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IL PAESAGGIO FORESTALE DELLA COSTA CROTONESE IN EPOCA ANTICA E MEDIEVALE

L’Agricoltura calabrese raccontata attraverso le fonti storiche

Cutro (KR), località Villa Margherita.

L’esistenza di estese foreste lungo la costa crotonese è evidenziata già dagli antichi miti, che rendono conto delle vicende appartenute al territorio di Crotone, ancor prima della fondazione della città. A tale proposito Omero, narrando delle vicende di Ulisse, quando l’eroe sospinto naufrago nell’isola di Ogigia, situata nel più remoto occidente, fu accolto da Calipso, ci narra che la ninfa viveva in un antro attorniato da una folta “Selva”, dove svettavano pioppi, olmi e cipressi e nidificavano il gufo, lo sparviere e la cornacchia. Vicino cresceva la vite e quattro sorgenti perenni mantenevano sempre verdi i prati con erbe e fiori.[i]

Di questa selva si fa menzione anche dopo la fondazione della città di Crotone, quando il suo territorio fu sottoposto alla protezione di Hera, divinità poliade (protettrice) degli Achei, la cui tutela territoriale nell’ambito del suo “bosco” sacro, attraverso l’istituto dell’asilo, risulta documentata già durante l’età arcaica, come testimonia Licofrone,[ii] e come evidenzia più esplicitamente, il racconto di Tito Livio che, in particolare, attribuisce alla dea un ruolo di regolatrice e garante dell’attività pastorale: “lucus ibi frequenti silva et proceris abietis arboribus saeptus laeta in medio pascua habuit, ubi omnis generis sacrum deae pecus pascebatur sine ullo pastore, separatimque greges sui cuiusque generis nocte remeabant ad stabula, nunquam insidiis ferarum, non fraude violati hominum.”.[iii]

Il Nola Molise rifacendosi a queste parole di Tito Livio, così descrive il bosco sacro, che si estendeva presso il tempio di Hera Lacinia: “vi era un bosco folto d’alberi (…) nel cui mezzo erano pascoli fecondissimi, dove senza pastore pascevano ogni sorte d’animali dedicati alla Dea, e separati di ogni spetie la sua grege uscivano a pascere, e la sera se ne ritornavano nel medesimo bosco, dove giacevano; questi animali da insidie de fiere, o inganno di mal’huomini non furo danneggiati giammai”.[iv]

Le aree boschive attorno alla città di Isola, ancora riportate nella cartografia alla fine dell’Ottocento, a “Bosco Rosito”, “S. Pietro”, “Acqua fredda” “Bosco Braccio”, “Vermica”, “Forgiano”, “S. Barbara”, “Bosco Fratte”, “Anastasi”, “Bosco Suverito”, e “Ritani”, evidenziate in verde su un particolare del F. 243-IV “Isola di Capo Rizzuto”, della Carta d’Italia 1:50:000 (U.S. Army 1943, copiata da una mappa italiana del 1896).

Il “Bosco” dell’Isola di Crotone

In alcuni di questi boschi litoranei prossimi alla città di Crotone, dove predominavano la lecceta (“ylicetum”),[v] per la prevalenza del leccio (Quercus ilex L.), e il “suberitum”[vi] in cui prevaleva la quercia da sughero, o “suvero” (Quercus suber L.), durante il Medioevo si estendevano alcuni diritti spettanti al vescovo di Isola.

Come nel caso del “monasterium seu locum S. Nicolai de Salica cum terris e pertinentiis suis”, appartenne fin dal periodo normanno al vescovo di Isola. Esso compare nei privilegi concessi da re Ruggero II e confermati da papa Eugenio III nel 1149 al vescovo isolano Luca, il quale aveva diritto di decima anche sulla cacciagione che, allora, era composta da cervi, caprioli, volpi, cinghiali,[vii] che assieme al lupo,[viii] e ad altri animali, popolavano i boschi.

Salica confinava con il territorio li Puzelli che era parte del Bosco, cioè della difesa regia, o foresta dell’Isola di Crotone, dove era severamente proibito cacciare non solo al suo interno, ma anche nelle vicinanze, durante i mesi di aprile, maggio e giugno. Infatti, la foresta o difesa di Isola di Crotone, come le altre difese regie esistenti in Calabria, era adibita a caccia riservata per il re, e le carni dei cinghiali, di cui abbondava, salate rifornivano le regie dispense.[ix]

Nell’ambito di questo territorio appartenente a quello della città di Crotone, I vescovi isolani ottennero dai regnanti normanni, prima dal duca Ruggero e poi dal re Ruggero II, vasti privilegi: sia a favore della chiesa, che per coloro che andranno a popolarne i possessi. Essa potrà accogliere, ospitare e trattenere, franchi e liberi, ed al riparo della giustizia, coloro che vi si rifugeranno. Il potere vescovile si estende sugli uomini e sulle cose: “herbagium, glandagium, forestagium, cursus aquarum, nemoribus, cerquis, olivetis, virgultis, arboribus, domitis et indomitis, incisiones arborum atque lignorum tam siccatum quam viridum, cuiuscumque generes sint … venationes facere tam animalium terrestrum quam volatilium per totum tenimentum …”, ecc.

Attorno all’episcopato cresce la città di Isola abitata da chierici, domestici, pastori, coloni, vaccari, porcari, ecc., che con la loro attività modificano il paesaggio. Dove prima era tutto bosco sorgono ora case, vigne, orti, mulini, oliveti, canneti, prati, siepi, terre a semina ed a pascolo.[x] Questa tendenza all’aumento continuo del colto sull’incolto, si arresterà e si invertirà tra la seconda metà del Trecento ed i primi decenni del Quattrocento. In questo frangente, le proprietà della chiesa isolana risultano incolte e devastate, mentre la città, in potere del marchese, era stata abbandonata dai cittadini, ed il territorio è popolato solo dai pastori che abitano nei boschi.[xi]

Di natura sua demaniale e come tale, quindi, ricadente nell’amministrazione regia, la difesa, o foresta di Isola, compare già in un atto del 14 maggio 1252, riguardante un possedimento dell’abbazia di San Giovanni in Fiore detto di “Fontanae Muratae”, esistente “apud insulam Cotroni” e “positus in defensa regia”.[xii] Anche attraverso i primi documenti dopo la conquista angioina, si desume che, già in precedenza, durante la dominazione normanno-sveva, quest’ultima era stata soggetta alla tutela da parte di funzionari regi detti “forestarii”, che avevano il compito di sorvegliare le foreste demaniali.[xiii]

Nel giugno 1269 un ordine di Carlo I d’Angiò al milite Drivone de Regibayo, vicegerente del mastro giustiziere del Regno di Sicilia, gli ordina che, di persona, o attraverso un suo procuratore, prenda possesso dei beni della corona e cioè, del castello di Crotone e della difesa, o foresta, di “Insule Cutroni”, casale della città,[xiv] che deve custodire fino a nuovo ordine.[xv] Questa concessione è ben presto limitata e contrastata da un mandato che lo stesso re, fa in favore di Pietro Ruffo, conte di Catanzaro.[xvi] Pochi anni dopo nel 1274/1275, il re nomina un nuovo custode della difesa: Petro de Baccellis,[xvii] ma siamo anche a conoscenza di alcuni abusi commessi contro i cittadini di Isola; Carlo I d’Angiò, infatti, accoglie favorevolmente le loro richieste, affinché siano ripristinati i diritti che vantano da tempo immemorabile sul bosco, diritti disconosciuti, come per il passato, dal conte di Catanzaro Petro Ruffo.[xviii]

In documenti del 1278 e del 1279, la difesa, o foresta, dell’Isola di Crotone, assieme a quella di Alichia, è ricordata tra le foreste regie della Calabria,[xix] destinate all’allevamento delle regie razze,[xx] dove era severamente proibito cacciare nei mesi primaverili. I contravventori erano puniti con pene severe: i baroni e i militi a 23 oncie d’oro, i borghesi a 16 oncie, i villani a 8 e, se insolvibili, ad un anno di carcere.[xxi]

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Le aree boschive rimaste lungo la costa di Isola alla fine del Settecento, in un particolare della tavola N.° 29 (1789) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

Alichia

La difesa, o foresta regia di Alichia, sorgeva presso l’odierna Punta Alice, dove anticamente c’era il tempio di Apollo Aleo e, similmente al tempio di Hera Lacina, il suo bosco sacro. Come in tutte le foreste regie era vietato introdurvi animali, esercitarvi la caccia, ed il taglio indiscriminato di alberi. La popolazione di solito, vi esercitava gli usi civici; cioè, poteva far legna per uso di masseria e per costruire le case, gli attrezzi di lavoro, ecc. Pascolava il proprio bestiame, raccoglieva i frutti caduti dagli alberi e, a volte, poteva anche seminare nelle radure, sempre però col consenso e sotto la vigilanza del magister forestario, il quale custodiva il patrimonio boschivo, facendo rispettare i divieti, come quello di cacciare i piccoli dei daini e dei cervi, da aprile a giugno, perseguendo e applicando le pene previste ai trasgressori, e concedendo, previo pagamento, il pascolo.[xxii]

Vicino ad essa sorse nel Duecento l’abitato di Alichia che, secondo la testimonianza della sua stessa università, fu fondata al tempo dell’imperatore Federico II.[xxiii] A quei tempi, il luogo era utilizzato per il pascolo invernale delle mandrie appartenenti alle grandi abbazie. In un atto di vendita rogato in Alichia il 10 marzo 1258, regnando Corradino, davanti al giudice Casadore ed al pubblico notaio Costantino, entrambi della stessa terra, ed a testimoni, Giovanni, abate di Sant’Angelo de Frigillo, per fare fronte alle necessità del suo monastero ed, in particolare, al pagamento della colletta, col consenso della comunità, vendeva per dodici once d’oro a Nicola Cortieri di Bari ed a Nicola Corbolo di Matera, duecento pecore lattifere con altrettanti agnelli, i quali, pur rimanendo in custodia allo stesso monastero, dovevano essere consegnate, su richiesta degli acquirenti, il mese successivo.[xxiv]

Con la conquista del regno da parte degli Angioini e l’arrivo dei nuovi dominatori, quasi tutti militi francesi che avevano aiuto il re Carlo I d’Angiò nella conquista, divampò una ribellione popolare, alla quale parteciparono gli abitanti di Alichia e dei luoghi vicini. Essa ebbe origine dalle mutate condizioni in cui si trovarono a vivere gli abitanti sotto il nuovo dominio. Tra le cause di questa sollevazione possiamo elencare anche l’imposizione di diritti privativi sulla foresta, o difesa di Alichia, come quello del divieto di caccia, discendenti dalle concessioni riguardanti la custodia e lo sfruttamento delle proprietà regie, in favore dei nuovi signori feudali.

Nel 1278 la difesa di Alichia e quella di Crotone, sono citate tra le nove foreste regie esistenti in Calabria.[xxv] In seguito, troviamo che, analogamente alla difesa di Alichia, la custodia della “turris et insule de tenimento Cutroni”, fu affidata dal re al milite Andrea de Pratis, essendo stato rimosso il milite Ioanne de Genua (1292),[xxvi] mentre l’anno dopo, rimosso il detto Andrea, i detti beni furono affidati al milite Iohanne de Coronato.[xxvii]

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La foresta esistente presso Punta Alice alla fine del Settecento. Particolare della tavola N.° 27 (1788) della carta di G. A. Rizzi Zannoni.

Vicino alla città di Crotone

Alcuni documenti, risalenti ai primi decenni del Trecento, testimoniano l’esistenza di una vasta selva situata nei pressi della città di Crotone, tra la grangia certosina di S. Nicola della Cipolla e l’abitato di Strongiolito. In questi anni, la grangia dipendente dal monastero di Santo Stefano del Bosco, estendeva i suoi possedimenti, allargando il suo dominio sulla selva, che si estendeva lungo il torrente e la via nella vallata in vicinanza della chiesa di S. Nicola della Cipolla.

Nel febbraio 1228 Christiana, figlia di Armanno, e la figlia Margarita donano al monastero certosino di San Nicola de Cipullo, situato in territorio di Crotone, un piccolo fondo rustico ed una selva, situati ai confini dei fondi e della selva, che appartengono al monastero. I confini sono così descritti: “ab occidente rivus qui transit per ipsam silvam, quae donamus, et praedium; similiter extant alia nostra silva et nostae incultae vineae, et praedium presbyteri Constae de Rusello; a meridie via quae vadit a Sancto Nicolao ad locum dictum de Strongilito et aliorsum; a septentrione silva ipsius sancti Nicolai et vineae heredum domini Goidi Lipoti”.[xxviii]

Durante il Medioevo la selva, che si allargava e copriva tutta l’area al di là delle colline, tra le località Cipolla, Strongiolito e le terre feudali della Garrubba e di Crepacuore, cominciò ad essere erosa, così vennero meno i diritti demaniali dei cittadini su questi luoghi. Il marchese di Crotone Antonio Centelles disboscò e chiuse alcune terre vicine al suo feudo fortificato di Crepacuore, mettendole a coltura con alberi da frutto, impedendo così gli usi civici degli abitanti. Tale usurpazione fu avversata dall’università e dai cittadini di Crotone. Alla caduta del marchese essi chiesero e ottennero dal re Alfonso d’Aragona, il ripristino dei luoghi. L’otto dicembre 1444 Alfonso d’Aragona alla resa della città, approvava i capitoli dell’università e cittadini di Crotone, tra i quali vi era: “Item per che la corte have facto uno jardino adtorno crepacore guastando vie publiche antique et pigliando possessioni di citadini multo damnificandoli che tucto sia reducto a lo pristino stato: placet regie maiestati.”[xxix]

La selva, come l’altra esistente sempre in territorio di Crotone, in località “Misistrello”,[xxx] anche se non integra, esisteva ancora all’inizio del Cinquecento. Essa si estendeva dalla località Cipolla al possedimento del vescovo di Crotone detto “Lo Caro”, e poi all’interno verso la vasta gabella di Strongiolito e le terre boscose dei feudi di Crepacuore, della Garrubba e di San Leone, come ricorda il toponimo “foresta di Santo Leo” (1521). Il monastero manterrà alcuni possessi nel luogo ancora nella seconda metà del Cinquecento, come si ricava da una platea della mensa vescovile di Crotone.[xxxi] Un altro proprietario era Beatrice Caposacco, che possedeva la metà di Strongiolito, confinante con “le terre dette dela foresta” e “le terre de Licina”.[xxxii]

Cutro (KR), località Villa Margherita.

Disboscamento, messa a coltura e popolamento

L’erosione del patrimonio forestale del bosco dell’Isola di Crotone, iniziato attorno al Mille, proseguiva ancora nei primi decenni del Trecento, quando, sempre per contrastare le usurpazioni attuate dal conte Giovanni Ruffo, circa la difesa “detta dell’Isola presso Crotone”, troviamo un altro provvedimento di re Roberto a favore di Gerardo Nomicisio (1335/1336).[xxxiii] Protagonisti sono i feudatari, gli abati e i vescovi, che popolano le loro tenute e, incendiati i boschi, li fanno dissodare e mettere a coltura. L’aumento della popolazione faciliterà la nascita e lo sviluppo degli abitati di S. Giovanni di Massa Nova e di San Pietro di Tripani che, posti al limite della grande foresta, cominceranno ad eroderla.

Isola, o Torre di Isola, in quanto casale di Crotone e parte, fin dal periodo normanno, del territorio crotonese, rimarrà in potere dei marchesi di quella città.[xxxiv] Durante il periodo in cui Isola fu in dominio dei marchesi di Crotone, ampie aree pianeggianti del feudo boschivo di Antiopoli furono disboscate e date da coltivare ai cittadini di Isola, previo il pagamento di un terraggio in grano e orzo al feudatario. I Crotonesi potranno tagliare legna “allo bosco de lisula” e “pascere herbagio et glandagio” senza alcun pagamento e così, altrettanto, faranno gli abitanti di Isola nel territorio di Crotone. Tale reciproco diritto sarà ribadito solennemente, anche dopo la sconfitta del Centelles, quando verrà concessa la demanialità alla città di Crotone, nelle costituzioni concesse da re Alfonso alla università e uomini di Crotone all’atto della resa, l’otto dicembre 1444.[xxxv]

L’esistenza sul bosco di diversi diritti, sia da parte delle popolazioni di Crotone e di Isola, che del demanio regio e del feudatario di Isola (quando il territorio di questo casale sarà staccato dal territorio crotonese), porterà a secolari vertenze. I cittadini di Crotone, presto, cominceranno a lamentarsi per le limitazioni che dovevano subire da parte di Enrico d’Aragona, il quale aveva sposato una figlia del Centelles ed era divenuto signore di Isola. Di tali soprusi ne abbiamo un richiamo nel 1483, al tempo che il territorio della Torre dell’Isola era stato definitivamente separato dal territorio crotonese, per essere dato in feudo a Giovanni Pou, allora i Crotonesi avevano dovuto espressamente richiedere al re Ferdinando, il riconoscimento di poter “usare colli loro animali, e non forestieri, li Boschi della Torre dell’Isola, ed in quelli taglare legnami secondo è stato solito e consueto franchi di fida e d’ogni pagamento, come usavano in tempo del Sig. Re Alfonso padre della M. V. ed in tempo di quella, finché detta Torre venne in potere dell’Ill.re Co. Errico”.[xxxvi]

Confiscata al Pou per la sua partecipazione alla “Congiura dei Baroni” contro re Ferdinando, la foresta fu amministrata dal commissario Domenico Lettere, il quale certificò che le sue entrate annue provenienti dall’affitto per pascolo di buoi, vacche e porci, erano stimate mediamente in circa 200 ducati.[xxxvii]

Cutro (KR), località Villa Margherita.

Gli usi civici

Sempre in questi anni, attraverso un documento estratto dall’Archivio della Regia Camera, sappiamo che i cittadini di Isola perdevano ogni diritto civico sul vasto tenimento forestale di Antiopoli di mille tomolate, composto dai cinque territori: “Le Rose”, “Pititto”, “Saporito”, “Manna” e “Meolo”,[xxxviii] in quanto nell’ottobre 1495, re Ferrante II, detto Ferrandino, lo staccava dal feudo di Torre dell’Isola, e lo vendeva al capitano degli Aragonesi Troilo Ricca per 2000 ducati, non come terreno feudale ma burgensatico.[xxxix] Pagamento poi effettuato dal Ricca attraverso uno “escambio” con la regia corte.[xl]

A quel tempo la foresta rappresentava ancora un elemento fondamentale per la vita e l’economia umana. Oltre a dare legna per il riscaldamento e la cottura, essa forniva i materiali per la costruzione degli edifici e per gli arnesi da lavoro, il nutrimento per il bestiame ed un sicuro rifugio in caso di pericolo. Tutto di essa era utilizzato, dalla cenere per concimare il suolo, alle radici, alle foglie ed ai fiori per la cura delle malattie. Anche gli uomini vi trovavano gran parte degli alimenti per il loro sostentamento alimentare: dai frutti, alle bacche, ai funghi, ai legumi selvatici, alla selvaggina, ai pesci, al miele, ecc.

Troviamo quindi, ad esempio, che volendo punire i cittadini di Santa Severina per la loro ribellione, il conte di Santa Severina Andrea Carrafa, interruppe per circa undici anni i diritti civici. Solo nel 1525 riconobbe nuovamente loro il diritto di “tagliare, pernottare, pascere, glandare, spicare et acquare seu beverare loro bestiame”, gratuitamente, in alcune sue tenute. Il conte, ripristinando l’“antiquo solito”, riconobbe gli antichi diritti, con la condizione che non fossero tagliati gli alberi forestali da frutto. Sempre il Carrafa permise di poter pascolare e raccogliere i frutti caduti da “querce, cariglie, suberi ed altri alberi fruttiferi” e, dal primo dicembre, essendo le ghiande mature, di poterle fare cadere con canne, pertiche, bastoni o in altro modo, e poi raccoglierle e farne l’uso che se ne voleva.

Lo stesso feudatario però limitava la possibilità di tagliar legna in ogni tempo dell’anno per fare “tigilli per case, furche et tracandoli per pagliari, aratri et altre massaritie per l’agricoltura, trabi et altri ordigni necessari”, restringendolo solamente al taglio di alberi per la costruzione di case e per fabbricare aratri. Per gli altri usi doveva essere utilizzato solo il legno degli alberi non fruttiferi delle selve e dei boschi pubblici.

Per riaffermare i loro diritti civici, nel passato, i cittadini avevano chiesto che fossero aperte le foreste e le difese realizzate ex novo. La richiesta pur accolta, non ebbe seguito, anzi furono create altre difese. Il conte limitò la richiesta di aprire tutte le foreste e difese, fatte dai privati negli ultimi trenta anni, a quelle che non avevano una legittima concessione. I cittadini potevano comunque raccogliere nelle difese “le glande delle quercie, et cariglie sive illici et suberi … et peragini et altri frutti selvatici, et herba da mangiare”, a patto che non introducessero alcun animale.[xli]

A Le Castella, altro feudo del Carrafa, vi erano i boschi di Rosito e Soverito, e la difesa, o foresta, di San Fantino. La vigilanza di queste foreste era affidata ad un baiulo, il quale puniva con la pena di 15 carlini chiunque avesse tagliato alberi fruttiferi e querce. Facevano eccezione il taglio per costruire “stiilis” per uso di masseria, e “tiilis seu tigillis” per fare tuguri e coperture di case. Nella foresta del Soverito però, non si poteva tagliare alcun albero per nessuna ragione. Pene colpivano coloro che avvelenavano le acque delle fonti e dei fiumi per catturare i pesci, o che sporcavano le acque pubbliche, conducendovi porci e altri animali. Era inoltre fatto divieto dar fuoco alle stoppie prima del 15 agosto e, per evitare incendi, anche dopo senza il debito permesso. Nel vallone di “Volandrino” non si potevano abbeverare gli animali e così anche nel luogo detto “La Chianta Grande”, perché riservato al lavaggio dei panni dei cittadini. In caso di necessità o di siccità, questo divieto cadeva, eccetto che per i mercanti con i loro animali.[xlii]

La ricchezza rappresentata dalla foresta è ancora segnalata sul finire del Seicento dal Fiore, che così descrive la cittadina di Isola: “con una selva al fianco, che la fa ricca, non pur di legna per l’uso del fuoco; ma di cacciagioni, di fiere selvaggie, e di qualunque sorte d’uccellame”.[xliii] Ciò che rimaneva al tempo del Fiore, non era altro che una piccola parte della vasta selva che, anticamente, ricopriva gran parte del territorio di Cutro, di Isola e di Crotone, e che, protetta fin dall’antichità, per la sua natura condizionò la vita degli abitanti del luogo, e di coloro che con le loro mandrie vi svernavano, dando vita al consolidarsi di usi e costumi che, mentre permettevano nel tempo lo sfruttamento e l’uso dei beni forestali, ne salvaguardavano l’integrità come un bene comune.

Per quanto riguarda, invece, la foresta esistente ancora verso la metà dell’Ottocento presso Punta Alice, così il Pugliese descriverà il luogo: La “Misula di S. Pietro e Paolo (…) è una isoletta in mezzo al bosco detto ora di Ardetto, cinta d’inverno dal lago detto Vurghe, o Vulghe, quasi gorghi, o bolgie, perché in alcuni siti l’acqua è profonda tanto che si dicono puzzilli. Si distende questo lago per 200 moggia antiche circa e tagliando il capo Lice si accosta colle due estremità alle due opposte sponde del mare, cioè a sinistra verso borea, ed a destra verso oriente, talché in tempi di alta marea le onde salse si confondono colle dolci, e si distruggono le sanguisughe di cui il lago abbonda e le quali non si riproducono che dopo molti anni (…) Sito fatto dalla natura per un sicuro e comodo porto, ed al quale concorrono tutte le comodità per costruirvelo, come si disegnava ai tempi del glorioso Carlo III, le cui sollecitudini vennero attraversate da’ segreti maneggi del feudatario, il quale non voleva perdere la delizia delle cacce tanto sul lago, ove in tempo d’inverno si radunano anitre, mellardi, oche, follache, ed altri uccelli acquatici, quanto nei boschi che accolgono e nutrono volpi, caprii, lepri e cinghiali.”[xliv]

Il Pugliese aggiunge che la dimensione del lago dipendeva dalla piovosità invernale, infatti negli inverni piovosi, il lago “Vurghe” si congiungeva con il vicino lago detto “la Vurga Rotonda”, così diveniva un piccolo mare di 300 moggia,[xlv] così coloro che in estate ed in autunno dimoravano nel capo, contraevano “malattie mortali, o rimanevano ostrutti e malsani”.[xlvi]

Cutro (KR), località Villa Margherita.

Note

[i] “Ma tosto che fu all’isola remota,/ Salendo allor dagli azzurrini flutti,/ Lungo il lido ei sen gìa, finché vicina/ S’offerse a lui la spaziosa grotta,/ Soggiorno della ninfa il crin ricciuta,/ Cui trovò il nume alla sua grotta in seno./ Grande vi splendea foco, e la fragranza/ Del cedro ardente e dell’ardente tio/ Per tutta si spargea l’isola intorno./ Ella, cantando con leggiadra voce,/ Fra i tesi fili dell’ordìta tela/ Lucida spola d’or lanciando andava./ Selva ognor verde l’incavato speco/ Cingeva: i pioppi vi cresceano e gli alni/ E gli spiranti odor bruni cipressi:/ E tra i lor rami fabbricato il nido/ S’aveano augelli dalle lunghe penne,/ Il gufo, lo sparviere e la loquace/ Delle rive del mar cornacchia amica./ Giovane vite di purpurei grappi/ S’ornava e tutto rivestìa lo speco./ Volvean quattro bei fonti acque d’argento,/ Tra sé vicini prima, e poi divisi/ L’un dall’altro e fuggenti; e di viole/ Ricca si dispiegava in ogni dove/ De’ molli prati l’immortal verzura.” Odissea, V, vv. 55-74.

[ii] “E giungerà pure alla città di Siris e al golfo Lacinio, dove Teti farà crescere alla dea Oplosmia un bosco tutto ornato di belle piante come un giardino. Già sarà sempre costume delle donne di quel paese piangere il nepote di Eaco e di Doride, lo smisurato eroe fulmine di guerra; e non ornarsi, allora, le candide membra di aurei vezzi, né cingere molli vesti tinte di porpora: e per questo l’una dea darà all’altra, come dimora, il grande promontorio.” Licofrone, Alexandra vv. 956-965.

[iii] Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIV, 3.

[iv] Nola Molise G. B., Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli 1646, pp. 67-68.

[v] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi 2001, pp. 39-41, 143-145.

[vi] Pratesi A., Carte Latine di Abbazie Calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, 1958, pp. 364-366.

[vii] “Concedimus tibi memorato episcopo et successoribus tuis de certa nostra scientia damus et confirmamus totam et integram decimam terrarum laboratarum et laborandarum in toto tenimento Insulae de Cotrono et demanii nostri et maxarior. herbagii, glandagii, forestagii omniumq. Animalium ab extera venientium ad ibidem pascua sumendum etiam pellium decimas venatorum cervorum porcorum carnium capreorum vulpium pellium silvestrium et omnium alior. Jurisdittionum dittae Insulae ad nostram curiam pertinentium”. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 420 sgg.

[viii] J. A. De Soda accusa C. Trimboli di avergli rubato un bue, ma l’animale era stato divorato dai lupi nel bosco di Isola. ASCZ, Busta 312, anno 1664, f. 56.

[ix] Durante il periodo angioino coloro che erano sorpresi a cacciare nelle difese del re, erano condannati se barone o milite a pagare ventitre once d’oro, se borghese sedici once, se villano otto e se insolvibile alla pena di un anno di carcere. Dito O, La storia calabrese, Cosenza 1979, Rist., p. 117.

[x] AVC, Privilegio dello Sacro Episcopato della città dell’Isula, in Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, ff. 412 sgg.

[xi] Nel gennaio 1422 la città di Isola è “civibus destituta non nisi a pastoribus habitant in nemoribus et dominio dilecti filii nobilis viri Nicolai axierchias Cotroni situata”. ASV, Reg. Vat. 221, f. 34. Alla metà del secolo, posta in regio demanio dopo la sconfitta del Centelles, Isola risulta tassata solo per 73 fuochi: “Turris insule f(ochi) LXXIII”. Biblioteca Civica Berio di Genova, Liber Focorum Regni Neapolis, IX, 3, 20, f. 86.

[xii] De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 143-145.

[xiii] Toubert P., Dalla terra ai castelli, Einaudi 1995, p. 320.

[xiv] Tale appartenenza è documentata anche durante la precedente dominazione sveva, da alcuni atti della prima metà del Duecento, riguardanti “Insula”, ovvero “insula Cotroni”. De Leo P. (a cura di), Documenti Florensi, 2001, pp. 39-41, 44-45, 123-130, 143-145.

[xv] “Drivoni de Regibayo, mil., conceditur foresta seu defensa insule Cutroni.” Reg. Ang. IV, (1266-1270), p. 159. “Scriptum est Drivoni de Regibayo, Regni Sicilie Mag. Iustitiarii Vicem gerenti, quatenus per se vel per procuratorem suum recipiat castrum Cutroni, cum armis ceterisque guarnimentis suis et defensam seu forestam insule Cutroni, ipsaque custodiat usque ad dom. Regis beneplacitum. Datum Neapoli, penultimo iunii XIII ind.” Ibidem, p. 165.

[xvi] Reg. Ang. VII (1269-1272) p. 157.

[xvii] Reg. Ang. XII (1273-1276), p. 136.

[xviii] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 87.

[xix] Dito O., La storia calabrese, Cosenza Rist. 1979, p. 117.

[xx] “Scriptum est custodibus defensarum et forestarum curie in Terra Bari, Terre Ydronti et per totam Calabriam fidelibus etc. … defensarum et forestarum Insule Cutroni et Iohe de Plano Sancti Martini pro necessariis araciarum nostrarum Calabrie … Datum ut supra (apud Bellumvidere, XVII° februarii VII° indictionis.” Reg. Ang. XLIII (1270-1293), pp. 162-163.

[xxi] Reg. Ang. XXXI (1306-1307), p. 71.

[xxii] Reg. Ang. XI (1273-1277), pp. 140-141.

[xxiii] Reg. Ang. XXIV (1280-1281), pp. 103-104.

[xxiv] Pratesi A., Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’archivio Aldobrandini, Città del Vaticano, 1958, pp. 224-226.

[xxv] Dito O., La storia calabrese, Cosenza Rist. 1979, p. 117.

[xxvi] “Andree de Pratis, militis, exequtoria concessionis custodie turris et insule de tenimento Cutroni nec non palatii et defense Alichie, amoto Ioanne de Genua, milite.” Reg. Ang. XXXVIII (1291-1292), p. 55.

[xxvii] “Pro Iohanne de Coronato milite. Scriptum est Iohanni de Coronato, militi, fideli suo etc. De fide, industria et legalitate tua confisi, custodiam turris et insule nostrarum sitarum in territorio Cutroni, nec non palacii et defense Alichie tibi usque ad nostrum beneplacitum, amoto inde Andrea de Pratis, milite fideli nostro, seu quovis alio inibi per nostram curiam ordinato, duximus committendam fidelitati tue presentium tenore mandamus quatenus custodiam dictarum turris et insule, ac palacii et defense sic usque ad nostrum beneplacitum ad honorem et fidelitatem nostram diligenter et fideliter exercere procures, quod possis exinde merito commendari. Datum Nicie, anno Domini etc., die VIII° ianuarii VI.e indictionis.” Reg. Ang. XLIV prima parte (1269-1293), p. 139.

[xxviii] Trinchera F., Syllabus gracarum membranarum, Napoli 1865, pp. 282-283.

[xxix] Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923, p. 12.

[xxx] Il 2 novembre 1451, da “Turri ottavi”, re Alfonso d’Aragona confermava al milite Melchione Milea di Crotone, fedele e familiare regio, il “territorium sive furestam dictum la foresta de misitello”, o “misitrello”, sito “in tenimento Cotroni pertinenciarum misitrelli”, come era stato già precedentemente concesso “in burgensaticum”, da Enrichetta Ruffo e Antonio Centelles, ad Antonio Milea, suo figlio ed erede, morto nei giorni passati. ACA, Cancillería, Reg. 2915, ff. 134-134v.

[xxxi] ASN, Dip. Som. 315/9, Conto del m.co Giulio Cesare de Leone deputato sopra l’entrate del vescovato de cutrone. 1570 et 1571.

[xxxii] ASCZ, Busta 1594, ff. 150-154.

[xxxiii] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, p. 92.

[xxxiv] “Capitoli graciose concessi per per la sacra Regia ma.ta alla universita et homini dela Citate de Cotroni. In primis che la dicta Cita de Cotroni et soy casali unacum Crepacore et la turre delisola quali so membri dela dita Cita siano tenuti sempre imperpetuum in demanio et che de nullo tempo siano concessi in baronia ne in Capitania et Castellania et quando fussi lo contrario loro sia licito auc(torita)te propria etiam armata manu piglareli et reducereli in demanio etiam et disfareli § placet Regie magestati.” Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Cutroni”, l’otto dicembre 1444 VIII indizione. ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 214.

[xxxv] “Item che possano fare loro massarie per tucti li tenimenti de cotroni et delli casali et passcere loro bestiame inli dicti tenimenti et talliare ligna allo bosco de lisula et passcere herbagio et glandagio franchi senza alguno pagamento § Placet Regie Ma.ti quod uti possint d(ic)tis herbagio et glandagio prout habitatores Insule utuntur in territoriis dicte Civitatis Cutroni.” Capitoli concessi alla città di “Cutroni” dati “in castris n(ost)ris felicibus prope Civitatem n(ost)ram Cutroni” l’otto dicembre 1444 VIII indizione (ACA, Cancillería, Reg. 2904, f. 214v). Zangari D., Capitoli e grazie concessi dagli Aragonesi al vescovo e all’università e uomini della città di Cotrone durante il sec. XV, Napoli 1923.

[xxxvi] AVC, Nota de fatti a pro della u.nità della città di Cotrone contro l’u.nità della città dell’Isola, 1743, f. 12v.

[xxxvii] “Lo tenimento nominato lo bosco dell’Isola non è stato arrendato per non ci havere havuto gliandre ver che ci so stati affittati certi bovi et bacche et porci alli herbagi, che ne so pervenuti ducati cento ventuno tari tre et grana cinque et cossi si extima potere valere per anno computati, quando ci so gliandre et quando non secondo la informatione di Messer Dominico L.re D. 200, Dominico Lettere, Regio Percettore e Commissario in Provincia di Calabria, anno 1488. AVC, Processo grosso di fogli cinq.cento settanta due della lite, che Mons. Ill.mo Caracciolo ha col S.r Duca di Nocera per il Vescovato, f. 474.

[xxxviii] ASCZ, Busta 1063, anno 1749, ff. 1-10. AVC, Catasto di Isola 1768, 1800.

[xxxix] Maone P., Isola Capo Rizzuto, Rubbettino, 1981, pp. 113-115.

[xl] “Troylo Ricca, consignatione per se et soi heredi de ducati 400 sopra la gabella della carne et vino della città di Napoli, in exambio dela torre de Insula, la bagliva, lo scannaggio di Cotrone, et territorio d’Antropoli” (1497). “Troilo de Ricca de Napoli ducati 400 annui in perpetuum in escambio della torre dell’Isola, scannaggio, et bagliva di Cutrone et territorio d’Antropuli” (1503). ASN, Regia Camera della Sommaria, Segreteria, Inventario.

[xli] Costituzioni della città e stato di Santaseverina, in Siberene, Cronaca del Passato per le Diocesi di Santaseverina – Crotone – Cariati, a cura di G. B. Scalise, 1999, pp. 285 sgg.

[xlii] AVC, Reintegra delli territori e robbe del vescovato dell’Isola di carte trentanove autentica nell’anno 1520, ff. 5, 8.

[xliii] Fiore G. Della Calabria Illustrata., I, p. 223.

[xliv] Pugliese G. F., Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politico-economiche di Cirò, Napoli 1849, t. I, pp. 19-21.

[xlv] Pugliese G. F., Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politico-economiche di Cirò, Napoli 1849, t. I, p. 39.

[xlvi] Pugliese G. F., Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politico-economiche di Cirò, Napoli 1849, t. I, p. 107.

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Publicato da Arsac Ufficio Marketing Territoriale

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