Alessandra Benigno1, Antonio Scalise2, Tommaso Scalzi2, Salvatore Moricca1
1Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI), Sezione di Patologia vegetale ed Entomologia – Università di Firenze
2Azienda Regionale per lo Sviluppo Agricolo della Calabria (ARSAC)
Le politiche agricole nazionali e comunitarie stanno rilanciando le produzioni sostenibili e la bioeconomia circolare. Recuperare la tradizionale coltura del castagno è strategico per lo sviluppo sostenibile del territorio, la conservazione del paesaggio, la valorizzazione della cultura agroalimentare locale e la rivitalizzazione delle aree rurali marginali.
La coltura del castagno tra traversie secolari e multifunzionalità
Il castagno (Castanea sativa Mill.), con il suo frutto ed il suo legno, ha storicamente rivestito un ruolo chiave per la sopravvivenza delle popolazioni delle aree più interne e svantaggiate del Belpaese. Nel secolo scorso, tuttavia, mutamenti sociali ed economici, unitamente ad avversità parassitarie, hanno innescato una grave crisi nel settore castanicolo. Malattie quali il mal dell’inchiostro ed il cancro del castagno hanno letteralmente distrutto cedui e castagneti da frutto, decurtando fortemente la produzione di assortimenti legnosi e di castagne. Di conseguenza, si è registrato un abbandono progressivo dei terreni coltivati a castagno, il che ha ulteriormente accentuato il già diffuso deterioramento dei castagneti (Freitas et al., 2021). L’abbandono delle aree collinari e montane ha portato in Italia a una riduzione del 90% delle superfici coltivate a castagneto, giungendo dai 608.000 iniziali a circa 60.000 ettari (Pezzi et al., 2020). Questo trend negativo si è ulteriormente intensificato nel periodo post-bellico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è infatti osservato un ulteriore, progressivo spopolamento del territorio rurale, con abbandono dei cedui, il che ha ingenerato il fenomeno oggi assai diffuso dei cedui invecchiati, l’innesco di fenomeni di dissesto idrogeologico e di instabilità dei versanti, nonché la perdita di selve castanili caratterizzanti paesaggi di rara bellezza. Negli ultimi decenni, le anomalie del clima, con l’intensificarsi di condizioni meteorologiche estreme, in particolare delle sempre più frequenti ondate di calore estive e dei prolungati periodi di siccità, nonché l’arrivo di nuovi parassiti, come il cinipide galligeno del castagno, altresì noto come “vespa cinese”, hanno ulteriormente messo in ginocchio una già precaria castanicoltura (Aglietti et al., 2022).
Nonostante tutte queste vicissitudini, la coltivazione del castagno ha recentemente conosciuto una rinascita significativa, alimentata da una crescente consapevolezza delle proprietà salutari e nutrizionali delle castagne, oltre che dal riconoscimento del valore delle farine derivate. I frutti del castagno, ricchi di fibre, vitamine e minerali, rappresentano una risorsa alimentare preziosa, per il loro elevato contenuto proteico. All’apprezzamento per il frutto, si uniscono altresì oggi una maggiore consapevolezza del valore paesaggistico, culturale ed identitario che la coltivazione del castagno reca con sé. Si comincia finalmente a prendere coscienza della multifunzionalità del castagno: non solo risorsa economica ed alimentare, ma specie fortemente caratterizzante il paesaggio rurale, funzionale al mantenimento dell’assetto ecologico ed idrogeologico del territorio e del suo tessuto sociale e produttivo. Per rendersi conto di ciò è sufficiente pensare all’impiego del castagno e dei suoi derivati, oltre che nell’industria dei prodotti tipici e dei prodotti alimentari innovativi, nell’artigianato, nell’edilizia e nella promozione dell’offerta turistica.
Parallelamente a questo rinnovato interesse, la castanicoltura si trova però ad affrontare ancora una volta sfide significative, poste in primo luogo dalle nuove avversità parassitarie. Se fino a qualche anno fa il nemico pubblico numero uno della castanicoltura si identificava nella vespa cinese, oggi un altro nemico, più insidioso perché più subdolo ed invisibile, rischia di far sprofondare nuovamente la castanicoltura nella crisi più profonda. Il nuovo nemico è il fungo patogeno Gnomoniopsis castaneae Tamietti (sin. Gnomoniopsis smithogilvyi L.A. Shuttlew., E.C.Y. Liew & D.I. Guest), agente patogeno responsabile del marciume bruno o gessoso delle castagne. Questa malattia emergente, che riduce la qualità commerciale delle castagne, compromettendone il valore alimentare e nutrizionale, può causare perdite molto significative, con impatti devastanti sulla sostenibilità della filiera castanicola. Non a caso l’Italia, Paese tradizionalmente esportatore di castagne, si trova oggi ad importare il prodotto da Paesi quali la Spagna e la Turchia.
Il “nemico”, subdolo perché ben nascosto
G. castaneae è un fungo ascomicete, noto per insediarsi nei tessuti interni del castagno come endofita (= microorganismo che vive allo stato latente negli organi interni di un ospite vegetale) già all’epoca della fioritura. Esso sopravvive sui residui vegetali caduti a terra la stagione precedente, perlopiù sui ricci. Su questi, la primavera successiva, soprattutto in coincidenza con periodi piovosi e temperature intorno ai 21 – 24°C, sviluppa le sue fruttificazioni sessuate (periteci), da cui vengono disperse le ascospore che danno luogo alle infezioni primarie. Il fungo infetta gli organi fiorali, molto recettivi alle infezioni, e in maniera del tutto asintomatica, migra nei frutticini in via di sviluppo. Si sviluppa quindi nell’endosperma, provocando il marciume della castagna dall’interno e rendendola non commestibile, mentre il pericarpo esterno appare ancora inalterato e sano. Oltre alle infezioni primarie il fungo intensifica il suo attacco, aumentando la propria presenza (biomassa) nel castagneto, attraverso le infezioni secondarie. Queste sono procurate dalla forma asessuata, con i conidi che, liberati dagli acervuli, causano infezioni secondarie su fiori, foglie e branche. La gravità e l’incidenza con cui si sta manifestando questo tipo di marciume suscitano allarme tra i coltivatori ed in tutta la filiera produttiva, a causa delle perdite elevate di produzione.
Fig. 1. Castagna con sintomo tipico del marciume bruno o gessoso, ed aspetto mummificato.
Le attuali strategie di controllo di questa malattia sono basate principalmente su interventi post-raccolta, come la curatura e la termoterapia, che però ad oggi non hanno fornito risposte soddisfacenti. Né tanto meno è ipotizzabile l’utilizzo di fitofarmaci, per i motivi di cui sotto.
Controllo innovativo del marciume bruno o gessoso delle castagne
Un approccio corretto ed ecosostenibile, nonché socialmente accettabile, al problema del contenimento del marciume delle castagne esige che si consideri in primo luogo che il castagneto da frutto è a tutti gli effetti un bosco. In quanto tale, qualunque ipotesi di intervento deve tener conto del contesto ecologico e del grado di naturalità del popolamento, in maniera da non impattare sull’ambiente e sulla sua biodiversità. I trattamenti chimici sono pertanto improponibili nel castagneto per le ovvie implicazioni di carattere ambientale. In tale contesto, l’uso di agenti di controllo biologico o BCA (Biological Control Agents), come i funghi del genere Trichoderma, pare essere una soluzione, forse l’unica, sostenibile per proteggere i castagni dagli attacchi di G. castaneae. Questi biopesticidi, ampiamente noti per la loro efficacia nel combattere parassiti di svariate colture agrarie, rappresentano una strategia di difesa fitosanitaria perfettamente allineata con le politiche agricole europee mirate alla salvaguardia ambientale.
Nonostante il conclamato successo dei BCA nella protezione fitosanitaria delle colture agrarie, tuttavia, il loro impiego nel settore forestale rimane a tutt’oggi limitato, con applicazioni principalmente in ambito sperimentale (Schubert et al., 2008; Prospero et .al., 2021, Benigno et al., 2024). In questo contesto si colloca l’accordo di collaborazione scientifica tra il Dipartimento DAGRI, dell’Università di Firenze e l’Azienda Regionale per lo Sviluppo Agricolo della Calabria (ARSAC), avente per oggetto la “Messa a punto di protocolli di difesa biologica per il contenimento del marciume bruno o gessoso delle castagne”. La sua finalità, ambiziosa quanto pionieristica, è stata quella di mettere a punto una strategia efficace di controllo del marciume basata su un protocollo innovativo di difesa biologica, che rispettasse l’ambiente e la sua biodiversità.
L’innovatività dell’approccio è consistita, oltre che nell’impiego di agenti biologici in ambiente forestale, nell’uso dell’endoterapia: ceppi competenti di Trichoderma, previamente testati e selezionati in laboratorio per la loro efficacia, sono stati iniettati direttamente nel tronco dei castagni infetti. La scelta di questa strategia di lotta mini-invasiva (l’iniezione sul tronco provoca una ferita di pochi mm che la pianta rimargina nel giro di alcune settimane) è stata altresì dettata dalle dimensioni degli esemplari arborei. Nel particolare contesto dei castagneti, infatti, in considerazione delle dimensioni talvolta ragguardevoli delle piante, i trattamenti endoterapici si pongono come la soluzione più praticabile ed ecosostenibile. L’endoterapia, in effetti, non solo limita – anzi praticamente azzera – la dispersione del biopesticida nell’ambiente, ma reca con sé una serie di altri innegabili vantaggi: a) riduce enormemente la quantità di “principio attivo” impiegato; b) consegue una maggiore efficacia rispetto ai tradizionali trattamenti per irrorazione, anche in virtù del fatto che il prodotto non subisce l’azione dilavante degli agenti atmosferici (ad es., le piogge); c) riduce, anzi rende praticamente nullo, il consumo di acqua; c) tutela la fauna e la biodiversità, andando a colpire soltanto le entità che si nutrono della pianta. È infatti noto che il biopesticida non solo inibisce il marciume delle castagne, ma riesce anche a contrastare efficacemente altri “nemici” delle piante, quali insetti ed altre malattie fungine. In tale ottica, dunque, la scelta dell’approccio endoterapico offre una soluzione efficace ed ecosostenibile al problema del marciume e si connota al contempo come un investimento unico per più funzionalità.
La prova sperimentale
La ricerca è stata svolta sui terreni di Calabria Verde, della Regione Calabria, in località “Vecchiarello”, nel comune di Sersale (CZ) (39°01’05.5″N 16°41’54.0″E), che vanta una ricca collezione varietale di castagno realizzata dall’ARSAC, in una zona castanicola posta a un’altitudine di circa 1200 m s.l.m. Nella prima fase della ricerca, sono stati raccolti campioni di suolo, allo scopo di reperire ceppi autoctoni di Trichoderma direttamente dall’ambiente locale. Questa scelta è stata dettata dal proposito di provare ad utilizzare agenti di biocontrollo già presenti nell’ecosistema, per evitare di introdurre microorganismi/ceppi estranei (esistono vari formulati commerciali a base di Trichoderma) che avrebbero potuto in qualche modo alterare l’equilibrio naturale dell’ecosistema castanicolo. Sono stati pertanto isolati ceppi di Trichoderma da campioni di terreno raccolti in situ, e gli isolati ottenuti sono stati poi accuratamente testati in laboratorio per la loro efficacia nel parassitizzare agenti fitopatogeni. Tale valutazione è stata fatta attraverso prove di antagonismo in coltura duale (test di Badalyan). Sono stati così selezionati due ceppi di Trichoderma che, tra tutti quelli isolati, hanno mostrato la maggiore capacità di inibire la crescita miceliare di G. castaneae in vitro.
Fig. 2. Coltura duale in vitro con Trichoderma e G. castaneae. Si noti il maggiore tasso di crescita di Trichoderma (micelio verde scuro) che con i suoi ampi aloni verdastri, a due settimane di incubazione a 25 °C, ha colonizzato l’intera piastra ed inibito completamente lo sviluppo di G. castaneae.
La seconda parte della ricerca ha riguardato la preparazione dagli isolati selezionati delle sospensioni conidiche (spore asessuate), successivamente impiegate nei trattamenti endoterapici.
Fig. 3. Preparazione delle sospensioni di campioni di suolo in acqua sterile.
Nel mese di giugno, quando le piante erano in pieno succhio, la soluzione conidica è stata somministrata per endo-infusione nel tronco delle piante scelte per il trattamento, utilizzando due dosi da 15 ml (108 conidi/mL) per pianta.
Fig. 4. Esecuzione dei trattamenti endoterapici con lo strumento brevettato BITE ((Blade for Infusion in TrEes).
L’efficacia dei trattamenti endoterapici è stata verificata in maniera oggettiva l’autunno seguente, calcolando l’incidenza del marciume bruno o gessoso su un campione statisticamente significativo di castagne raccolte dalle piante trattate. I dati ottenuti sono stati messi a confronto con quelli provenienti da un campione analogo, raccolto da piante non trattate (controllo) vegetanti in una parcella adiacente. Le castagne sono state accuratamente esaminate per la presenza di infezioni da G. castaneae presso il laboratorio di Patologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze. Un’analisi dettagliata dei dati raccolti ha evidenziato l’efficacia significativa del trattamento a base di Trichoderma nel ridurre l’incidenza di G. castaneae, con un tasso di marciume che si è attestato intorno al 17% nelle parcelle trattate, rispetto al 38% in quelle non trattate (riduzione dell’incidenza del marciume di circa il 20% rispetto al non trattato). L’analisi statistica ha confermato la significatività della differenza tra le parcelle trattate e quelle non trattate, sottolineando l’efficacia del trattamento con Trichoderma.
Conclusioni e prospettive future
Il ruolo fondamentale della filiera castanicola, testimoniato dall’impiego dei suoi prodotti in diversi settori industriali (legno, farina, miele e tannini), esige uno sforzo per il rilancio di questa filiera, economicamente e socialmente assai importante ma fragile. Allo stesso tempo, la necessità della valorizzazione estetica, paesaggistica, turistica, identitaria e culturale del castagno impone l’obbligo di affrontare questa sfida impegnativa avendo cura di salvaguardare la sostenibilità ambientale. Si richiedono dunque soluzioni tecnologicamente appropriate, economicamente percorribili e orientate alla gestione e tutela dell’ambiente e delle risorse naturali. L’impiego di ceppi del genere Trichoderma pare essere oggi l’unica strategia valida per contrastare in modo efficace ed ecosostenibile il marciume delle castagne da G. castaneae. Questo studio ha confermato quanto già noto dalla letteratura, e cioè che i trattamenti con Trichoderma non solo riducono significativamente l’impatto delle malattie, ma stimolano anche una resistenza durevole nelle piante, attraverso meccanismi quali la resistenza sistemica acquisita (SAR, Systemic Acquired Resistance) e la resistenza sistemica indotta (ISR, Induced Systemic Resistance) (Benigno et al. 2024). Questi benefici si protraggono nel tempo, grazie all’effetto cumulativo di applicazioni ripetute, che potenziano le difese naturali delle piante e migliorano l’assorbimento di nutrienti, fungendo anche da biostimolanti.
Inoltre, i funghi del genere Trichoderma, oltre ad avere un effetto diretto sulle piante, contribuiscono alla salute dell’agroecosistema, promuovendo una maggiore biodiversità microbica e migliorando la struttura del suolo (Klein et al., 1998). Questo aspetto è cruciale per un’agricoltura resiliente e sostenibile, che si fonda sul mantenimento di un suolo fertile e ricco di vita. La ricerca volta all’identificazione di nuovi ceppi “competenti” e al perfezionamento dei metodi di applicazione di Trichoderma mira a ottimizzare questi benefici, rendendo l’uso di questo biopesticida sempre più efficace e pratico per gli agricoltori.
Non è infine superfluo ricordare che l’adozione di strategie biologiche per la difesa delle piante dalle malattie, nel cui ambito i funghi del genere Trichoderma rivestono un ruolo centrale, è fortemente supportata dalle politiche agricole a livello nazionale e comunitario. Questi protocolli sono in linea con i principi di ecosostenibilità e di tutela ambientale promossi dal Green Deal Europeo per la riduzione degli input chimici e della Farm 2 Fork (F2F) Strategy, entrambi volti a ridurre l’uso di sostanze chimiche e a promuovere un’agricoltura sostenibile. Tali approcci non solo si allineano agli obiettivi di riduzione dell’uso di prodotti chimici ma contribuiscono anche a preservare la biodiversità, la maggiore efficienza dei vecchi impianti, migliorare la qualità degli alimenti e favorire lo sviluppo sostenibile delle comunità rurali.
Bibliografia
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Benigno, A.; Aglietti, C.; Cacciola, S.O.; Moricca, S. Trunk Injection Delivery of Biocontrol Strains of Trichoderma spp. Effectively Suppresses Nut Rot by Gnomoniopsis castaneae in Chestnut (Castanea sativa Mill.). Biology. 2024; 13(3)
Freitas, T.R.; Santos, J.A.; Silva, A.P.; Fraga, H. Influence of climate change on chestnut trees: A review. Plants 2021, 10, 1463.
Klein, D.; Eveleigh, D.E. Ecology of Trichoderma. In Trichoderma & Gliocladium, Basic Biology, Taxonomy and Genetics; Kubicek, C.P., Harmna, G.E., Eds.; Taylor and Francis: London, UK, 1998; Volume 1, pp. 57–69.
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