis, et subscriptioni / bus roboratum, quia in aliquibus partibus abrasum et obscurum videtur / qui vitio sed errore proevenit, et manu n(ost)ra emendavimus, ubi legitur / nemini de jure possumus denegare, defuit ipsa particula nemini quam / …, et ideo pro authentico habeatur. Scriptum et actum. Anno, / mense, die, loco et inditione praemissis.
Signatum solito signo eiusdem Not.rii sub signo bracchii cum manu.
Ego Not.s Angelus Cannagroe qui s.a Judex p.ta testor
Ego leo bisantius testor
Ego Joannes de smeraldo testor
Ego leonardus de martino J. ad con. testor
Ego Hodovisius de paterno p.ta testor
Ego Ciccus de rosis premissis interfui et me subscripsi
Ego Joannes Tarantinus p.ta testor
Ego no.s Joannes de m.o Angelo de T(er)ra Ipsychrò interfui et me subscripsi
Ego eligius bisantius premissis interfui et me subscripsi
Ego Honofrius de smeraldo p.tis interfui me qui s.a subscripsi
Ego qui s.a Julianus de xelso Ipsychronens pub.cus ubilibet per totum ducatum / Calabriae reg.a aut(oritat)e not.s p(raese)ns pp.cum instrumentum scripsi et me subscripsi / manu propria. AASS, 007A, ff. 001-004.
[cclv] “In nomine Sanctissimae Trinitatis Amen. Franciscus Bennius Dei, et Ap(osto)licae Sedis gr(ati)a E(pisco)pus Marturanen. Vertente differentia inter Ill.m D(omi)num Joannem Smeraldum miseratione divina, ArchiE(pisco)pum Consentinum, et R.m Nicolaum Situm Episcopum Umbriaticen.s super iure decimae ovium pascua sumentium in territoriis de la Sila, et ibi foetantium, quae territoria cum sint intra limites Iurisdictionis Ecc.ae Consentinae, consequenter pretendebatur per eiusdem Mensae procuratorem habere ad minus medietatem dictae decimae de ovibus pasculantibus, et foetantibus in dictis territoriis, et capta per nos informatione de consensu ambarum partium, mediante compromisso coram nobis stipulato, et iurato, et visis omnibus actis, ac testium depositionibus in numero sufficienti, et opportuno examinatis, fuit per nos pronuntiatum, et arbitratum minime licere dicto procuratori Archiep(iscopa)lis Mensae Consentiae exigere, vel exigi facere praedictum Jus decimae in dictis territoriis positis in Dioecesi Consentina tam de praeterito, quam in futurum, et defoetibus, quae nascuntur in dictis locis neque totum, neque partem decimae pertingere sup.a dictae Mensae Verum etiam neque de fructibus, ex quo in dicta Civitate Consentiae non adest Consuetudo exigendi huiusmodi decimam prout reperitur pacifice in dioecesi Umbriatici à tempore in quo nulla est hominum memoria in contrarium, et tractu temporis praescripta est actio, quia una Ecclesia potest praescribere contra aliam; Neque potuisse Rev.m Franciscum Spulitrinum Decanum Umbriatici, et mensae procuratorem conveniri promittendo medietatem decimae in fraudem, et praeiudicium Ecclesiae Umbriaticen.s sine consensu, et deliberatione Episcopi et Cap(itu)li. Et quia promissio fuit personalis expiravit morte conditoris, et propterea nullius roboris et momenti prout tenore p(raese)ntium nullam, et infirmam declaramus. Et vice versa dictum D(omi)num E(pisco)pum Umbriaticen.s fore, et esse manutenendum in possessione exigendi dictam integram decimam iuxto solitum, et consuetum ab omnibus animalibus minutis etiam foetantibus in territoriis extra cursum, Dummodo ibi pascua sumant stabulam et incrementum recipiant, prout nos p(raese)nte diffinitivo decreto sententiamus et arbitramur, isto, et omni modo meliori. Datum in [palatio] nostro Ep(iscopa)li die 9 Junii 1434. F. Episcopus Marturanen[.s] latum die quo supra p(raese)ntibus omnibus R. R. de Cap(itu)lo C. S. … Franciscus Soterus att.s Ep(iscopa)lis Curiae”. AASS, 040A, ff. 37-37v.
[cclvi] Pesavento A., Breve storia di Roccabernarda, www.archiviostoricocrotone.it
[cclvii] Nella confinazione del regio comune di “Camarda”, si menziona la “strada pubblica, che porta da Cosenza alle Marine di Cotrone”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 203.
[cclviii] Nella menzione dei confini del tenimento detto “Chyricilly et Capitis Tacine” (1224), troviamo “ad vallonem Boni qui est subtus vadum Cusentinorum quod est in flumine Ampullini”. Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 333-335.
[cclix] Cancro M., cit., f. 67v.
[cclx] “ITEM supplicano, che siano franchi del passagio novamente indutto alli Cotronei et alla Roccabernarda, fanno pagare ad omne Mandra de pecore quindici carlini alla Roccabernarda, et tre alli Cotronei. CAMERA Summarie super supplicatis provideat.” (Cancro M., cit., f. 57v).
[cclxi] “ET hanno capituli ditti Casali che ditto Castellano per ragione del portello non possa domandare se non grana dece revocando la consuetudine de quindici Carlini soleva havere, al presente il Castellano exige ditti quindici Carlini, ad V.S.I. piaza farci observare ditto capitolo ad unguem. PLACET Illustrissimo Domino servari dictum capitulum.” (Cancro M., cit., p. 74).
[cclxii] “ITEM che siano franchi del passagio del Castello de Cosenza et cossi del carnagio, et che non siano tenuti pagare al portello eccetto che uno Carlino pernoctandoci per testa, et similiter lo passagio dela Rocca Bernarda et de ogni altro passagio solito pagarli in la provintia. IN premissis stetur consuetudini.” (Cancro M., cit., p. 70).
[cclxiii] “ITEM ditta Città et Casali fanno intendere alla prefata Catholica Maiesta como da certi tempi cqua in lo contato de Cariati et suo territorio sonno stati imposti alcuni passagi contra il solito in grave danno deli populi et etiam in la terra de la Rocca Bernarda et Casale de li Cotronei per tanto supplicano la prefata Catholica Maiesta se degni provedere et ordinare che de cetero in ditta Citta de Cariati et altre terre del contato, et etiam in la dicta terra dela Rocca Bernarda et Casale deli Cotronei li citatini de ditta Città de Cosenza et casali non siano constretti ad pagamento nesciuno per causa de ditti Passagi seu carnagi per essere insoliti et imposti contra ogni dovere, maxime che non ci sono castelli ne forteze.
REGIA Maiestas mandat quod provintialis Gubernator provideat, ne quid iniuste innovetur.” (Cancro M., cit., pp. 81-81v).
[cclxiv] Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, p. 174.
[cclxv] “… nel luogo detto Porzio, luogo della Regia Sila, e fuori della Reale Badia di S. Giovanni in Fiore, ma confine di essa, nel quale luogo era stato sempre solito l’affittatore della Bagliva e Granetteria della Sila esigere il passo da tutti gli animali, che per quel confine passavano, tanto per immettersi nella Regia Sila, quanto nel territorio Badiale; …”. Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume III, Napoli 1867, p. 15.
[cclxvi] “La Dogana, seu Plateatico di tutti gli animali e robe, che si vendono comprano e contrattano tra forestieri in detta Sila a ragione di grana 18 per oncia, da pagarsi tanto dal Venditore, quanto dal Compratore essendo tutti due forestieri, cioè grana 18 per ciascuno, secondo il solito, che si è osservato.” Stato della Regia Sila liquidato nel 1790 da Giuseppe Zurlo, volume I, Napoli 1862, pp. 173-174.
[cclxvii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 009-010.
[cclxviii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 011-013.
[cclxix] “et tra[nsire libere] terra marique, indulto vobis ubique per terram demanii nostri plateatico et passagio.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 029-031.
[cclxx] “absque omni exactione emendi pariter et vendendi, et transuendi libere terra marique, plateatico et passagio indultis ei per demani nostri terram.” De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 088-089.
[cclxxi] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 099-101.
[cclxxii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 044-045.
[cclxxiii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, p. 106 e pp. 141-142.
[cclxxiv] Pesavento A., Metamorfosi in un territorio, in La Provincia KR, 1999, p. 18.